“Io Pierre Seel”. Vita di un deportato omosessuale
Recensione di Giorgio Gervasoni
“Io, Pierre Seel, deportato omosessuale” (ed. Massari editore, 2020). Il testo originale, in francese, risale al 1994, pubblicato a Parigi col titolo Moi, Pierre Seel, déperté homosexuel. Récit écrit en collaborazione avec Jean Le Bitoux.
E’ il racconto autobiografico che Pierre Seel, nato nel 1923 a Haguenau in Alsazia, vicino a Mulhouse e a Strasburgo, fa della parabola della sua vita conclusasi nel 2005, dopo una serie di vicende che causarono in lui molta sofferenza, ma anche il conseguimento della piena consapevolezza di sé che, in età ormai matura, decide di non poter più continuare a nascondere la propria identità omosessuale.
Nato e cresciuto in una famiglia cattolica, si rende conto, nell’adolescenza, della propria condizione omosessuale, che deve però mantenere rigorosamente nascosta, alla famiglia prima di tutto; da ciò i primi contatti con altri omosessuali, suoi coetanei o più adulti, vissuti spesso con forti sensi di colpa e col timore di essere scoperto, finché viene di fatto condotto al commissariato di Mulhouse e schedato come omosessuale.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e l’occupazione francese da parte dei Tedeschi, Pierre Seel, in quanto omosessuale, il 13 maggio 1941 viene deportato nel campo di Schirmeck (sempre in Alsazia) dove rimane fino al novembre di quell’anno e dove vive in prima persona gli orrori dei campi di concentramento. Liberato, senza ricevere spiegazioni, torna a casa propria in attesa di essere mandato al fronte: cosa che accade nel marzo del 1942 e, da allora, il protagonista viene mandato sui vari fronti della guerra, arruolato tra i Tedeschi, fino alla fine del conflitto.
Lasciando al lettore il seguito del racconto, emerge con evidenza il peso e il senso di isolamento e di vergogna che Pierre Seel avverte quando la sua famiglia viene a sapere della sua omosessualità, vista come un oltraggio ai principi cattolici e alla reputazione dei familiari. Il suo silenzio continua per decenni, fino al punto di decidere di cancellare l’omosessualità dalla propria vita.
Ma ciò che fa scattare una reazione che segnerà una svolta decisiva, con una serie di conseguenze, tra cui questa stessa biografia e il bisogno di raccontare, sarà il fatto di sentir dire alla radio, l’8 aprile 1982, dal vescovo di Strasburgo: “Considero l’omosessualità una malattia. Rispetto gli omosessuali così come rispetto i malati. Ma se vogliono far passare la loro malattia come condizione normale di salute, io non sono d’accordo”.
Credo che, a ragione, si possa dire che da quel momento in poi, per Pierre, ha avuto inizio una vera e propria resurrezione.
Pierre Seel, Io, Pierre Seel, deportato omosessuale, scritto in collaborazione con Jean Le Bitoux, Massari editore, 2020, 175 pagine.