“Io sono il buon pastore…” (Giovanni 10:11-16)
Riflessioni bibliche* di Giacomo Tessaro**
Care sorelle e cari fratelli, sappiamo bene, come protestanti, che l’unico capo della Chiesa è Gesù Cristo: come protestanti, non accettiamo capi e capetti umani che nella Chiesa dettino legge o ci tarpino le ali, pur riconoscendo le regole della civile convivenza: siamo appunto sorelle e fratelli, uniti in un vincolo di fiducia e collaborazione.
Nel vangelo di Giovanni Gesù, oltre a presentarsi come amico, come pane disceso dal cielo e in altri modi ancora, nel passo che qui proponiamo si presenta come pastore di pecore, un mestiere con cui credo che nessuno di noi abbia mai avuto molto a che fare: anche per questo motivo è un’immagine che ci crea dei problemi; non solo abbiamo poca famigliarità con la pastorizia, ma nell’epoca moderna la pecora è divenuta simbolo di chi segue ciecamente una dottrina, una religione, una persona più o meno benintenzionata, che non si pone domande, che non pensa con la propria testa; il “pecorone”, nel sentire comune, non è certamente un’immagine positiva, pur essendo una figura che conosce una discreta diffusione.
La pecora è in effetti un animale gregario, che non ama stare da solo, cammina, si ferma e pascola all’unisono con il gregge, ma Gesù vuol dirci altre cose, che la sensibilità odierna, estranea al messaggio evangelico, non vuole cogliere per malafede o ignoranza.
La similitudine che leggiamo nel nostro passo nasce dalla polemica di Gesù con i farisei, gli insegnanti della Legge che dovrebbero nutrire con la Parola il popolo analfabeta che non ha approfondito gli studi religiosi; i farisei dovrebbero accogliere chi manifesta dubbi e incertezze, dovrebbero essere comprensivi verso chi sbaglia, chi pecca, chi interpreta la Legge in maniera diversa. Al contrario, gli avversari di Gesù, che sono la parte peggiore dei farisei e non la totalità dei dottori della Legge, divorano le case delle vedove, studiano e insegnano per acquistare prestigio, potere e visibilità, stanno con Gesù non per ascoltarlo ma per coglierlo in fallo. Le accuse che Gesù muove nei loro confronti le conosciamo bene.
Lui invece dedica la vita alle esigenze non solo dei suoi discepoli, ma di tutto il popolo che a lui si rivolge. Grazie alla loro conoscenza i farisei sarebbero destinati ad essere i pastori del gregge, ma il comportamento di molti di loro e l’ossessione per i dettagli della Legge tipica del loro modo di pensare fa loro perdere di vista l’essenziale della Legge, che Gesù è venuto a ribadire. Molte sono le persone che i farisei, assieme ai sadducei, che si comportano spesso in maniera altrettanto intollerante, cacciano dalla loro presenza, dal Tempio, dalla comunità di Israele; persone che per loro non sono religiosamente degne: questi dottori della Legge disperdono il gregge di Israele perché, ai loro occhi, le pecore sono peccatrici, o malate, o possedute da Satana, in ogni modo non sono degne di fare parte del gregge. La missione di Gesù è radunare nel suo ovile le pecore da loro cacciate. Gesù prova un forte amore per il popolo israelita, che altrove paragona anche a dei pulcini che si radunano sotto le ali della chioccia.
L’amore di Gesù per le pecore a lui affidate dovrebbe essere l’esempio a cui tendere da parte dei responsabili delle Chiese e dei movimenti che alla vita e all’insegnamento di Gesù si ispirano. Ma sappiamo bene che non è sempre così. A partire soprattutto dal secolo scorso, molti sono gli esempi di cattivi pastori che ci sono arrivati da tutto il mondo, conosciuti grazie ai media: abbiamo visto pastori di greggi più o meno piccole, le loro sette, i loro gruppuscoli, avidi di denaro oltre ogni limite, che estorcono i beni dei loro adepti, li sfruttano, in non pochi casi li spingono al suicidio; Gesù dà la vita per le sue pecore, costoro succhiano la vita dalle loro pecore.
Anche all’interno delle Chiese maggioritarie, tanto dai movimenti cattolici più o meno “di frangia” quanto da quelli che si ispirano più o meno lontanamente alla Riforma, i fatti di cronaca alzano il coperchio sul comportamento di molti pastori che ammassano ricchezze e abusano sistematicamente di chi si rivolge a loro, riuscendo il più delle volte a cavarsela con poco. Le persone che sono incappate in queste sette evidentemente erano prive di un pastore che le amasse e le conoscesse intimamente; stavano in un ovile sorvegliato da un mercenario, da loro considerato un degno guardiano oppure un pastore scrupoloso, che non appena sono arrivati dei ladri decisi e determinati a rubare delle pecore è fuggito, oppure non era nemmeno sul luogo di lavoro.
