Interpretare la Bibbia sull’omosessualità
Testo dei teologi Todd A. Salzman* e Michael G. Lawler** tratto dal loro libro The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic (La persona sessuale. Verso un’antropologia cattolica rinnovata)***, Georgetown University Press, USA, 2008, capitolo 7, paragrafo 4-5, libera traduzione di Antonio De Caro del gruppo Davide di Parma
Nella tradizione occidentale, la singola e più influente strada che conduce alla condanna degli atti omosessuali è probabilmente l’interpretazione data alla storia biblica di Sodoma, almeno a partire dallo storico ebraico Giuseppe e dal filosofo ellenistico Filone.[1] Le Chiese occidentali hanno insegnato che la feroce distruzione di Sodoma fu provocata dagli immorali comportamenti omosessuali maschili lì praticati e, comprensibilmente, i cristiani hanno creduto acriticamente in ciò che le loro Chiese insegnavano. Sodoma ha persino dato il suo nome a una forma dell’omosessualità maschile, la sodomia. Rispetto a questa interpretazione ampiamente diffusa, possono essere sollevate due ragionevoli domande, la prima circa la sua accuratezza, la seconda circa il suo fondamento nel testo biblico. La nostra esegesi contestuale dimostra che l’interpretazione omosessuale della storia di Sodoma non è accurata, né sostenuta da una lettura del testo nel suo contesto storico-sociale.
La storia biblica non è così lineare come sembra al lettore inesperto. Il contesto della storia e il suo significato non comincia con Lot e gli uomini di Sodoma nel capitolo 19, ma con la storia dell’ospitalità di Abramo offerta a “tre uomini”, uno dei quali è presto identificato come “il Signore”[2] nel capitolo 18. Tre “uomini” passano dalla tenda di Abramo durante la loro strada verso Sodoma, e Abramo offre agli stranieri l’ospitalità richiesta dalla legge levitica: “quando uno straniero soggiorna con te nel tuo paese, non dovrai maltrattarlo…dovrai amarlo come te stesso”.[3] Abramo invita gli stranieri alla sua tenda. “Facciamo portare dell’acqua, lavate i vostri piedi, e riposatevi sotto l’albero mentre vado a prendere un boccone di pane così che possiate rinfrancarvi”.[4]
In effetti, Abramo fa più che offrire agli stranieri pane ed acqua. Fa cuocere a Sara, sua moglie, delle focacce per loro; uccide per loro un vitello “tenero e buono”; e li serve personalmente. La sua bontà è confermata dalla sua accoglienza ospitale dei tre stranieri, e allo stesso modo sarà confermata nel seguito anche la bontà di suo nipote Lot. Dopo avere mangiato, due degli uomini partirono per Sodoma, mentre il Signore rimase indietro per tenere con Abramo la famosa discussione su quanti uomini giusti sarebbero stati necessari per salvare Sodoma dalla distruzione.
“Due angeli giunsero a Sodoma di sera e Lot era seduto alle porte di Sodoma”.[5] Lot offrì ai due angeli l’ospitalità richiesta, conducendoli alla sua casa e dando loro da mangiare, ma – prima che si ritirassero per la notte – gli uomini di Sodoma circondarono la casa e chiesero a Lot di portare fuori i due uomini, “così che possiamo conoscerli (yadha)”.[6] Questa parola, “yadha”, è il punto cruciale per comprendere quello che stavano chiedendo gli uomini di Sodoma. Yadha è in ebraico la parola normale per “conoscere”, come viene tradotta nelle versioni ufficiali, ma è usata talvolta per indicare specificamente il rapporto sessuale. La questione allora è: quale significato è inteso in questo testo?
Il dizionario ebraico-inglese del Vecchio Testamento nota che yadha è usato 943 volte e solo in 10 di queste occorrenze è usato con qualche connotazione sessuale. A partire da questo dato, Barton osserva che in questo testo non è chiaro se yadha vada interpretato con una connotazione sessuale e che potrebbe anche significare che gli uomini di Sodoma volevano semplicemente fare la conoscenza dei due stranieri.[7]
Noi non troviamo convincente l’interpretazione di Barton. Il significato sessuale della parola sembra suggerito almeno da due aspetti. Primo, se tutti ciò che gli uomini di Sodoma volevano fare era apprendere l’identità degli stranieri, perché Lot dovrebbe pregarli “di non agire in modo così malvagio”?[8] Secondo, la stessa parola yadha è usata in un senso chiaramente sessuale quando Lot offre alla folla le sue due figlie: “vedete che ho due figlie che non hanno conosciuto uomo (yadha), lasciate che ve le porti fuori…Solo, non fate nulla a questi uomini, poiché essi sono giunti a rifugiarsi sotto il mio tetto”.[9] Noi crediamo che vi sia una chiara allusione ad un intento omogenitale contro i due stranieri di Sodoma, il che non implica che il peccato degli uomini di Sodoma fosse il peccato del comportamento omosessuale.
