Io che amo solo te. Quando in un’amicizia irrompe l’amore gay
Dialogo di Katya Parente con Alessandro Di Marco
Una storia che fa pensare quella raccontata dalla pièce teatrale “Io che amo solo te”. Fa pensare perché, per una volta, non esiste l’happy ending di prammatica, perché si parla di adolescenti, a cui prestano volto e voce Riccardo D’Alessandro e Andrea Lintozzi, di sentimenti nascosti e destinati a rimanere tali: uno spettacolo di forte impatto emotivo quello di Alessandro Di Marco e Lucilla Lupaioli, che non può lasciare indifferenti. E proprio Alessandro è con noi per parlarcene.
Chi sono Nicco e Vale, i due protagonisti?
Niccolò e Valentino sono due ragazzi che si conoscono da sempre e che, da sempre, condividono tutto. Condividono quello che normalmente unisce i ragazzi della loro età. Il tempo, prima di tutto, e poi le partite di pallone, la scuole, le birre, il fumo, l’amicizia. Sono due ragazzi come tanti e, al tempo stesso, straordinari, perché, una sera, dopo una delle tante feste, forse con la complicità di qualche birra di troppo, Nicco e Vale scoprono di potersi amare in modo differente rispetto a quello che mai avrebbero pensato.
La reazione, ovviamente, è esplosiva. Da un lato la gioia, ma dall’altro, fortissima, la paura, la paura di essere i diversi, di essere esclusi dal branco, di non appartenere, di essere gli altri. E noi sappiamo benissimo quanto, in modo particolare in età adolescenziale, i ragazzi sentano fortemente il bisogno di essere uniformati, di non essere “quelli strani”.
Perché raccontare una storia che lascia l’amaro in bocca?
Si tratta, in primo luogo, di una scelta fortemente voluta e condivisa da me e Lucilla Lupaioli, con la quale ho avuto la fortuna di poter scrivere questo testo. Molto spesso, e la cronaca, tristemente, anche in questi giorni, ce lo ricorda, queste storie non hanno un lieto fine. È vero che, fortunatamente, i tempi stanno cambiando, si sta formando, soprattutto nelle nuove generazioni, la volontà di inclusione e rispetto di ogni forma di diversità.
Ma è altrettanto vero che il coming out non è sempre un momento sereno e ben accolto. Quello che vogliamo è che la storia raccontata in questo spettacolo non accada più, mai più. E forse, presentare un finale che, come dici tu, lascia “l’amaro in bocca”, rappresenta la necessaria catarsi per poter riflettere sui propri comportamenti e sulla necessità di cambiare le cose.
Dal micro al macro. In che modo la storia di Nicco e Vale rispecchia la realtà odierna?
Come ti dicevo poco fa, la cronaca continua ad essere piena, purtroppo, di aggressioni a sfondo omofobo. Ancora, molti ragazzi vengono letteralmente perseguitati, in presenza e sui social, perché effeminati, perché scelgono di indossare un capo di abbigliamento “da femmina” se si è ragazzi o “da maschio” se si è una ragazza. È cronaca recente la notizia, scioccante ma purtroppo frequente, di un ragazzino di 13 anni che ha scelto di farla finita perché, a quanto pare, assediato dai bulli, dai loro commenti sui social. Una società in cui accade una cosa del genere, una società in cui non esiste una legge specifica che punisca i colpevoli per reati di questo tipo, beh, non dovrebbe essere definita società civile.
La vicenda è tutta giocata sul ricordo ed è accompagnata da alcune delle canzoni storiche della musica leggera italiana. Perché questa scelta?
L’unica canzone italiana nello spettacolo è proprio la bellissima “Io che amo solo te” scritta da Sergio Endrigo e ricantata, tra gli altri, in una versione particolarmente commovente, da Fiorella Mannoia. L’idea di usare questa canzone è stata proprio di Lucilla, e secondo me è vincente. Esistono, si dice sempre, canzoni senza tempo, che raccontano amori che vanno oltre il tempo e lo spazio. “Io che amo solo te” è una di queste.
Mi piaceva molto, inoltre, che, in un momento molto intenso dello spettacolo, due ragazzi così giovani potessero rispecchiarsi in una canzone appartenuta, forse, ai loro nonni. Per il resto, nel corso dello spettacolo, ho scelto di usare le musiche dei Placebo, che amo molto e che, nei testi, in qualche modo, raccontano stati d’animo simili a quelli dei due giovani protagonisti.
Lo spettacolo è andato in scena in molte scuole italiane. Come l’hanno recepito i ragazzi?
Alcune repliche dello spettacolo sono state espressamente rivolte alle scuole di Roma e, in genere, comunque, visto che io lavoro con gli adolescenti su più fronti e Lucilla dirige il “Centro Studi Acting”, una scuola di formazione per attori, ogni replica è stata letteralmente affollata da ragazzi che poi tornavano e portavano i loro amici per mostrare loro lo spettacolo.
Vedere le loro espressioni agli applausi finali, lo dico sempre, non ha prezzo. Vedere ragazzi che, magari, normalmente, non si pongono problemi del genere o che non sono direttamente toccati dal problema commuoversi fino alle lacrime, ci fa ben sperare per il futuro. Molti genitori, dopo aver visto lo spettacolo, sono voluti tornare con i loro figli, anche bambini, perché credevano che fin da piccoli sarebbe necessario imparare il rispetto e l’accoglienza per ognuno. E non potrei essere più d’accordo con loro.
Ringraziamo Alessandro Di Marco per la sua disponibilità. È indispensabile, come anche lui fa’, sottolineare l’importanza dell’educazione ad un modo di pensare inclusivo ed empatico fin dalla più tenera età, per fare in modo che storie come quella di Nicco e Vale siano solo un (brutto) ricordo.