Isacco. Cronaca di un sacrificio assistito
Riflessione di Fabio Trimigno della Rete Zaccheo Puglia
Avevo 20 anni quando mi innamorai per la prima volta di un uomo: io 20 anni, lui 50. Per me lui era tutto: era colto, simpatico, robusto, forte e un po’ burbero ed eravamo innamorati. Ma una sera mi costrinse a fare l’amore mentre io non ne avevo voglia.
Piangevo e, mentre mi baciava sul collo e sussurrava il mio nome, mi bloccò i polsi venendomi dentro a tutti i costi. Mi sentii solo, non compreso, abbandonato in quell’attimo da Dio.
Il giorno dopo piansi e provai vergogna nel dirgli che la nostra storia non poteva andare avanti e che non potevamo avere un futuro assieme. Lui mi urlò contro di tutto, facendo crescere in me un gran senso di colpa per il fatto che era…un sacerdote.
Di lui non seppi più nulla e passarono 20 anni, senza mai più vederlo.
Ai miei 40 anni il mio amato Roberto mi chiese di sposarlo, ma io sentivo che se non avessi curato quella ferita del passato non sarei mai stato davvero libero di appartenere a qualcun’altro. Desideravo che la nostra unione fosse una delle tappe di un progetto di vita assieme, e non perché Roberto fosse arrivato in coda a tentativi di felicità non riusciti prima con altri uomini.
Decisi allora di scoprire dove era finito quell’uomo burbero che avevo amato 20 anni prima e che non ero mai riuscito a perdonare. Riuscii a recuperare luoghi e contatti: quel sacerdote era in un posto lontano e sperduto nel nord Italia. Presi coraggio, chiamai e dall’altra parte del telefono solo silenzio imbarazzante: io 40 anni, lui 70.
Volevo scalare quella montagna e decidere di compiere questo sacrificio: guardarlo negli occhi e perdonarlo. Dovevo farlo senza che nessuno mi accompagnasse nel pellegrinaggio solitario della mia anima. Pianificai la partenza per un canone inverso: quel giovane Isacco era pronto ad uccidere quell’anziano Abramo; quel giovane Isacco era pronto a porre fine ad un dolore con il perdono.
E che fece Dio? Mi preparò un ariete tra gli arbusti: ebbi un incidente sul lavoro, mi ruppi la gamba e non partii mai più. Fù allora che mi resi conto che Dio era stato sempre con me in quella ferita aperta fino all’ultimo istante poco prima della mia partenza.
Quel sacrificio tanto desiderato e pianificato fu sostituito dalla mia fede e dal mio coraggio. Dio lesse il mio cuore sincero, Dio ebbe la certezza che ero disposto a scalare quella montagna, a guardare in faccia quel sacerdote per penetrarlo con i miei occhi come fossero coltelli e a perdonarlo una volta e per sempre sull’altare di un amore passato.
Io l’ho perdonato, si, ma senza averlo mai più incontrato: il mio cuore era ormai libero già da tempo, senza saperlo.
Ho sposato Roberto dopo un anno dal mio incidente sul lavoro: non c’erano né arbusti né cervi, né montagne da scalare né altari da imbrattare col sangue, né vittima né carnefice.
C’era solo tanto amore da promettersi, da continuare a nutrire l’uno per l’atro.
Questa è una piccola storia, la storia di un Isacco quale sono, la cronaca di un sacrificio assistito, il dipinto di un altare al contrario, un canone inverso a più voci, la testimonianza di un perdono vero.