Il peccato più chiaro sia nel testo ebraico sia nel contesto è il peccato della mancanza di ospitalità. Che Lot sia preoccupato per l’ospitalità è reso evidente nella frase che abbiamo sottolineato prima, “non fate nulla a questi uomini, poiché essi sono giunti a rifugiarsi sotto il mio tetto”, cioè sotto il rifugio della mia ospitalità, che comprende proteggerli contro le intenzioni ostili della folla.
Gli uomini di Sodoma sono vincolati come Lot alla legge dell’ospitalità, ma essi dimostrano la loro sfrenata tendenza al peccato non adeguandosi alla legge. Se yadha va inteso nella sua connotazione sessuale, e noi crediamo di sì, allora gli uomini di Sodoma dimostrano la loro enorme mancanza di ospitalità cercando di stuprare gli stranieri. Se qualche azione è condannata nel testo, è il crimine di uno stupro omosessuale ostile, violento e inospitale, commesso da uomini eterosessuale pervertiti. Qui è appropriato il principio razionale di Moore per argomentare sulla moralità o immoralità del comportamento omosessuale: “Discutete a partire dalla migliore delle pratiche omosessuali, non dalla peggiore. La Chiesa vuole dimostrare che le pratiche omosessuali sono di per sé contrarie alla volontà di Dio, e pertanto contrarie al benessere umano, non semplicemente che i peggiori eccessi dell’omosessualità sono contrari al benessere umano”.[10] Anche se l’atto di stupro maschile omosessuale perpetrato da eterosessuali pervertiti è condannato in questo testo, siamo ben lontani da una condanna chiara ed inequivocabile degli atti d’amore omosessuali di persone con un orientamento omosessuale.
L’interpretazione del testo che proponiamo è sostenuta dal fatto che nel resto del Vecchio Testamento, dove Sodoma è menzionata regolarmente, nemmeno una volta si dice che il suo peccato fosse il comportamento omosessuale.
Ezechiele lo descrive come “orgoglio, eccesso di cibo, prosperità, ma non aiutava il povero e il bisognoso; erano altezzosi e compivano azioni abominevoli”.[11] Isaia consiglia ai governanti di Sodoma, suggerendo l’equivalenza consueta nel Vecchio Testamento fra Dio e il povero,[12] di “cercare la giustizia, frenare l’oppressione, difendere l’orfano, chiedere giustizia per la vedova”.[13] Il libro della Sapienza accusa esplicitamente di mancanza di ospitalità sia gli uomini di Sodoma, sia gli Egiziani: “Quelli [gli uomini di Sodoma] avevano rifiutato di ricevere degli stranieri quando erano arrivati da loro, ma questi [gli Egiziani] resero schiavi gli ospiti che erano stati i loro benefattori”.[14]
Per i cristiani, un argomento primario a sostegno della nostra interpretazione che il peccato di Sodoma è la mancanza di ospitalità è quando Gesù fa menzione di Sodoma nello stesso momento in cui parla della mancanza di ospitalità per i suoi discepoli: “Ogni volta che entrate in una città e gli abitanti non vi accolgono, andate per le strade e dite: noi scuotiamo contro di voi persino la polvere della vostra città che aderisce ai nostri piedi…Io vi dico che in quel giorno Sodoma avrà un destino più tollerabile di quella città”.[15] Gesù inoltre fa dell’ospitalità o della mancanza di ospitalità un motivo rilevante di salvezza o dannazione nella scena del Giudizio Finale nel Vangelo di Matteo.[16] Lawler, Boyle e May credono che Gd 1:7 “si riferisca a Sodoma e Gomorra e indichi il loro peccato come vizio contro natura”[17], ma il testo greco ekporneusasai kai apelthousai opiso sarkos heteras -soprattutto sarkos heteras, “un’altra carne“- semplicemente non supporta tale lettura tendenziosa.
Se la storia di Sodoma riguarda, in definitiva, azioni contrarie all’ospitalità e non azioni omosessuali, non si può avanzare questa riserva riguardo le prescrizioni del Codice di Purità nel Levitico. “Tu non giacerai con un maschio come con una donna: è un abominio”;[18] e “se un uomo giace con un maschio come con una donna, entrambi hanno commesso un abominio; essi saranno messi a morte”.[19] Ciò che il Codice di Purità dice non potrebbe essere più chiaro: il comportamento omosessuale maschile è un abominio. È importante osservare che sono gli atti maschili che sono proibiti in questi testi; i comportamenti lesbici non rientrano nella proibizione. Il pronome “tu” nell’espressione “tu non giacerai…” può essere frainteso. In Italiano “tu” si applica indiscriminatamente sia ai maschi che alle femmine; in Ebraico il pronome usato vale solo per i maschi. Sono gli atti omosessuali maschili che il Levitico definisce abominevoli, e questa restrizione rivela sia alcuni aspetti del contesto storico e sociale in cui il Levitico dice ciò che dice, sia che cosa potrebbe intendere quando lo dice.
