L’essenza del matrimonio è l’amore
Articolo del 18 febbraio 2013 di Aldo Zanca pubblicato su italialaica.it
«Lasciamo che le chiese e le altre istituzioni religiose continuino a proporre cerimonie matrimoniali; lasciamo che lo facciano i grandi magazzini e casinò, se lo vogliono […]. Lasciamo che le coppie celebrino la loro unione in qualunque maniera preferiscano e si considerino sposate quando ritengono che così sia […]. E poi, se capita che vogliano sposarsi in tre, oppure che una persona voglia sposare se stessa, e qualcun altro voglia celebrare un rito e dichiararli sposati, che lo facciano pure».
Questa idea del libertario americano Michael Kinsley può avere il sapore della provocazione, ma non è del tutto infondata per superare le infinite polemiche, quasi sempre dettate dal pregiudizio ideologico e religioso, scatenate dal fantasma del matrimonio gay. Aboliamo il matrimonio in quanto istituzione civile.
Si faccia una legge che regolamenti le convivenze, affrontando i problemi economici, previdenziali, relativi all’allevamento dei figli, naturali o adottati, all’eredità e a quanto altro appaia necessario. Lo Stato prende atto pubblicamente che si costituisce un’unione civile, un legame di convivenza domestica, e il matrimonio diventa un fatto privato. Ma forse è una proposta un po’ troppo forte, anche per molti che si dicono laici.
Allora sottoponiamo ai nemici del matrimonio tra persone dello stesso sesso un argomento che prenda di petto l’essenza stessa dell’istituzione matrimoniale, chiedendo quale sia la dignità sociale e il valore pubblico che si attribuisce, o si dovrebbe attribuire, al matrimonio, a quest’atto privatissimo che viene però celebrato con un massimo di pubblicità.
Come ci suggerisce Michael Sandel nel suo libro intitolato Giustizia, prendiamo allora in esame il ragionamento che ha fatto nel 2003 la giudice Margaret Marshall, presidente della Corte suprema del Massachussets, quando ha dovuto risolvere un caso riguardante il matrimonio fra persone dello stesso sesso. La presidente Marshall esordisce dichiarando di non volere prendere partito pro o contro le unioni omosessuali perché, dice, «Il nostro dovere è definire la libertà di tutti, non imporre il nostro personale codice morale» (che sicuramente essa aveva).
La presidente Marshall prosegue osservando che il criterio liberale dell’autonomia personale non risulta sufficiente per giustificare il diritto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso, perché in questo caso un atteggiamento di pura neutralità dovrebbe coerentemente approvare anche le unioni poligame, purché siano consensuali.
La domanda di fondo è: il matrimonio omosessuale è degno del riconoscimento della comunità? Realizza il fine sociale per il quale il matrimonio è stato istituito? Ovviamente, per rispondere a questa domanda, come per ogni questione di rilevanza costituzionale, si deve tener conto del grado di evoluzione civile della comunità stessa. La presidente Marshall afferma con grande vigore la rilevanza sociale del matrimonio, senza il quale «si distruggerebbe un principio organizzativo vitale per la nostra società».
Il matrimonio non è tanto un accordo privato fra due adulti consenzienti, accordo che si può sempre realizzare senza scomodare lo Stato. «Il matrimonio civile, dice la giudice, è nello stesso tempo un impegno profondamente privato assunto verso un altro essere umano, e una celebrazione altamente pubblica di ideali quali la reciprocità, l’amicizia, l’intimità, la fedeltà, la famiglia».
L’argomento fondamentale di chi è contrario al matrimonio gay è che lo scopo primario del matrimonio è la procreazione. Alla luce del grado di maturazione civile della nostra società, questo è un pregiudizio, è una visione tremendamente riduttiva del matrimonio, più vicina all’ethos degli animali che a quello di esseri morali. Secondo la presidente Marshall, l’essenza del matrimonio è un esclusivo impegno d’amore che lega i due coniugi, etero o omosessuali che siano.
Di fatto, in tutti i paesi civili a nessuno viene richiesta la capacità di procreare. La fecondità non è né una condizione per contrarre matrimonio né un motivo per divorziare. La fecondità è solo uno dei tanti capziosi e cavillosi argomenti usati dal tribunale della Sacra Rota per compiacere ricchi clienti che desiderano che il loro matrimonio venga dichiarato nullo.
«Possono sposarsi, dice la giudice, e rimanere sposati, persone che non hanno mai consumato il loro matrimonio e non hanno intenzione di farlo. Possono sposarsi persone che non sono in grado di lasciare il letto nel quale stanno morendo. […] sono molte, forse la maggioranza, le coppie sposate che generano figli insieme (con o senza assistenza esterna), la condizione sine qua non del matrimonio civile è l’impegno esclusivo e permanente che ciascuno dei coniugi assume verso l’altro, e non la procreazione dei figli».
Limitando il matrimonio ai soli eterosessuali «si conferisce un sigillo ufficiale di approvazione al distruttivo stereotipo secondo cui i rapporti fra persone dello stesso sesso sarebbero intrinsecamente instabili, di qualità inferiore rispetto a quelli fra persone di sesso opposto, e indegni di rispetto».
La presidente Marshall ha brillantemente dimostrato che l’argomento sottostante al rifiuto del matrimonio gay è l’omofobia. Altrimenti, oltre alle solite pappardelle cattoliche senza la tonaca, vorremmo ascoltare argomenti laici contro il matrimonio gay.