Juana Inés de la Cruz o la limpidezza della poesia
Articolo di Lavinia Capogna
“Esser donna e starti assente
non impediscon di amarti;
le anime, tu ben lo sai,
distanza ignorano e sesso” (Juana)
Il 1600 è un secolo affascinante eppure ancora pieno di chiaroscuri. Secolo di passaggio tra il mondo tardo Rinascimentale e il mondo quasi moderno del Settecento, incredibile miscuglio di letteratura, scienza, metafisica, alchimia, cabala, visioni e rivoluzioni fugaci ma significative come la rivolta partenopea di Masaniello e quella inglese.
Secolo in cui vissero alcuni geni come William Shakespeare e Miguel Cervantes, Galileo Galilei e Isaac Newton, Rembrandt, Van Dyck, Blaise Pascal e Baruch Spinoza, Bernini e Borromini, Francis Bacon e John Locke, Cristina di Svezia e Johann Sebastian Bach…solo per citare i più celebri.
In Messico viveva una poetessa non meno grande di loro che fino alla sua scoperta in Italia da parte di alcune studiose femministe negli anni ’80 è stata da noi pressoché ignorata, conosciuta solo dagli esperti della letteratura spagnola. E in particolare il merito di questa scoperta va a Dacia Maraini.
Juana Inés de Asbaje y Ramírez de Santillana era nata nel 1648 o nel 1651 a San Miguel Nepantla, una città a 60 chilometri da Città del Messico, la capitale della Nuova España, il nome che allora aveva il Messico, gemma del potente impero spagnolo che traeva dal centro America grandi ricchezze.
Nel 1500 i conquistadores, come aveva denunciato vigorosamente un frate, Bartolomé de la Casas, avevano sterminato con una brutalità impressionante i regni e le popolazioni locali.
Il Messico aveva avuto antichissime civiltà, Maya, Aztechi e Toltechi, persone che (eccetto i vertici religiosi Aztechi che facevano sacrifici umani) “erano ingenue ed assolutamente prive di malvagità” – aveva scritto de la Casas.
I conquistatori spagnoli erano avventurieri attirati dalle favolose ricchezze del continente centro e sudamericano, spesso ricercati che sfuggivano il carcere, soldati mercenari ma al tempo di Juana, il 1600, avevano già costituito in Messico un regno organizzato sul modello della madrepatria.
Juana era figlia di una donna creola, cioè nata da uno spagnolo e da una indios, suo padre era un gentiluomo spagnolo che si eclissò ben presto. I genitori non erano sposati.
Il nonno materno aveva una vasta azienda agricola in cui si coltivavano grano e mais ma anche in casa un’ampia biblioteca.
A soli tre anni Juana imparò a leggere e via via si appassionò alla lettura ed allo studio.
Raggiunse un livello culturale altissimo in un mondo in cui la stragrande maggioranza delle donne e degli uomini erano analfabeti o sapevano scrivere solo qualche parola. Avrebbe voluto frequentare l’università ma era interdetta alle donne e giovanissima fece l’ardito piano di abbigliarsi da ragazzo e cambiar nome (cosa non rara nel Seicento soprattutto tra le ragazze soldato e frequente nelle trame teatrali, tra cui quelle di Shakespeare) per poterci andare, piano da cui venne dissuasa dalla madre.
Frequentò invece la corte a Città del Messico dove divenne dama di compagnia della Viceregina Leonor Carreto, a cui dedicò alcune splendide poesie con un delicato timbro sentimentale.
Un biografo di Juana scrisse nell’anno 1700 che Leonor non poteva trascorrere un giorno senza Juana. Leonor diede anche vita ad un cenacolo intellettuale e la giovane Juana venne ‘interrogata’ da un gruppo di uomini colti che restarono meravigliati dalle sue conoscenze.
Leonora sarebbe in seguito deceduta in un incidente.
A circa vent’anni nel 1667 per vocazione e per non sposarsi (in una poesia menziona con dispregio un certo Silvio ma non sappiamo se fu un suo pretendente) Juana scelse di entrare in convento.