Cosa ha da offrire Gesù ha chi cerca un punto di rifugio, cosa abbiamo da offrire noi a chi cerca un ovile dove stare in tranquillità, vicino a pascoli abbondanti? Il buon pastore, come abbiamo detto poco fa, ha un legame affettivo con le sue pecore, un legame d’amore personale, una conoscenza che deriva dalla vita in comune, più simile a quello che noi siamo soliti attribuire ai padroni di cani, gatti e altri animali domestici, più che di animali da cui procurarsi il sostentamento, come le pecore; questo per restare nelle metafore prese dal regno animale. Ma quelle pecore siamo noi, noi cristiani che abbiamo deciso di entrare nell’ovile; Gesù conosce le sue pecore per nome, una ad una, perché vive assieme a loro e sa riconoscere il loro carattere e le loro esigenze, che fa di tutto per soddisfare. Nei versetti precedenti al nostro passo Gesù afferma anche di essere la porta dell’ovile, ovvero del recinto nel quale le greggi trascorrevano la notte: chi entra attraverso Gesù vi entra in libertà e può andare e venire per pascolare e dormire: la legge che Gesù ha portato non è solo legge d’amore, ma anche legge di libertà oltre che legge di vita, non è una legge umana, che è costretta ad imporre sanzioni e punizioni per farsi rispettare.
Verranno ladri e briganti che cercheranno di disperdere il gregge per i propri interessi, che cercheranno di indurre qualcuno di noi ad abbandonare la comune adunanza: perché dovremmo venire regolarmente in chiesa? Non abbiamo nulla di meglio da fare? Non è una fatica recarsi in chiesa? Se non conoscessimo la voce del buon pastore, se non fossimo radicati nel suo amore, cosa potremmo rispondere? Forse abbiamo letto dei libri cristiani, ma la nostra frequentazione di Gesù ci ha permesso di conoscerlo di persona, di averlo come amico; una simile conoscenza non viene scossa da opinioni contrarie.
In realtà, la nostra vita di fede non consiste soltanto nel seguire il nostro buon pastore, ma anche nell’accogliere chi viene cacciato dai farisei dai turno, seguendo l’esempio di Gesù. Potremmo incontrare delle persone che si trovano a disagio nel loro ambiente, nella loro famiglia, nella loro confessione religiosa; forse anche loro potranno trovare la porta che noi abbiamo varcato, potranno entrare e trovare riposo nella legge di Gesù, dimenticando altre leggi che non hanno portato loro nessuna felicità e nessuna libertà. Gesù è pronto a dare la vita per loro; riusciremmo noi a dare loro un po’ del nostro amore, del nostro tempo, del nostro aiuto? Sapremo dimostrare di non essere dei pecoroni ma delle persone che non fanno che seguire l’esempio del loro maestro e pastore? Come Gesù e il Padre sono uno, noi stiamo nel gregge per essere uno con Gesù, perché riposando nel suo amore noi possiamo diffondere il nostro amore al mondo, anche alle pecore disperse, che un giorno verranno riunite; non dobbiamo preoccuparci del modo e dell’ora in cui questo avverrà, ma nell’attesa siamo chiamati ad amarle, dimostrando di conoscere la voce del nostro pastore, di essere entrati per la porta che conduce alla gioia e alla libertà, dimostrando di seguirlo nelle parole e nei fatti. Un giorno saremo tutti un unico gregge e un unico pastore, ma non dobbiamo affrettare nulla, solo il Padre conosce quel giorno; nell’attesa, preghiamo perché qualcuno varchi la grande soglia che è Cristo e le tante piccole soglie che sono le nostre comunità e parrocchie, e impari poco a poco cosa vuol dire sentirsi accolto e seguire il nostro pastore.
Amen
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Dal Vangelo secondo Giovanni 10:11-16
Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), perché è mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Ho anche altre pecore, che non sono di quest’ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore.
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* I passi biblici sono tratti dalla Bibbia Nuova Riveduta
** Giacomo Tessaro, nato nel 1980, ha cominciato a frequentare la Chiesa Valdese e Metodista nel 2008, dopo molti anni di adesione all’ateismo materialista e dopo una conversione alla fede in Dio maturata nelle sue letture di carattere religioso e filosofico. Sin dagli inizi della sua frequentazione protestante è stato incaricato della predicazione nella sua piccola comunità metodista di Vintebbio, in provincia di Vercelli, per la quale svolge anche compiti di cura pastorale. Ha la passione della scrittura e della traduzione e svolge l’attività di traduttore per il mensile Évangile et Liberté dal 2010, oltre che per il Progetto Gionata – Fede e omosessualità.