Io genitore con un figlio omosessuale per cosa è giusto che preghi Dio?
Dialogo di Paolo, volontario del Progetto Evangelici con Gabriele Bertin, candidato al ministero pastorale della chiesa valdese e vicesegretario FGEI
Quante volte genitori di figli omosessuali si son ritrovati a dover pregare per i propri figli, cercando da Dio una risposta che contrastasse la condizione dei propri figli, sperando in un miracolo divino, o sperando di ottenere una risposta che prevedesse il miracolo del ritorno ad una condizione di eterosessualità? Sorge spontanea la domanda: “Io genitore, sto pregando per qualcosa che rende felice me o mio figlio/a?”
Chiediamo dunque al pastore:
Spesso i nostri genitori, pregano affinché Dio ci liberi dall’omosessualità. Per cosa dovrebbero pregare i genitori di ragazz* omosessuali se auspicano davvero la Salvezza per i loro figli?
La genitorialità non è facile (immagino). L’avere figli e figlie vuol dire guardarsi dall’esterno anche come genitore, come famiglia, nei risultati buoni e in quelli meno.
Quando un genitore ascolta il coming-out di un figlio/a spesso pensa che sia “colpa sua”: non c’è stato una figura maschile di riferimento, non avrei dovuto far fare gli sport da maschi, vedrai che è una fase di passaggio. Si diventa, come recita un celebre documentario “genitori due volte”. E questa seconda genitorialità vuol dire esserlo dall’inizio: cambiare il linguaggio, le aspettative, i progetti che si avevano per i propri figli e figlie.
Non so come sia possibile pensare di pregare per “liberare” un figlio/a dall’omosessualità. Penso sia più corretto pregare per liberare la società e le chiese dalle gabbie mentali che le opprimono, dai sistemi di oppressione affettiva e di genere del patriarcato etero normativo. Perché, penso, che il desiderio di un genitore sia quello di vedere il proprio figlio/a felice e realizzato/a nei propri progetti non in quelli del genitore.
La salvezza, nella chiesa da cui vengo io, non è legata all’agire umano. Ma è stata data per Grazia in Gesù Cristo che è venuto nel mondo per liberarci dai nostri peccati. La mia vita, in parole e in azioni, altro non è che una risposta a quella grazia che mi ha salvato e risollevato, per una salvezza che nella mia imperfezione ho già ricevuto dalla mano tesa di Dio che si è fatta corpo in Cristo. Non è il mio orientamento sessuale che sancisce la mia salvezza o meno, ma sta a me viverlo nel rispetto mio e dell’altra persona.
Certo, non solo i genitori ma tutti/e dovremmo essere capaci di pregare perché sia fatta la volontà di Dio e non la nostra, evitando di contorcere quello che pensiamo sia il volere divino con il nostro ego. Questo è un passaggio che prescinde l’accettare l’omosessualità di un figlio, ma che insegna ad essere a nostra volta figli e figlie di un altro genitore: di Dio Padre e Madre nostro.
Ringraziamo il pastore Gabriele Bertin*, continueremo nei prossimi articoli ad approfondire aspetti importanti dell’essere cristiani ed omosessuali all’interno delle chiese evangeliche.
*Gabriele Bertin, candidato al ministero pastorale, affidato alla chiesa Valdese di Palermo e vicesegretario FGEI (Federazione Giovanile Evangelica in Italia).
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