Ella scrisse “Presi i voti, perché, pur sapendo che lo stato monacale presentava aspetti (di quelli marginali parlo, non di quelli sostanziali) che non mi andavano a genio, era comunque, per il netto rifiuto che provavo del matrimonio, la cosa meno fuori luogo e più congrua che potessi scegliere per esser sicura della mia salvazione“.
Entrò dapprima nel convento delle Carmelitane, ma era troppo rigoroso, e scelse allora quello di San Gerolamo in cui le suore potevano leggere, studiare, ricevere persone, partecipare ad attività precluse in altri conventi nonché cucinare. Ella stessa scriveva alcune deliziose ricette di cucina.
Prese il nome di Suor Juana Inés de la Cruz.
Aveva un’ampia cella con tantissimi libri, strumenti musicali e strumenti scientifici in cui venne ritratta da un pittore. Era una ragazza bruna assai carina con uno sguardo intenso.
Dovette rinunciare al mondo ma non all’immaginazione, alla poesia, al teatro religioso.
Dovette rinunciare anche all’amore ma esso si presentò ancora nelle sembianze di Maria Luisa Manrique de Lara y Gonzaga, la nuova Viceregina e sua coetanea, che le ispirò splendidi Sonetti.
“Amore casto” lo definì la sociologa Daniela Danna (*) e certamente aveva ragione trattandosi di una suora.
Le poesie sentimentali di Juana esprimono un amore autentico e una connessione emotiva che ancora oggi emoziona per il suo timbro schietto e sensibile, spirituale e sensuale al tempo stesso, espressione di un’anima che si apre emotivamente nella forma poetica senza reticenze e con un garbo raffinato tutto seicentesco:
“Questo pomeriggio, amore mio, ti parlavo
e il viso e le azioni sviavano
le mie parole, non ti ho convinto
di ciò che desidera il mio cuore;
e Amore, che intende i miei intenti,
ha sconfitto ciò che sembrava impossibile:
nel pianto, scavato dal dolore,
il cuore disfatto stillava.
Smettiamo il rigore, amore mio, basta:
non ti tormentare come uno scellerato tiranno
la vile diffidenza non veli la tua inquietudine
con ombre velenose e vani indizi,
hai visto e toccato, liquefatto,
il mio cuore, un nulla tra le tue mani“
Ci furono frequenti colloqui tra Juana e Maria Luisa, scambi di doni, la Viceregina le donò un diadema con le piume di un quetzal (un colibrì messicano) e lei ricambiò con un dolce alle noci. Spesso le poesie erano accompagnate da rose.
Juana incominciò a pubblicare le sue opere, tra cui la bellissima commedia metafisica “Il primo sogno“, “L’amore è più di un labirinto” ed altre attirandosi i primi sospetti da parte dei vertici ecclesiastici.
Anche se suora e buona cattolica Juana era troppo libera interiormente e troppo colta, rivendicava per se stessa e per le altre donne il diritto alla cultura.
Ella si difese in vari scritti tra cui la bella “Risposta a Suor Filotea” che in realtà era riferita ad un vescovo. E scrisse una poesia;
“Perché continui a perseguitarmi, Mondo?
Come ti offendo, se il mio intento
è intendere la bellezza
senza intridermi di bellezza?
Non m’importano tesori né ricchezze;
per questo, sono felice quando
insinuo la ricchezza nel mio pensiero
più che pensare alla ricchezza.
Non m’importa la meraviglia: è un
ricatto, premio civile dei secoli,
non m’importa la menzogna dei ricchi,
avendo a cuore le mie convinzioni,
sconfiggo le vanità della vita
senza farmi sconfiggere da una vita vana”
È significativo il fatto che il grande scrittore messicano, Premio Nobel, Octavio Paz che nel 1982 ha dedicato un bellissimo ed amplissimo saggio a Juana, tradotto dieci anni dopo in italiano, “Suor Juana e le insidie della fede“, abbia affrontato nelle migliaia di pagine del libro il tema dell’orientamento omosessuale di lei solo di sfuggita.