La prima cosa da notare sul contesto ebraico è una scadente biologia. L’idea antica (ebraica, greca e romana) era che il maschio fornisse il “seme” che conteneva l’intero della vita; il femminile forniva semplicemente il “terreno” o il “campo” in cui il “seme”, un vero uomo in miniatura, veniva sparso per svilupparsi in un essere umano vero e proprio.[20] Versare quel seme, il nascente piccolo-uomo, in qualunque posto non potesse svilupparsi propriamente, a terra o nel corpo maschile, per esempio, era equiparato all’assassinio, e l’assassinio è stato sempre ritenuto un abominio. I colpevoli di assassinio subivano la stessa pena che il nostro testo prescrive per gli atti omosessuali maschili, cioè la morte.[21]
Dal momento che non sprecano alcuna vita, forse anche perché in una società patriarcale le donne semplicemente non contano, gli atti omosessuali femminili non sono ritenuti degni di considerazione nel Codice di Purità o da alcun’altra parte nel Vecchio Testamento. Il fatto che solo atti omosessuali maschili siano dichiarati abominevoli introduce un’altra considerazione contestuale, quella dell’onore maschile e delle azioni appropriate ad esso.
La famiglia estesa era ed è “il network primario, economico, religioso, educativo e sociale” nella società mediterranea.[22] Nell’ambito delle relazioni sociali, la famiglia era anche il centro dell’onore, attribuito esclusivamente ai maschi, in particolare al patriarca, capo della famiglia, che era anche il proprietario (per i diversi scopi) delle donne in essa, che fossero figlie o mogli. Per un maschio, “giacere con” un altro maschio, cioè svolgere un ruolo passivo e lasciarsi penetrare come una femmina, comprometteva seriamente l’onore maschile, non solo quello del maschio penetrato, ma anche quello di ogni altro maschio nella famiglia o nel clan. La passività di un maschio, da cui ci si aspettava che fosse attivo in tutti i campi, è stata sempre guardata con orrore e considerata motivo di disonore. In un tale contesto sociale e storico, ovviamente, gli atti omosessuali maschili sarebbero un abominio, non, tuttavia, in quanto atti omosessuali, ma in quanto azioni passivi e vergognose che minacciavano l’assetto sessuale, patriarcale e gerarchico, che pervadeva il Vecchio Testamento.[23]
Xavier Lacroix scrive che “abominio” è la traduzione dell’ebraico to-ebah, che può evocare il tohu-bohu dell’inizio della Genesi, cioè il caos che precedette l’azione creativa di Dio, che consistette nel separare, introdurre la differenza: fra giorno e notte, acque superiori ed acque inferiori, terra e mare, maschile e femminile. Questa ermeneutica lo induce a concludere che “l’omosessualità, perciò, è considerata come un ritorno al tohu-bohu [caos]”.[24] Questa conclusione rivela fantasia ma è così lontana dalla precisione etimologica da essere in sé un abominio ermeneutico. Non vi è alcuna connessione etimologica di sorta fra tohu-bohu and to-ebah.
Ma che cosa accadrebbe in un contesto sociale completamente differente: un contesto in cui non ogni essere umano va ritenuto “per natura” eterosessuale e si sa che alcuni sono omosessuali “per natura”; un contesto in cui l’onore non è la preoccupazione dominante; un contesto in cui si pensa che maschile e femminile contribuiscono egualmente alla creazione di una nuova vita?
In un contesto del genere, il comportamento omogenitale maschile non deve essere giudicato come disonorevole e immorale ipso facto; un comportamento omosessuale giusto ed amorevole, che sgorga da un innato orientamento omosessuale, non può essere ritenuto come perversione di una universale condizione eterosessuale e perciò non può essere giudicato come immorale ipso facto; e versare seme maschile non sarebbe più ritenuto spreco di vita, assassinio e abominio. In breve, quando l’interprete considera quello che la Bibbia dice sul comportamento omosessuale maschile e il contesto sociale e storico in cui lo dice, è difficile credere che la Bibbia dica qualcosa di più istruttivo per l’attuale contesto sociale e storico di quanto dice sulle leggi kosher.[25] Per come è inteso oggi, il comportamento omosessuale maschile può essere immorale o no, ma l’attuale giudizio sulla sua moralità non può essere basata su quello che il Vecchio Testamento afferma su di esso nel proprio specifico contesto spazio-temporale.
