Iniquità di genere: “Non sono la costola di nessuno”
Da Mosaico di Pace, n°4 aprile 2020
“La inferiorizzazione del femminile è (stata) interpretata come inferiorità innata. E così come il pesce non ha consapevolezza dell’acqua in cui nuota, di ciò che è opera dell’uomo si nasconde l’autore. Un’iniquità, del resto, di cui egli non è quasi mai consapevole, perché gli stereotipi culturali lo proteggono dal percepirsi sotto questa luce: una banalità del male, sotto una nuova – ma insieme antica – veste. Paradossalmente lo stesso genere artefice di tali assetti, ne subisce i contraccolpi”.
Questa citazione è tratta dall’introduzione di Paola Cavallari al volumetto da lei stesso curato “Non sono la costola di nessuno. Letture sul peccato di Eva” (Gabrielli Editori, 2019), che raccoglie gli interventi di diversi studiose e studiosi per denunciare, grazie a un’ermeneutica e a un’esegesi dai tratti scientifici, l’uso strumentale di diversi passi biblici. Versetti, specie alcuni di Genesi, che hanno giustificato per secoli i tanti stereotipi di genere che hanno visto la donna in posizione di netta subordinazione e sottomissione rispetto all’uomo (genere maschile) anche perché ritenuta colpevole dell’entrata del male e del peccato nel mondo, dopo l’iniziale condizione paradisiaca dell’essere umano.
Ma, come chiaramente espresso nelle parole di Paolo Ricca, Genesi 2, 4b-3,24 è stato a lungo ritenuto “un testo chiave” che spiega e fonda tutto il resto del discorso biblico. In realtà si tratta di “un testo estremamente marginale, al quale in tutto l’Antico Testamento non si fa alcun riferimento esplicito”.
È importante che alcuni dei sei saggi che compongono il libro in esame siano proprio redatti da uomini in quanto tale redazione testimonia la volontà maschile di mettersi in gioco, di rimettere in questione quelle categorie mentali, sociali e culturali che hanno estromesso la donna da ruoli cardini della società, al di là di quelli costituiti dall’essere madre e moglie, compiti entro cui il decantato genio femminile è stato spesso ricondotto.
Fondamentale, per le finalità del lavoro, la trasversalità degli interventi comprendenti il cristianesimo della Riforma (Lidia Maggi, Paolo Ricca, Letizia Tomassone), il cristianesimo cattolico (Paola Cavallari, Lilia Sebastiani, Carlo Bolpin) e la tradizione ebraica (Gianpaolo Anderlini, Brunetto Salvarani, studiosi comunque non ebrei).
Le analisi compiute dei passi biblici sono puntelli a sostegno del processo di “coscientizzazione” della donna che faticosamente ha preso atto delle violenze culturali cui è stata sottoposta che non di rado ha introiettato passivamente. Tale processo passa per atti di “disobbedienza” ben documentati dalla relazione di Letizia Tomassone, attraverso i quali le stesse donne valicano “gli spazi in cui dovrebbero contenersi” creando quella paura, da parte del maschio, di perdere la posizione di controllo.
Inoltre è indispensabile ridisegnare l’immagine di Dio emersa dagli stereotipi di cui sopra, quella di un universale maschile che comprende e conforma al proprio androcentrismo la rappresentazione della divinità. È necessaria un’umanizzazione del maschio, perché il Dio del Primo Testamento e il Dio del Vangelo, anche come espresso nella figura di Gesù, è un Dio antecedente o oltrepassante qualsiasi determinazione sessuale, che per Amore ha creato l’uomo e la donna ponendoli in relazione l’uno con
l’altra.
Una relazione che non appiattisce i due soggetti ma li valorizza nelle loro specificità. Non nel senso di quella complementarità giustificante la subordinazione del femminile al maschile ma nel significato che in realtà esalta la grandezza e la bellezza di entrambi.