L’omosessualità e la spina nella carne di San Paolo
Riflessioni bibliche* del vescovo episcopale John Shelby Spong pubblicate sul sito Beliefnet (Stati Uniti) nell’aprile 2004, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Non c’era nulla di moderato in Paolo. Paolo era profondamente preso, passionale, emotivo, pieno di un enorme disprezzo per se stesso, e cercava di gestire questi sentimenti con gli aviti metodi del controllo esterno, dell’instancabile zelo religioso e della disciplina più rigida. Tuttavia non riuscì a dominare le passioni che lo consumavano. Quali passioni? Io penso che non ci sia dubbio che fossero passioni sessuali, ma di che tipo?
Compulsando ancora una volta gli scritti di Paolo cominciano ad emergere alcune conclusioni che sorprendono e spaventano chi legge. Le passioni di Paolo sembravano non poter trovare sollievo. Perché?
Paolo stesso scrisse che se due persone “non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere” (1 Corinzi 7:9). Ma non abbiamo nessuna fonte che ci dica che Paolo si sia sposato. Invece abbiamo la sua esortazione che dice: “Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io [cioè non sposato]” (1 Corinzi 7:8).
Scopo primario dell’attività sessuale nel matrimonio, secondo Paolo, è impedire a Satana di tentare i coniugi “nei momenti di passione” (1 Corinzi 7:5). Perché, se Paolo sembrava così consumato da una passione che non riusciva a controllare, non seguì il suo stesso consiglio e non alleviò quella passione con il matrimonio? Secondo lui il matrimonio è un modo di vivere accettabile, se non ideale. Tuttavia mai per lui si è profilata la possibilità del matrimonio.
L’Apostolo è stato sempre considerato fondamentalmente ostile alle donne: scrisse che “è cosa buona per l’uomo non toccare donna” (1 Corinzi 7:1). La passione che ardeva profondamente in Paolo non sembra essere il desiderio di unirsi a una donna. E poi perché tale desiderio avrebbe dovuto essere così negativo? Il matrimonio, l’amore e il desiderio sessuale tra coniugi non erano considerati malvagi o ripugnanti.
Le passioni sessuali di Paolo non sono spiegabili con questo schema. E allora? Ovviamente non c’è modo di sapere con certezza la causa delle ansie di Paolo prima del momento della rivelazione finale nel Regno dei Cieli. Ma questo non ferma le speculazioni.
In questo caso il valore della speculazione si basa sul testare la teoria supponendo per un attimo che sia corretta e poi leggendo Paolo alla luce di quella teoria. In questo modo talvolta si trova la chiave che dischiude i messaggi nascosti presenti nel testo. Una volta dischiusi, tali messaggi non solo cessano di essere nascosti, ma diventano ovvi e saltano all’occhio, e il lettore si chiede come mai questi significati ovvi non siano stati visti prima.
Alcuni hanno suggerito che Paolo fosse tormentato da paure omosessuali. Questa non è un’idea nuova, eppure fino a poco tempo fa, quando l’omosessualità ha cominciato a perdere alcune delle sue connotazioni negative, questa idea era così repellente per il popolo cristiano che non si poteva farvi cenno nei circoli ufficiali.
Con questo non voglio dire che l’omofobia della nostra cultura sia scomparsa, anzi è tutt’ora letale e rimane in alto loco nella Chiesa cristiana, essendo poi un argomento sul quale gli ecclesiastici sono profondamente ipocriti, in quanto in pubblico parlano in un modo e privatamente si comportano in un altro. Tuttavia il pregiudizio sta scomparendo, lentamente ma infallibilmente.
Mentre le posizioni omofobe si ammorbidiscono, possiamo considerare l’ipotesi che Paolo fosse gay. Possiamo testare questa teoria supponendo che sia corretta mentre leggiamo Paolo. Quando io l’ho fatto per la prima volta sono rimasto basito nel vedere quante cose di Paolo si schiudessero e quanto profondamente potevo capire il potere dell’Evangelo che ha letteralmente salvato la sua vita.
Quando suggerisco la possibilità che Paolo fosse omosessuale non intendo essere volgare o pruriginoso, oppure sottintendere qualcosa che molti considererebbero scandaloso.
Non ho prove per suggerire che Paolo abbia mai ceduto ai suoi desideri e alle sue passioni. Visse in un’epoca e tra gente che copriva la maniera in cui forse egli considerava questa realtà con strati e strati di condanna. Ma, per un attimo, supponete che questa teoria sia corretta e riconsiderate con me gli scritti di Paolo e, soprattutto, il significato di Cristo, della resurrezione e della grazia nella vita di questo cristiano seminale.
Paolo provava un tremendo senso di colpa e una grande vergogna, che si esprimevano nel disprezzo verso se stesso. La presenza dell’omosessualità avrebbe creato una simile reazione tra gli Ebrei di quel periodo storico. Nient’altro, secondo me, può spiegare la retorica con cui giudica se stesso, la visione negativa del suo corpo e la sua sensazione di essere controllato da qualcosa che non aveva il potere di cambiare.