Dal momento che molti cristiani considerano il Vecchio Testamento compiuto, o persino superato, dal Nuovo, essi automaticamente danno più credito a ciò che sugli atti omosessuali dice il Nuovo Testamento. Dobbiamo, perciò, prendere in considerazione ciò che il Nuovo Testamento dice e, in particolare, dobbiamo prendere in considerazione quello che molti ritengono il passo fondamentale del Nuovo Testamento sull’omogenitalità, vale a dire il capitolo 1 della Lettera di Paolo ai Romani. È di nuovo importante notare il contesto, che è un attacco di Paolo non in particolare sugli atti omosessuali, ma in generale sulla società pagana, degenerata e soprattutto idolatra.
Dopo i saluti introduttivi, Paolo si lancia nelle consuete accuse giudaiche contro l’idolatria pagana: “che cosa può essere conosciuto su Dio è chiaro ad essi [i pagani], poiché Dio lo ha rivelato loro”.[26] Ma per quanto chiara l’esistenza del vero Dio di Israele possa essere per quanto i pagani dovrebbero avere conosciuto quel Dio dalle cose che Dio ha creato, essi non hanno riconosciuto Dio, essi “non hanno onorato Dio come Dio né gli hanno reso grazie”. Piuttosto, “essi hanno scambiato la gloria del Dio immortale per immagini che riproducono un essere umano mortale, o uccelli, o quadrupedi o rettili”.[27] L’errore radicale dei pagani, così crede Paolo, è che essi non adorano il vero Dio di Israele; essi sono idolatri, ed egli subito procede a descrivere il comportamento di tali idolatri. Visto che sono idolatri, per qualche punizione divina, “Dio li ha abbandonati, secondo le passioni del loro cuore, all’impurità, a disonorare i loro corpi…Dio li ha abbandonati a passioni vergognose…Dio li ha abbandonati a pensieri ignobili e a un comportamento disdicevole”.[28]Le passioni vergognose e gli atti omosessuali maschili e femminili compiuti da eterosessuali pervertiti sono la punizione divina sui pagani per la loro idolatria. Il diretto bersaglio del testo paolino è l’idolatria dei pagani, e le perverse azioni omosessuali compiute da eterosessuali a cui si presume che essa conduca, non le azioni omosessuali di coloro che per “natura” condividono la condizione omosessuale e i comportamenti omosessuali giusti ed amorevoli in cui essa potrebbe esprimersi.[29]
Il linguaggio esprime dei significati da e dentro un sistema sociale, e il linguaggio di Paolo rivela chiaramente il sistema sociale da cui egli scrive. Le donne hanno scambiato le relazioni naturali per relazioni innaturali, e gli uomini hanno abbandonato le relazioni con le donne per relazioni con gli uomini. Hanno scambiato che cosa, potremmo chiedere, hanno abbandonato che cosa? Hanno scambiato o abbandonato le azioni eterosessuali a cui si presumeva che l’eterosessualità vincolasse o desse diritto. Tutti gli uomini e tutte le donne sono eterosessuali, crede Paolo seguendo il giudaismo del suo tempo, e per compiere azioni omosessuali essi devono pervertire la loro vera “natura”. Questa perversione è ovviamente immorale.
Nel primo secolo, Paolo non ha alcuna idea della condizione contemporanea di omosessualità psicosessuale, in cui alcune persone, omosessuali per “natura”, dovrebbero pervertire la loro vera “natura” per compiere azioni eterosessuali. Il linguaggio rivela anche che Paolo sta parlando di relazioni “cariche di lussuria”,[30] molto probabilmente di pederastia, l’unica attività omosessuale maschile che a quel tempo poteva essere discussa pubblicamente.[31] Non sta parlando, perché non ne ha alcuna idea, di relazioni fra coppie omosessuali che potrebbero amarsi a vicenda in modo giusto e impegnarsi a vicenda con la stessa fedeltà di qualsiasi coppia eterosessuale. La condanna delle perverse azioni omogenitali degli eterosessuali non si traduce facilmente nella condanna ipso facto delle azioni giuste e amorevoli di coloro la cui condizione è per “natura” l’inversione e non la perversione dell’eterosessualità. Un ulteriore punto da notare, come osserva Countryman, è che da nessuna parte in questo testo Paolo usa il linguaggio del peccato; i pagani sono stati abbandonati solo all’impurità.[32]
Gli altri due testi citati dalla Congregazione della Dottrina della Fede (CDF) come solido fondamento per la dottrina della Chiesa sull’immoralità degli atti omosessuali, 1 Corinzi 6:9-10 e 1 Timoteo 1:10, presentano una seria difficoltà di traduzione. Dobbiamo solo esaminare nei dettagli il primo testo, perché la difficoltà è la stessa in entrambi. “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non lasciatevi ingannare: né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né malakoi, né arsenokoitai, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio”. La difficoltà di traduzione riguarda sia malakoi sia arsenokoitai e dobbiamo esaminarli più da vicino.
