Kay Ulanday Barrett. I disabili LGBTQ raccontati attraverso la poesia
Articolo di Corinne Segal pubblicato sul sito Our Queer Stories (Stati Uniti) il 12 ottobre 2015, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Per Kay Ulanday Barrett la poesia è una testimonianza di sopravvivenza. K., che per riferirsi a se stesso usa i pronomi “lui”, “loro” e l’abbreviazione “K.”, è la testimonianza di una vita vissuta all’intersezione di varie identità marginali: “transgender, disabile, persona di colore, proveniente da un ambiente economicamente depresso. La mia lotta e il mio impegno consistono nell’elaborare queste esperienze che si sovrappongono”.
Cresciuto a Chicago, K. ha trovato la sua comunità tra i poeti e la gente da palcoscenico: due gruppi che lo hanno accolto come un giovane che non si conforma ai ruoli di genere, che viene da una famiglia operaia, senza un posto dove stare. La poesia è fondamentale nel dare visibilità e voce alle persone LGBTQ disabili, troppo spesso ridotte al silenzio, alle quali viene detto che una sola parte della loro identità è valida, dice K.: “Alle persone queer e trans, così come ai disabili, viene detto ‘Tu sei qualcosa di cui vergognarsi. Sei qualcosa che deve essere curato. Se sei isolato, tanto meglio. Adattati alla massa o verrai lasciato da parte’. Sono una persona trans e le regole, il governo non riflettono cosa faccio per vivere, non riflettono la vita dei miei amici o della mia famiglia. Dobbiamo perciò coltivare e raccogliere le nostre storie, non dobbiamo sentirci solo validi ma anche gioiosi”.
Raccontare storie è un mezzo essenziale per gettare un ponte tra le persone appartenenti alle comunità marginali: “Se riesci a sederti e chiedere a qualcuno di raccontarti la sua giornata, aiutarlo a condividere il suo racconto su come riesce a sopravvivere… Se io riesco a far pulsare qualcuno, e qualcuno riesce a far pulsare me, ecco che i sistemi [oppressivi] sono un pochettino meno forti”.
K. ora vive a Jersey City e la prossima primavera sarà in tournée, durante la quale coordinerà dei laboratori e parlerà nelle scuole di tutto il Paese: inoltre progetta di far uscire una raccolta [di poesie] in inverno.
Spera di “far cambiare idea su come dev’essere un concetto base e di come dev’essere un modello”. La sua poesia recitata (spoken word poem) “Homebois don’t write enough” (I compari non scrivono abbastanza) mette in discussione la narrazione della mascolinità tradizionale, che non lascia spazio alle persone di colore, alle persone queer e ai disabili.
“Il vero maschio è super etero, americano, un perfetto maritino, e di solito è tutt’altro che disabile. Gli uomini mascolini non dovrebbero essere vulnerabili. Cosa succede al genere se noi disattendiamo queste aspettative?” La pièce è un appello all’azione, è un invito a chiederci cosa significa per noi la mascolinità e serve a creare un legame con il poeta e tra di noi.
“La performance poetica (spoken word) è un misto di abilità letteraria, abilità teatrale e tematiche intimistiche. Quando sono su quel palco è come se fossimo fratelli e sorelle. Lo scopo è confutare [l’idea] che siamo soli.”
Testo originale: What racial, disability and LGBTQ justice have in common