Indossare il proprio corpo
Riflessione tratta da “Il foglio” anno XXII, n.8, agosto 1992
C’è oggi una diffusa tendenza generalizzata a rifiutare il proprio corpo. Non risponde ai canoni della cultura prevalente. In ognuno di noi esiste, lo si voglia o no, una sorta di disagio nel vederci allo specchio. Questo per i più fortunati. Per gli altri si può arrivare persino a turbe nervose. Di casi così se ne possono contare ormai parecchi. Non è una tragedia. Ci sono cose più importanti cui pensare. E’ comunque un pessimo modo di vivere.
Si è cercato nei secoli di lasciarci dietro modelli di condizionamento che parevano insopportabili. E siamo finiti in questa situazione di esseri insoddisfatti. Insoddisfatti di come siamo fatti. E’ venuta a mancarci l’accettazione. Non ci rallegriamo più per ciò che siamo, ma ci rattristiamo per ciò che vorremmo essere. Se questo divario fosse contenuto è probabile che potrebbe essere colmato. Il che vorrebbe dire vivere con una giusta tensione per il proprio miglioramento.
Di regola non è così. Perché il modello di riferimento è sempre molto al di sopra di ciò che si è. Il nostro corpo non è sempre da copertina. Una volta probabilmente avremmo potuto persino innamoraci di qualche nostro difetto. Piccolo. Oggi non ci è più consentito. Impeccabili e affascinanti dobbiamo essere sempre all’altezza della situazione. In passato, molto passato, ci si truccava per ingraziarsi una qualche divinità.
Segni magici facevano parte di un rituale che trascendeva il quotidiano. Il colorarsi, il vestirsi e l’atteggiarsi erano rivolti ad un qualche dio. Oggi il nostro dipingerci è funzione degli altri. Come un Narciso collettivo continuiamo a specchiarci per vedere se siamo come il modello formato televisione.
La moda omologa tutto e tutti. Senza rendercene conto ci standardizziamo nel tentativo di apparire unici. Sempre con maggiore difficoltà indossiamo al mattino il nostro corpo per iniziare una giornata qualsiasi si una vita qualsiasi. Ci facciamo soccorrere da pareri di esperti, diete e ginnastiche indirizzate per darci il benvenuto quando, di fretta, davanti allo specchio ci guardiamo un’ultima volta prima di confonderci con una infinità di altri noi.
Di altri noi che hanno lo stesso problema: Come mi vesto oggi? (nel senso di come mi vesto di me stesso). Accettarsi è un privilegio. La pubblicità lo sa e fa di tutto per espropriarcelo. E’ il suo mestiere.
Guardarsi, anche dentro, e dirsi “forse non sono un gran che ma io sono io”, è ormai riservato a pochi. A quei pochi che, infischiandosene del dover essere, sono passati dall’altra parte dello specchio. Dove un nuovo Narciso si guarda solo negli occhi degli altri. Da come muoveremo le labbra, e non per dire qualcosa, saprà di piacere o meno.