Malakos, la parola più facile da tradurre, significa letteralmente “morbido”, e la parola derivata malakia significa “morbidezza” può essere applicata alle persone in senso traslato, come ad esempio in Mt 11:8 quando Gesù chiede su Giovanni il Battista: “Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo in morbide vesti [en malakois]? Paolo come usa la parola? Vi sono alcune prove che sia malakos sia malakia erano usate metaforicamente, sul comportamento sessuale femminile, senza essere tuttavia limitate a questo significato.[33]
La Vulgata la traduce come molles (“effeminato”); la King James la traduce, seguendo la stessa linea, come effeminacy; la Revised Standard Version del 1973 la traduce come “prostituti”; e la New English Bible la traduce come adulterio. Non vi è una traduzione unanime. Malakos è chiaramente difficile da tradurre ma, tenendo in mente il contesto ebraico che abbiamo discusso in connessione con Levitico 18:22, c’è una traduzione contestuale legittima e chiara. L’onore era un valore primario nella cultura ebraica, specialmente l’onore maschile meritato e mantenuto da un uomo che si comporta come un uomo; la virilità era onorata e la femminilità sminuita. Delicatezza o effeminatezza negli uomini, dunque, in quanto effeminatezza senza alcun’allusione al comportamento omogenitale, era motivo di orrore come un “abominio”. D’Angelo articola questa lettura quando scrive che “i testi biblici che sono stati letti come condanna dell’omosessualità sono nati in parte per preservare il tipo di gerarchia sessuale che…è violata quando un maschio è ‘ridotto’ ad una condizione femminile”.[34]
Filone conferma questo valore culturale e la svalutazione dell’opposto. L’androgino, uomo-donna, giudica Filone, è “giustamente giudicato degno di morte da coloro che obbediscono alla legge” e l’uomo che lo ama è degno della stessa pena. “Egli cerca un piacere innaturale [e] non vede alcun male nel diventare guida e maestro nei gravi vizi della perdita della virilità (anandrias) e dell’effeminatezza (malakias) prolungando i boccioli della giovane età e svigorendo il fiore della maturità, che dovrebbe essere correttamente allenato alla forza e alla robustezza”.[35]
Per Filone, un autorevole commentatore della cultura ebraica contemporaneo a Paolo, un maschio deve essere maschile; deve possedere “forza e robustezza” ed evitare la malakia e ogni comportamento morbido e femminile. Un modo femminile di comportarsi è, senza dubbio, assumere il ruolo passivo (femminile) piuttosto che quello attivo (maschile) nel rapporto sessuale (stiamo parlando della cultura di Paolo, I sec. d. C., non della nostra cultura del XX sec. con la sua comprensione più avanzata della sessualità maschile e femminile), ma questo non vuol dire ancora che il ruolo passivo nel rapporto sessuale è ciò che viene condannato. È molto probabile che ciò che viene condannato è l’effeminatezza maschile in tutte le sue forme. Questa lettura è confermata dall’altra parola difficile, arsenokoitai, piuttosto rara, forse una parola coniata dallo stesso Paolo. L’opinione comune è che sia ispirata dalla versione dei Settanta di Levitico 18:22. Se ciò è vero, allora Paolo la usa nel contesto degli atti sessuali proibiti nel Levitico, ma nuovamente questo non significa che sono proprio questi atti in quanto omogenitali che sono un abominio. L’abominio potrebbe essere, nuovamente, la più generale svalutazione di un uomo che si comporta come una donna. Paolo condanna sia i malakoi sia gli arsenokoitai (che è anche la parola in gioco in 1 Timoteo 1:10), non per perversi atti omogenitali – come le versioni ufficiali insinuano – ma per la femminilizzazione degli uomini che Dio creatore chiama ad essere maschili.
La Bibbia e il discorso contemporaneo sull’omosessualità
Ciò ci conduce alla nostra terza questione e alla sua risposta: la Bibbia può dire qualcosa sulla confusione che caratterizza i cristiani di oggi riguardo l’omosessualità? Prima di tutto, andrebbe osservato che l’azione omosessuale non è una preoccupazione biblica rilevante. Non se ne fa menzione nei primitivi codici morali di Israele, non c’è nulla su di essa nel Decalogo, i Vangeli non riportano alcuna affermazione di Gesù su di essa e, né in ebraico né in Greco, c’è una parola per designarla. La conclusione di Malina sul testo di Romani è difficile da contraddire: “se torniamo al XXI secolo, dopo questa escursione nel I secolo, possiamo vedere che la prospettiva di Paolo, se considerata con coerenza, semplicemente non ha senso”.[36] Paolo non vive nel nostro contesto in cui l’omosessualità è scientificamente riconosciuta come una condizione naturale; noi non viviamo nel contesto di Paolo di scadente biologia, purità rituale o valore culturale; e il contesto antico non può essere tradotto diacronicamente nel contesto moderno su nessun tema, inclusa l’omosessualità.