Non si conoscono le ragioni di questa scelta ma parlando in generale i sentimenti d’amore di Juana verso due donne ricambiati emotivamente ebbero una parte centrale nella sua opera letteraria e nella sua vita e ometterli o trattarli appena vuol dire negare storicamente un elemento ineludibile, certo scomodo per molti omofobi o imbarazzante per altri giacché Juana era una suora.
Juana Inés de la Cruz è anche considerata la più importante tra tutti le autrici e gli autori della letteratura ispano-americana del Barocco.
Quando i Viceré dovettero tornare a Madrid, nel 1674, il suo ex confessore e soprattutto l’arcivescovo don Francisco Aguiar y Seijas incominciarono a perseguitarla in un crescendo inquietante.
Quest’ultimo era un uomo profondamente misogino e sadico che operò una vera e propria persecuzione psicologica, e non solo verso Juana, non più protetta dai Viceré.
Il talento, la libertà intellettuale di Juana, il suo legame con Maria Luisa rappresentavano qualcosa di scandaloso, da riportare nei ranghi o peggio da distruggere. Così Juana fu costretta per obbedienza religiosa, a rischio di un processo da parte della Santa Inquisizione, che di santo aveva assai poco, a sottomettersi: dovette disfarsi della sua grande biblioteca, degli strumenti musicali, smettere di scrivere, usare il cilicio, mortificarsi in rispetto ad un autolesionismo cattolico che nulla aveva a che fare con l’esempio di Cristo (“Ama il prossimo tuo come te stesso“).
Le società – tutte le società – sanno molto bene come annullare le persone più rimarchevoli, gli spiriti più liberi. Accadeva nel Seicento e prima di allora e accade ancora oggi. Cambiano i metodi, gli strumenti, le manipolazioni, brutali o sofisticate, dichiarate o subdole ma l’essenza rimane la stessa e Juana si trovava in una posizione di svantaggio: era sola. Sua madre era deceduta, Maria Luisa era dovuta tornare in Spagna.
Juana non poteva più scrivere ma ci resta un suo breve testo con una frase di suo pugno, vergata con il sangue, dove si legge: “Io, la peggiore di tutte“.
Cosa intendeva ? Certo, Juana non era la peggiore di tutte, non aveva commesso nessun crimine.
Nel 1695 un’epidemia di peste scoppiò in Messico, fece molte vittime anche nel convento, preceduta da alcuni segni sconvolgenti per gli antichi come una eclisse di sole e spaventosi incendi.
Juana si prodigò per assistere le sue consorelle ammalate e si contagiò. Morì, aveva una quarantina d’anni.
Le poesie di Juana sono giunte fino a noi solo perché Maria Luisa, a cui ella ne aveva donata una copia manoscritta, le aveva fatte pubblicare in Spagna. L’amore aveva dato i suoi frutti.
* Daniela Danna, Amiche, compagne, amanti
BIBLIOGRAFIA:
Opere di Juana Inés de la Cruz pubblicate in italiano:
Poesie. Con la risposta a suor Filotea de la Cruz
Il primo sogno
Risposta a suor Filotea
Versi d’amore e di circostanza
Nota: queste pubblicazioni risalgono agli anni ’80 e ’90 e sono ormai pressoché introvabili in Italia. Sarebbe doveroso pubblicare una nuova edizione delle sue opere, almeno di quelle principali, che fosse facilmente accessibile ai lettori.
Opere sulla poetessa:
Dario Puccini, Sor Juana Inés de la Cruz. Studio di una personalità del Barocco Messicano (1967)
Octavio Paz Suor, Juana Inés de la Cruz o Le insidie della fede (1992)
Dacia Maraini, Suor Juana (commedia)
Maura Del Serra, La Fenice (commedia)
Cristina Simonelli. Juana Inés de la Cruz, Volgi a te stessa gli occhi”
Angelo Morino, Il libro di cucina di Juana Inés de la Cruz
La regista argentina Maria Luisa Bemberg ha realizzato un bel film su Juana, intitolato Yo, la peor de todas (1990, Io, la peggiore di tutte)