Io insegnante cattolico davanti alla follia del gender
Riflessioni di Gilberto Borghi pubblicate sul sito Vino Nuovo il 22 giugno 2015
Ai miei occhi non c’è alcun dubbio che la cosiddetta “ideologia gender” sia una follia olimpica che non sta né in cielo né in terra. Come insegnante sono anni che ci lavoro sopra e vedo nelle mie classi come i ragazzi si rapportano a questa follia (ne ho già dato conto qui in passato). Se ritorno sulla questione è perché ho la sensazione che il mondo cattolico stia reagendo a questa follia con un allarmismo che tradisce troppe contiguità nascoste tra l’antropologia che in casa nostra va per la maggiore e quella che fa da sfondo al gender. E non riesco a tacitare tre domande che mi sembra non entrino mai nell’orizzonte delle riflessioni cattoliche sul tema.
Prima. L’ideologia gender sostiene che l’identità di genere sia frutto culturale e non nasca da dati biologici-somatici. Quindi l’educazione diventa essenziale per definirla. Una follia olimpica! Basterebbe davvero ascoltare sul serio chi vive il problema sulla propria pelle. Ma le ideologie non si curano delle persone. Però se guardo come reagisce il mondo cattolico mi sembra che il principio di fondo utilizzato sia il medesimo. Per contrastare il gender, si dice in casa nostra, ci vuole una nuova e specifica forma di educazione, quella alla differenza di genere, con strategie e percorsi ad hoc.
Ma come? Se siamo convinti sul serio che l’identità di genere sia connessa a dati biologici-somatici e non sia solo frutto educativo, perché ipotizziamo che si debba potenziare la dimensione educativa contro chi nega quella biologico-somatica? In altre parole: finora gli educatori cattolici che cosa hanno fatto? Come è stato possibile sostenere lo sviluppo di identità corrette senza educare anche alla differenza di genere? E allora perché nuove strategie e percorsi ad hoc? Non è che per caso, nascostamente, pensiamo che l’identità di una persona sia un dato eminentemente culturale? Come mai il fatto di essere maschio o femmina non è stato molto centrale nei nostri percorsi educativi? Quanti educatori cattolici hanno lavorato finora con strategie e forme differenziate per sostenere lo sviluppo di un’identità cattolica femminile diversa da quella maschile?
Seconda. L’ideologia gender sostiene che il sesso e il genere siano nettamente separati. L’uno è un dato biologico-somatico, l’altro culturale-educativo. Una relazione affettiva tra due omosessuali nasce e si impianta su un dato educativo-culturale. Ma perché allora deve poi esprimersi anche sul piano biologico-somatico? Se sono davvero due piani separati questa è una contraddizione evidente. Ma se guardo gli strumenti antropologici che il mondo cattolico mette in campo ho anche qui la sensazione che cambi solo il contenuto, ma la separazione su cui nasce il gender resti la stessa. Di che cosa si compone, infatti, per noi l’identità di genere? L’anima di una donna e quella di un uomo sono diverse? La teologia che va per la maggiore da quindici secoli nel mondo cattolico dice di no. Ma contemporaneamente dice che l’essenza dell’essere umano è l’anima. Ma se uomo e donna non sono diversi per essenza, la differenza di genere finisce per essere una differenza accidentale, irrilevante. E senza volerlo questo ha prodotto il terreno di cultura su cui si è impiantato il gender.
Infatti noi diciamo che l’identità di genere è costituita dalla differenza tra mascolinità e femminilità. Cioè il centro e l’essenza della differenza tra un ragazzo e una ragazza sono considerati il modo di pensare, di sentire, di reagire, le dinamiche psicologiche. Costrutti culturali perciò. Mentre la differenza sessuale, che il corpo ancora ci mostra, resta sullo sfondo, viene data per scontata e raramente diventa il luogo principale su cui impiantare una differenza identitaria.
Eppure la Bibbia ci dice: “maschio e femmina li creò”. Cioè un dato fisico-sessuale. Come mai in ambito cattolico non abbiamo ancora il coraggio di porre il corpo alla base dell’educazione per sostenere una differenza identitaria?
Terza. Prendo atto che ne mondo cattolico si teme l’esistenza di lobby che premono per diffondere il gender nel mondo. Prendo anche atto che alcuni di noi vedono nel gender il frutto dell’opera del demonio. Più modestamente, io credo che una delle motivazioni che danno credito al gender presso molte persone sia la mancanza di parole positive sul senso della vita di chi vive un’identità di genere non armonica con la sua identità sessuale. Anche e soprattutto in casa cattolica.
Se un omosessuale si trova a vivere così e, come io credo, non sceglie lui la sua condizione, ma al massimo l’accetta o la contrasta, bisognerà pure che lui trovi un senso positivo alla sua esistenza. O, pure noi cattolici, ci dobbiamo accodare a coloro che ipotizzano che debbano essere cancellati dalla faccia della terra? E allora perché non siamo capaci di produrre, per loro, parole positive sul senso della loro vita? Che pure ci sarà, se Dio permette che vivano così.
Al di là di quel famoso “chi sono io per giudicare”, di papa Francesco – che molti si sono precipitati a usare snaturandolo – non abbiamo prodotto molto in questo senso. E pensiamo che questo aiuti a ricomporre in loro una maggiore unità esistenziale tra mente cuore e corpo? Continueremo a pensare che sono “malati”? O depravati? O possiamo accedere a letture più positive?