La stessa conclusione si applica ai testi ancora più distanti del Vecchio Testamento. Essi sono articolati nello stesso contesto di quelli di Paolo. Si presume che ognuno sia eterosessuale e che, pertanto, ogni atto omogenitale è una perversione liberamente scelta; il maschio è la sola sorgente della vita e, pertanto, ogni dispersione del piccolo-uomo in un luogo dove non può svilupparsi è assassinio ed abominio; il maschio è anche la fonte dell’onore nella società e per un maschio comportarsi come una femmina, sessualmente o in altro modo, infama non solo lui, ma ogni altro maschio nella famiglia o nel clan corporativo: “I racconti del Vecchio Testamento sugli uomini di Sodoma in Genesi 19 e la concubina del Levita in Giudici 19 sono più preoccupati per notevoli mancanze di ospitalità e stupro di gruppo che per l’omosessualità in sé”.[37]
Per via della difficoltà di tradurre dei significati diacronicamente di epoca in epoca, le tradizioni cristiane stanno abbandonando un approccio biblico legalistico ai giudizi morali e stanno esplorando una interrelazione – più profonda, e forse moralmente ancora più ambigua – fra regole, norme, valori e virtù. Ci sono movimenti, sia storici sia contemporanei, che rifuggono dal giudizio semplicistico che quanto dice la Bibbia sia definitivo per tutti i tempi e sia pertanto la norma morale universale. Storicamente, Rodgers nota che questo movimento può essere trovato nel Commento a Romani di Tommaso d’Aquino che, se letto attentamente, dimostra un’acuta consapevolezza dell’interrelazione fra Scrittura, antropologia, esperienza, legge naturale e virtù; che ha delle implicazioni per l’interpretazione delle Scritture sull’omosessualità; e che “richiede ai teologi di tenere la questione aperta”.[38]
Nello stesso periodo, Cahill pone il problema sinteticamente: “avvertendo l’impossibilità di trasporre le regole dai tempi biblici ai nostri, gli interpreti cercano temi, valori o ideali più ampi che possano informare la riflessione morale senza determinare in anticipo specifici comportamenti”.[39] Furnish articola bene il tema più ampio che possiamo astrarre dai testi sia del Vecchio sia del Nuovo Testamento sul comportamento omosessuale: “Paolo, in accordo con la tradizione da cui è stato influenzato e con la saggezza dei suoi tempi, vedeva la malvagità della pratica omosessuale nel seguire i suoi impulsi pervertendo l’ordine naturale”.[40] La stessa malvagità, suggerita come stupro omosessuale, e lo stesso giudizio di perversione del presunto ordine naturale, si trovano nel racconto di Sodoma. Questi giudizi contro impulsi sfrenati e violenti e una perversione dell’ordine naturale non possono automaticamente essere applicati ad azioni omosessuali giuste ed amorevoli in persone il cui naturale orientamento sessuale è per persone dello stesso sesso.
Queste azioni possono essere immorali o no, ma qualsiasi giudizio di immoralità dovrà fondarsi su basi diverse dal semplice fatto che la Bibbia condanna gli atti omosessuali di maschi eterosessuali. Il giudizio di Spark è anche il nostro: “Se ci basiamo solo sui dati della Scrittura, rimaniamo privi di una chiara e netta condanna di ciò che potrebbe essere chiamato comportamento omosessuale coerente o vincolante”.[41]
Noi siamo d’accordo con la maggioranza dei teologi morali cattolici: una norma morale universale e assoluta esiste, e che tale norma dissipa ogni possibile confusione. Concordiamo, tuttavia, anche con il teologo morale cattolico Dietmar Mieth: l’unica norma morale assoluta è la norma astratta che “bisogna fare il bene ed evitare di fare il male” e che ogni altro giudizio morale richiede un concreto ed empirico discernimento.[42]
Joseph Fuchs è d’accordo. “Non c’è discrepanza di teorie e opinoni nella teologia morale cattolica riguardo l’unico assoluto etico”, scrive; “la traduzione dell’assoluto etico nella [concreta] pluralità materiale della realtà umana è, tuttavia, una questione diversa”.[43] L’ermeneutica per questa traduzione è controllata, come è sempre controllata nella tradizione morale cattolica, dalla libera persona umana che cerca di essere attenta, intelligente, razionale e responsabile nella situazione sociale e storica attuale.[44] Non può essere altrimenti per persone libere che vivono in un mondo fisico e umano soggetto alla storicità.
