L’Eunuco e la visione inclusiva di Dio (Atti 8, 26-40)
Riflessioni bibliche di Charles Allen, Wil Gafney, Holly Hearon tratte da About Out in Scripture (Stati Uniti), liberamente tradotte da Massimo M.
Essere inclusivi non significa limitarsi ad accogliere molte persone diverse, ma riguarda il modo in cui si fa esperienza e si è in comunione con l’altro. I brani biblici che ci aiuteranno a riflettere sono: Atti 8:26-40; Salmi 22:25-31; 1 Giovanni 4:7-21; Giovanni 15:1-8
“Come l’eunuco dell’Etiopia, nel libro degli Atti anche noi riceviamo un messaggio di inclusione, e ci chiediamo, “Perchè anche noi non dovremmo ritenerci figli di Dio per sempre?” (Charles Allen). “Sia le scritture ebraiche che quelle cristiane notano l’evoluzione della comunità dei fedeli. E oggi, come ci stiamo evolvendo?” (Wil Gafney). “Se siamo tutti parte dello stesso corpo, allora il modo in cui percepisco, comprendo, sperimento e interagisco con gli altri diviene la cosa più importante.” (Holly Hearon)
Di cosa si tratta. Conversazione sui brani biblici
Il brano 8:26-9:1 degli Atti è un testo importante per le comunità lesbiche, gay, bisessuali e transgender perché l’eunuco rappresenta un estraneo, sia a livello sessuale che sociale, le cui relazioni intime differivano da quelle della cultura dominante. Charles Allen scherza sul fatto che lo Spirito Santo abbia aiutato Filippo a superare la sua “eunuco-fobia.”
Sebbene l’eunuco sia un forestiero e un gentile, Filippo non esita a condividere, senza condizioni, la propria cultura con questo straniero, ora diventato vicino.
Wil si chiede se Filippo, un Ebreo dal nome greco e che conosceva la lingua greca, non si sentisse marginalizzato, all’interno della sua cultura ebraica di lingua aramaica, per il fatto di assomigliare troppo ai dominatori.
L’incontro tra Filippo e l’eunuco africano ci ricorda che l’identità è una costruzione complessa e che non è sempre facile distinguere chi è dentro e chi è fuori dalla comunità. Holly Hearon e Charles Allen sono colpiti dalla proattività dell’eunuco: si è recato a Gerusalemme, legge le scritture, vede l’acqua e chiede di essere battezzato. Quando Filippo gli spiega le scritture, offre la propria interpretazione: “Che cosa mi impedisce di essere battezzato?
La scrittura ebraica riserva agli eunuchi sia parole accoglienti che divieti. C’è un passaggio del Deuteronomio secondo cui le persone come lui non dovrebbero “entrare nella comunità del Signore” (Deuteronomio 23:1).
Ma l’Etiope non presta attenzione a queste parole. A lui piace il libro di Isaia, specialmente questa parte: “Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!». Non dica l’eunuco: «Ecco, io sono un albero secco!». Poiché così dice il Signore: «Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, preferiscono le cose di mio gradimento e restan fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato.” (Isaia 56:3-5).
Invece di farsi distrarre da un passaggio isolato, l’eunuco è diventato un seguace del Dio di Israele. Questo ci ricorda che non dovremmo mai giudicare le persone come prive di fede o senza una vita spirituale. In questa storia vediamo che Filippo e l’eunuco si guidano a vicenda.
Il salmo 22:25-31 fornisce il contesto di cui la storia narrata negli Atti è un’illustrazione: torneranno al Signore tutte le nazioni della terra. Quando immaginiamo un evento simile spesso diamo per scontato che saranno le altre nazioni a cambiare e diventare come noi. Ma questo non è quello che dice il salmo. Il salmo ci prepara invece ad aspettarci la diversità.
Wil Gafney nota che l’espressione “Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia” (versi 31-32) suggerisce che Dio non ha completato l’opera di liberazione. Il lavoro di Dio è in corso. Sono parole incoraggianti per coloro ai quali la liberazione sembra un sogno lontano.
Il brano in 1 Giovanni 4:7-21 descrive un circolo d’amore: Dio è amore, Dio ci ama, chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio, non possiamo dire di amare Dio se odiamo le persone che ha creato, perchè Dio è amore… La prova dell’amore di Dio è il fatto che abbia mandato suo figlio nel mondo. Questo segno tangibile dell’amore di Dio fa si che esso non venga confinato ad un sentimento; l’amore di Dio è attivo; è un amore sacrificale, ed è presente in mezzo a noi.
Wil crede che questi versi si riferiscano alla nostra chiamata cristiana. Dobbiamo amare tutti, inclusi noi stessi e coloro con i quali non siamo d’accordo a livello teologico. Charles si chiede: come fa qualcuno a sostenere che amare una persona dello stesso sesso ostacoli l’amore verso Dio? Non possiamo permetterci di mettere l’amore verso Dio in competizione con quello verso gli altri.
Gran parte del brano di Giovanni 15:1-8 sottolinea la nostra dipendenza da Gesù. Il verso 5, come nota Charles, suggerisce però che si tratta di un risiedere reciproco, non monodirezionale. Holly collega il testo a Giovanni 1 notando che l’amore perfetto ha bisogno di essere coltivato. Qui la coltivazione è descritta in termini di trapianto attraverso un innesto ben solido. Essere trapiantato non vuol dire tuttavia perdere la propria identità. Un ramo di ciliegie innestato in un melo produrrà ancora ciliegie.
Il “ramo di Gesù” allora dovrebbe essere molto colorato.
Holly osserva anche che una potatura imprudente o disattenta può danneggiare una pianta in maniera irreparabile. Secondo il testo, tuttavia, non ci è dato il compito di potare, ma solo quello di avere frutti. Possiamo fare ciò grazie alla parola di Cristo. Wil chiede cosa sia questa parola: è vita? E’ amore? E’ salvezza?
Titolo originale: God’s inclusive vision