La guerra che si combatteva tra ciò che desiderava con la mente e ciò che desiderava con il corpo, la sua ossessione per una religione legalistica del controllo, la sua paura che questo sistema venisse minacciato, il suo atteggiamento verso le donne, il suo rifiuto di prendere in considerazione il matrimonio come sfogo della sua passione: nient’altro fa collimare questi dati come la possibilità che Paolo fosse gay. Chiaramente la tradizione religiosa di Paolo considererebbe gli uomini omosessuali aberranti, deviati, malvagi e depravati. Quando erano scoperti, gli omosessuali erano spesso e volentieri giustiziati.
La Legge stabiliva: “Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio” (Levitico 18:22). Non contaminarti con tali cose, continuava la Torah, perché Dio caccerà coloro che si contaminano.
Dio li punirà, prometteva la Legge, e il paese vomiterà coloro che si sono così contaminati (Levitico 18:24 ss.). Compiere tali cose significa essere eliminati dal popolo di Israele (Levitico 18:29). Più avanti nella Torah si invoca la morte come pena per l’omosessualità: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte” (Levitico 20:13).
Paolo era uno studioso della Legge. Se l’omosessualità era la sua condizione, sapeva bene che secondo la Legge egli era condannato. Il suo era un corpo in cui regnava la morte; viveva sotto una condanna a morte. Ciò che Paolo sapeva di essere, il popolo a cui apparteneva e la Legge a cui aderiva lo chiamavano abominevole ed egli sentiva che questo andava oltre la redenzione.
È possibile o probabile che fosse questa la fonte interiore del suo profondo disprezzo e rifiuto verso se stesso, del suo tumulto interiore, del suo zelo sovrumano per una perfezione che non poté mai raggiungere? Forse era questa la sua spina nella carne della quale parla così mestamente?
Tenendo a mente questa possibilità, ascoltiamo ancora una volta le parole di Paolo: “Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me.
Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza»” (2 Corinzi 12:7-9). In un’altra occasione, forse precedente, l’Apostolo aveva scritto: “Sapete che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunziai la prima volta il vangelo; e quella che nella mia carne era per voi una prova non l’avete disprezzata né respinta, ma al contrario mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù” (Galati 4:13-14). La parola “angelo” può anche essere tradotta “messaggero”. Paolo doveva fare i conti con una condizione che crede essere incurabile.
Era una condizione a causa della quale la gente poteva sdegnarlo o disprezzarlo. Ho ascoltato e letto dei commentatori suggerire che questa condizione fisica fosse una specie di problema cronico alla vista. Il mio sospetto è che ciò si basi sulle parole di Paolo ai Galati, ai quali dice “Vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darmeli” (Galati 4:15).
Ma i problemi cronici alla vista normalmente non implicano il disprezzo degli altri o la disperazione di cui l’Apostolo parla, e attraverso l’occhio, che chiama “la finestra del corpo”, fanno il loro ingresso nella umana esperienza sia la vita e la bellezza che la morte e il dolore.
Paolo in queste parole ai Galati dice “anch’io sono stato come voi”, uno nel quale si è formato Cristo, e assicura loro “non mi avete offeso in nulla” (Galati 4:12,19). Questo si riferisce a una guarigione interna, non esterna.
Altri hanno suggerito che fosse l’epilessia la condizione da cui non poteva liberarsi. Si pensava che l’epilessia fosse una possessione demoniaca, era però la sensazione periodica di essere posseduti da uno spirito alieno, non un difetto cronico. Nelle narrazioni bibliche, poi, l’epilettico suscitava pietà, a volte paura, ma raramente il disprezzo o il disgusto.
L’epilessia non mi appare l’ipotesi giusta per spiegare l’intensità dei sentimenti che Paolo esprime, come mi appare invece l’ipotesi omosessuale. È un’ipotesi che rende conto dei dati e degli indizi come dei toni, delle paure, della passione e del comportamento.
Se questa ipotesi è corretta, può anche gettare luce in modo potente sulla sua esperienza di conversione, il suo concetto di Gesù, la sua visione della resurrezione e il suo cammino verso l’universalismo.
In più, ci fornisce un mezzo per entrare in Cristo come fece Paolo e per vedere l’esperienza di Cristo al di fuori del contesto di parole limitate e all’interno del contesto di un’esperienza umana universale.
Ciò diventerebbe così per noi una porta per una spiritualità universale inaugurata da Cristo, che potrebbe permanere illimitatamente nel futuro in un modo che le ristrette e instabili forme di religiosità del nostro passato cristiano non sembrano più capaci di adempiere.
* I passi biblici sono tratti dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI
Testo originale: Was the Apostle Paul Gay?