Bernard Lonergan era convinto che qualcosa di nuovo stava accadendo nella storia del XX secolo e che, dato che una teologia viva dovrebbe essere parte di ciò che sta avendo luogo nella storia, i cristiani stavano vivendo in una nuova età teologica che richiedeva un nuovo approccio teologico. Tale nuovo approccio, era la sua corretta profezia, sarebbe necessariamente storico ed empirico. La distinzione di Lonergan fra una nozione classicistica ed una empirica di cultura è stata ampiamente accettata:[45] “la nozione classicistica di cultura era normativa: almeno de iure non c’era che una cultura che fosse sia universale sia permanente”. La nozione empirica di cultura era “l’insieme di significati e valori che informa uno stile di vita. Può rimanere immutata per secoli. Può essere soggetta a un processo di lento sviluppo o rapida risoluzione”.[46] La cultura classicistica è statica, ma la cultura empirica è dinamica.
La teologia, che è inevitabilmente parte della cultura, rispecchia questa distinzione. In versione classicistica la teologia è un’acquisizione statica, permanente che ognuno può apprendere; in versione empirica è un processo dinamico, in fiĕri, che richiede una persona libera, allenata e impegnata. Questa distinzione è valida per i teologi morali come pure per coloro che praticano ogni altra disciplina. La visione classicistica, scrive Fuchs, concepisce la persona umana come “una serie di fatti temporali creati, statici e così definitivamente ordinati”. La visione empirica concepisce la persona come soggetta a un processo di “autorealizzazione in accordo con un progetto che si sviluppa nell’autonomia data da Dio, che è, sulla strada della ragione e dell’intuizione umana, attuata nel presente con uno sguardo al futuro”. [47]
La teologia classicista, come quella della Nuova Teoria della Legge Naturale, vede le norme morali derivare dal Magistero , in modo definitivo una volta per tutte. La teologia empirica vede le norme morali del passato non come fatti da accettare in modo acritico e passivo, ma come idee che sono basi parziali per comprendere, ponderare e valutare in modo attivo e critico e condurre ad un giudizio e ad una decisione ragionevoli nella situazione sociale e storica di oggi.
Quanto gli scrittori della Genesi e del Levitico, Paolo, Agostino e i loro successori medievali sapevano della sessualità non può essere la base esclusiva per il giudizio morale contemporaneo sulla sessualità. A questo proposito, nella nostra riflessione sull’omosessualità, la novità teologica per i cristiani contemporanei nella coscienza classicistica è duplice: primo, che la Bibbia è innegabilmente soggetta alla storicità e che, pertanto, secondo, non ci sono norme assolute e definitive sulla sessualità o sull’omosessualità da trasferire acriticamente dai contesti sociali e storici della Bibbia a quelli contemporanei.
I cristiani dovranno, pertanto, discernere i giudizi morali sugli omosessuali per natura e il comportamento omosessuale su basi diverse da quello che la Bibbia sostiene. Queste basi includono la dottrina del Magistero e la riflessione delle scienze empiriche sull’esperienza umana. A queste ora ci dedicheremo.
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[1] Vedi Martti Nissinen, Homoeroticism in the Biblical World: A Historical Perspective (Minneapolis: Fortress Press, 1998), 93-95.
[2] Gen 18:2, 3, 10, 13, 14, 17, 17, 22.
[3] Lev 20:33-34.
[4] Gen 18:4-5.
[5] Gen 19:1.
[6] Gen 19:5.
[7] G. A. Barton, “Sodomy,” in Encyclopedia of Religion and Ethics, a cura di James Hastings (Whitefish, MT: Kessinger Publishing, 2003), 11, 672. Derrick Sherwin Bailey, Homosexuality in the Western Christian Tradition (London: Darton, Longman, Green, 1955), 1-6, avanza la stessa ipotesi: gli uomini di Sodoma volevano semplicemente conoscere l’identità degli stranieri.
[8] Gen 19:7.
[9] Gen 19:8.
[10] Moore, Question of Truth, 5.
[11] Ez 16:49.
[12] Vedi Michael G. Lawler, Being Christian and the Service of Love and Justice, Liturgical Ministry 13 (2004): 10-22.
[13] Is 1:17.
[14] Sap 19:14.
[15] Lc 10:10-12; cfr. Mt 10:14-15.
[16] Mt 25:34-46.
[17] Lawler, Boyle, e May, Catholic Sexual Ethics, 305 n. 58.
[18] Lev 18:22.
[19] Lev 20:13.
[20] Per la società greca, vedi Paige du Bois, Sowing the Body: Psychoanalysis and Ancient Representations of Women (Chicago: University of Chicago Press, 1988), 39-85. Per la società ebraica, vedi Sir 26:19; e Mishna, Ketuboth, 1, 6. Per la società islamica, vedi Carol Delaney, The Seed and the Soil: Gender and Cosmology in Turkish Village Society (Berkeley: University of California Press, 1991).
[21] Lev 24:17, 21; Num 35:30; Es 20:13.
