Irlanda: chi ignora la Chiesa, chi la vuole più realistica
Articolo di Christiane Florin pubblicato sul periodico Christ und Welt (Germania) nel maggio 2015, traduzione di finesettimana.org
Quasi due terzi degli Irlandesi sono a favore del fatto che possano sposarsi uomini con uomini e donne con donne. Come primo paese al mondo, l’Irlanda accetta per referendum questa frase nella sua costituzione: “Un matrimonio può essere concluso tra due persone senza che ci sia differenza di sesso, in conformità con le leggi”.
E questo proprio sull’isola dei devoti dove per tanto tempo perfino l’erba cresceva più cattolica che in qualsiasi altro luogo! Proprio là dove l’omosessualità era considerata reato fino al 1993! L’Irlanda, questo ultimo bastione della morale cattolica, è stato anche il primo paese cattolico d’Europa dove è venuto alla luce lo scandalo degli abusi sessuali di minori da parte di religiosi. È stato l’unico paese d’Europa a cui papa Benedetto XVI ha inviato una lettera pastorale su quell’argomento. Il papa di allora sollecitava nel marzo del 2010 che si facesse luce sui fatti – e scrivendo doveva aver presagito che l’antico splendore della Chiesa non era più salvabile.
Con il referendum, gli Irlandesi applaudono all’apertura del matrimonio agli omosessuali. Innanzitutto però danno uno schiaffo al clero. In questo schiaffo risuonano molti scandali, da quello degli abusi sessuali al ritrovamento delle tombe di bambini nella casa delle Suore del Buon Soccorso. Ma più dolorosa di tutti desideri di revanscismo deve essere stata un’altra spiegazione del voto: il fatto che la Chiesa cattolica nel giro di pochi anni sia diventata irrilevante. La sua morale non viene neanche più combattuta, semplicemente non le si bada. L’Irlanda ha una generazione giovane. “L’entusiasmo dei giovani porterà avanti la Chiesa nel prossimo secolo”, dichiarava entusiasta ancora un anno fa il nunzio apostolico a Dublino, l’arcivescovo Charles Brown. Ma i figli dei genitori che diligentemente rifiutavano pillola e preservativo ignorano il messaggio della Chiesa. Non protestano, non vogliono essere contro nessun cattolico. Hanno frequentato scuole cattoliche e fanno ciò che i loro vescovi avevano ammonito di non fare: ridefiniscono il matrimonio. Si sono fatti entusiasmare da un “Yes”, non da un “No”. Proprio nella cattolica Irlanda, proprio nell’anno del matrimonio cattolico 2015.
Tra pochi mesi il Sinodo sulla famiglia avrà la sua seconda fase in Vaticano. Chi ha seguito la prima fase, ha potuto avere l’impressione che Gesù abbia percorso la sua via crucis a favore o contro l’equiparazione degli omosessuali. Tanto importante e “polarizzante” era l’argomento nel primo incontro dei vescovi nell’autunno 2014. Una parte dei partecipanti può pensare di “andare incontro” a gay e lesbiche, cosa che è sempre stata considerata, ufficialmente, vergognosa. Un’altra parte ritiene invece un’insolenza l’indicazione del catechismo, che si debbano trattare gli omosessuali “con rispetto”. Il voto irlandese ha su di loro l’effetto di un tornado dello spirito del tempo. Coloro che ora con i loro insegnamenti sulla morale sessuale sbarrano le porte della Chiesa, non sono così resistenti come credono. Si mettono, è vero, di traverso al maistream sociale mitteleuropeo, ma aerodinamicamente nella galleria del vento religiosa. Le religioni sono trendy, quando danno volto alle immagini di un nemico. Gli estremi hanno vasta clientela, tanto nell’islam come nel cristianesimo. Il centro si restringe – e con esso l’influenza sul cuore della società. Il cristianesimo ha bisogno di questa estremizzazione? No, ritiene l’arcivescovo di Dublino. Grazie allo choc, vuole sottoporre la sua Chiesa ad un “reality check”, ad un test chiarificatore sul centro. Per il centro il matrimonio non è né un giogo né un modello di fine serie, bensì una promessa di felicità e di giustizia liberamente “plasmabile”. La realtà è più importante dell’idea, dice Francesco. A dire il vero, lui il matrimonio gay lo disapprova, tuttavia al “Yes” irlandese il suo “Oh no!” non si è per ora sentito. Ha predicato la pentecoste a porte spalancate. A poco a poco diventa visibile che cosa provoca la rivoluzione francescana della parola libera: non basta più davanti alla realtà nascondersi dietro documenti dottrinali e padri o padrini della Chiesa. Chi vuole dialogare, deve dire ciò che realmente pensa e perché. Attualmente molti vescovi sul tema matrimonio si salvano con formulazioni come “complementarietà di uomo e donna”. Non ci si può aspettare che aprano il vincolo sacramentale a tutti. Ma neppure ammettono più apertamente: “Credo che l’omosessualità sia un comportamento peccaminoso o una malattia”. Questa è diventata una posizione estremista che nel test sul “centro” viene sconfitta.
Sul giornale cattolico di Colonia, recentemente un commentatore ha paragonato i gay ai ladri. Due giorni dopo il giornale ha pubblicato le scuse. Se sul voto irlandese c’è qualcosa come uno spirito di pentecoste, allora da lì soffia la realtà di un cattolicesimo rilassato. Gli abitanti dell’isola sono cambiati in fretta, altri cattolici hanno bisogno di più tempo. Non si può pretendere che gli omosessuali siano riconosciuti come creature di Dio? La Chiesa ha cambiato il suo insegnamento nel corso dei secoli. Dovrebbe spaccarsi solo perché le persone che si presume siano “sbagliate” si uniscono?
Non voglio crederlo.