Innamorarsi. Un cuore aperto a chi passa, a chi si ferma e a chi se ne va
Riflessioni inviataci da Luigi T.
Un amico mi raccontava della sua “prima volta” con un ragazzo. Me lo raccontava con la tristezza nel cuore e sul volto, perché quella storia era durata poco, appena una settimana. E non è facile smaltire l’istantaneità di una storia, quando con quella persona c’hai fatto per la prima volta l’amore.
Nel suo racconto si soffermava su un dettaglio, che mi ha colpito. Erano stesi uno sopra all’altro, meglio: lui, sopra all’altro. E, in quella posizione, la piccola medaglietta che portava al collo – il Cuore di Gesù da un lato, la Madonna dall’altro – cadeva esattamente sulle labbra dell’altro, che era non credente, o almeno così diceva, eppure, in quel momento di intimità, aveva dato un bacio a quella medaglia.
Mi sono chiesto se – finita quella breve storia, passato quel momento, smaltita l’emozione della prima volta, e poi la tristezza, la delusione, le lacrime, passato tutto, insomma – il senso di quel “tutto” non sia stato quel bacio. Forse a quel ragazzo non capiterà più di dare un bacio – in fondo sincero, in quel momento – ad un’immagine del Sacro Cuore. Forse a quel ragazzo, alla fine della vita, sarà perdonato tutto (perché tutti avremo da essere perdonati) per quel bacio, che neanche ricorderà.
Nelle nostre sere, nelle nostre notti, nelle nostre solitudini piene a volte solo di desiderio, abbiamo incontrato tanti ragazzi così. All’inizio ce li ricordiamo tutti; poi, crescendo, cominciamo a non contarli più.
Di qualcuno ci innamoriamo, qualcuno lo desideriamo soltanto; con qualcuno parliamo soltanto per un po’, in chat, altri invece li conosciamo; uscite, dates, incroci, sexting, mi-piace alla foto così capisce che mi interessa, sguardo di riconoscimento. Siamo un caleidoscopio di relazioni, anche solo accennate, solo immaginate, abbozzate.
E non è vero che di tutto questo non resta niente. Ogni persona incontrata – sia pure per un date senza seguito, sia pure per una notte e basta – “ci resta addosso”. Noi non andiamo avanti senza meta perdendo pezzi dietro di noi, no. Niente è perso. Noi andiamo avanti (e verso una meta) assumendo tutto quanto incontriamo, sia pure per il tempo di un caffè. Andiamo avanti e tutto “ricapitoliamo” in noi, “avvolgiamo” in noi; diventa parte di noi. E, da cristiani, tutti portiamo a Lui.
Che cosa è restato di quel ragazzo con cui abbiamo passato soltanto una notte, che nessuno – solo io e lui – conosce? Cosa resta di quei ragazzi accarezzati solo per qualche ora, baciati solo una volta? Cosa resta di quei ragazzi con cui si è parlato, con cui ci si è scambiati fantasie e non ci si è mai incontrati, con cui si è presi un caffè e basta? Da un punto di vista cristiano: qual è stato il senso di questa litanie di nomi, di questo caleidoscopio di relazioni, di questo groviglio di incontri, di questo affollarsi confuso di volti, di occhi, di corpi, di pelli?
Il senso c’è, e può essere immenso, se tutti questi volti noi sapremo raccontarli a Gesù, se tutti questi nomi noi sapremo metterli nel suo Cuore. Ricordarli uno ad uno, pregare per loro uno ad uno, anche se è passato tempo, anche se son passati anni, anche se non ci siamo mai più visti. Se pure quel ragazzo l’abbiamo incontrato soltanto per qualche ora, forse non ci sarà più nessuno, nel corso della sua vita, che pregherà per lui, che lo potrà mettere nel Cuore del Signore, che lo potrà affidare alle cure materne della Madonna.
E forse il senso di quella notte di piacere passato via così presto, il senso chissà anche di quel tradimento, il senso di quel sexting, di quel date, di quell’appuntamento mai ripetuto, sarà che ora c’è qualcuno che, quel nome e quel volto, lo sta portando al Cuore – così grande, così buono, così bello – di Gesù.
La tradizione spirituale cristiana ha spesso parlato del cuore come di un giardino da custodire: è una bella immagine, che ha il suo significato e il suo valore. Ma forse si può pensare anche a qualcosa di diverso. Se ci pensiamo bene, il nostro cuore tanti confini non ne ha: vi facciamo entrare tanti; tanti vi passano soltanto per un po’, e poi vanno via. Ed è anche bello così.
Un po’ come la chiesa di San Carlo al Lazzaretto a Milano, almeno com’era una volta, senza pareti, aperta, a chiunque passasse, anche senza fermarsi a lungo. Però, al centro, c’era Gesù. E che fa se chi passava non si fermava a lungo: bastava un istante, perché Gesù lo guardasse. E che fa se quel qualcuno neanche lo sapeva che c’era Gesù: più importante era che Gesù lo guardasse, e magari in quello sguardo c’era un seme che chi lo sa dopo quanti anni avrebbe portato fiori e frutto.
Dev’essere così il nostro cuore. Va bene che sia aperto. Va bene che chiunque voglia possa venire a riposarsi. Va bene che ci sia chi esce, chi entra, forse fermandosi troppo poco. Se al centro c’è Gesù, anche se quel qualcuno passasse una sola notte, una sola ora, lo sguardo del Signore si sarà posato su di lui. E chissà che non sarà quello sguardo a restare per sempre – come quel bacio dato, quella notte, a quella medaglietta.