[22] Bruce J. Malina e Richard L. Rohrbaugh, Social Science Commentary on the Synoptic Gospels (Minneapolis: Fortress Press, 1992), 202. Vedi anche Carolyn Osiek e David L. Balch, Families in the New Testament World: Households and House Churches (Louisville: Westminster / John Knox Press, 1997); e Halvor Moxnes, Constructing Early Christian Families (London: Routledge, 1997).
[23] Lo stesso sistema di onore e vergogna esisteva fra I Greci. Benché fosse accettabile per un ragazzo avere un comportamento sessuale passivo, non lo era per un uomo adulto. Assumere il ruolo passivo, femminile, nei rapporti sessuali provocava disonore e segnava negativamente il suo status e il suo ruolo nella società. Vedi Foucault, The Use of Pleasure: The History of Sexuality, vol. 2, trad. Robert Hurley (New York: Pantheon, 1985), 187-225.
[24] Xavier Lacroix, Une parole ethique recevable par tous? in L’amour du semblable: Questions sur l’homosexualité, a cura di Xavier Lacroix (Paris: Cerf, 2001), 150.
[25] Lev 11.
[26] Rom 1:19.
[27] Rom 1:21-23.
[28] Rom 1:24-28.
[29] Vedi Dale B. Martin, Heterosexism and the Interpretation of Romans 1:18-31, Biblical Interpretation 3 (1995): 332-55. Per una lettura contraria, vedi Hays, Relations Natural and Unnatural, 184-215; e Richard B. Hays, The Moral Vision of the New Testament: Community, Cross, New Creation: A Contemporary Introduction to the New Testament (San Francisco: Harper San Francisco, 1996), soprattutto il cap. 16.
[30] Walter Wink, Homosexuality and the Bible in Homosexuality and Christian Faith, a cura di Wink, 36.
[31] Vedi Scroggs, New Testament and Homosexuality, 44-65.
[32] William Countryman, Dirt, Greed, and Sex: Sexual Ethics in the New Testament and Their Implications for Today (London: SCM Press, 1989), 100-17.
[33] See Scroggs, New Testament and Homosexuality, 62-65.
[34] Mary Rose D’Angelo, Perfect Fear Casteth Out Love: Reading, Citing, and Rape in Sexual Diversity and Catholicism: Toward the Development of Moral Theology, a cura di Patricia Beattie Jung con Joseph A. Corey (Collegeville, MN: Liturgical Press, 2001), 181.
[35] Filone, Leggi speciali III, da Loeb Classical Library. Philo, vol. VII (London: Heinemann, 1937), 37-39.
[36] Bruce J. Malina, The New Testament and Homosexuality in Sexual Diversity and Catholicism, a cura di Jung, 168.
[37] Daniel Harrington e James Keenan, Jesus and Virtue Ethics: Building Bridges between New Testament Studies and Moral Theology (Lanham, MD: Sheed and Ward, 2002), 166.
[38] Eugene F. Rogers Jr., Aquinas on Natural Law and the Virtues in Biblical Context, Journal of Religious Ethics 27 (1999): 52.
[39] Lisa Sowle Cahill, Is Catholic Ethics Biblical?, Warren Lecture Series in Catholic Studies, No. 20, University of Tulsa, Tulsa, 1992, 5-6.
[40] Victor Paul Furnish, The Moral Teaching of Paul. Selected Issues (Louisville: Abingdon, 1985), 78.
[41] Richard Sparks, Contemporary Christian Morality (New York: Crossroad, 1996), 81.
[42] Dietmar Mieth, Moral und Erfahrung: Beitrage zur theologisch-ethischen Hermeneutik (Freiburg: 1977), 34.
[43] Joseph Fuchs, Moral Demands and Personal Obligations (Washington, DC: Georgetown University Press, 1993), 27.
[44] Bernard J. F. Lonergan, Method in Theology (New York: Herder and Herder, 1972), 20.
[45] Per l’elaborazione di questo punto, vedi Michael G. Lawler, What Is and What Ought to Be (New York: Continuum Press, 2005).
[46] Ibi xi.
[47] Fuchs, Moral Demands, 39.
* Todd A. Salzman è professore di teologia cattolica e presidente del (Dipartimento di Teologia dell’Università di Creighton (USA) e coautore di Marriage in the Catholic Tradition: Scripture, Tradition, and Experience e autore di What Are They Saying about Roman Catholic Ethical Method?.
** Michael G. Lawler è professore emerito di teologia cattolica all’Università di Creighton (USA). È l’autore di What Is and What Ought to Be: The Dialectic of Experience, Theology e di Church and Marriage and the Catholic Church: Disputed Questions.
*** Libro vincitore del Premio CPA 2009 per la teologia dell’Associazione Stampa Cattolica degli Stati Uniti.