La bandiera raimbow, un simbolo per chi immagina un mondo a colori
Articolo di Esperanza Balaguer Ibarra pubblicato sul sul sito del quotidiano El País (Spagna) il 4 luglio 2019, liberamente tradotto da Chiara Benelli
Diverse teorie su com’è nato accompagnano il simbolo della lotta per i diritti LGBT a livello internazionale. Oggi vi spieghiamo il suo significato e quello di tutte le varianti esistenti, e condividiamo con voi un sogno che arriva al di là dell’arcobaleno.
All’inizio del celebre film Il mago di Oz, Dorothy Gale canta Somewhere over the rainbow (Da qualche parte al di là dell’arcobaleno) appena prima di volare via da un mondo in bianco e nero per arrivare in uno in technicolor. Né il regista, Victor Fleming, né tanto meno la sua protagonista, Judy Garland, avrebbero mai potuto immaginare che questo momento cinematografico sarebbe in seguito diventato il principale riferimento visivo del movimento LGTBI per la celebrazione del Gay Pride.
Era il 1939, ma col tempo il suo impatto si è consolidato. E quando gli organizzatori del Gay and Lesbian Pride di San Francisco, nel 1978, chiesero all’attivista Gilbert Baker di creare un simbolo unificante per l’intera comunità, lui si lasciò inspirare da quella ragazzina del Kansas; era nato lì anche lui.
Baker è morto nel marzo 2017; la sua creazione era già diventata un simbolo universale. Quattro anni prima aveva confermato, durante un’intervista per il documentario The Day It Snowed in Miami (Il giorno che nevicò a Miami) sulla storia del movimento, che la ballata del film ispirò la creazione della bandiera. “Ma tesoro, io sono Dorothy” disse all’intervistatore.
Non ha però mai fatto luce sulla seconda teoria che circola tra gli esperti di grafica queer. Secondo quest’ultima, il simbolo non sarebbe che una copia della bandiera della razza umana, a bande orizzontali rosse, nere, marroni, gialle e bianche, usata dal movimento hippy negli anni ’60. Stando a questa teoria, il risultato finale si dovrebbe all’adattamento dei colori dell’arcobaleno a questo modello di bandiera. “Negli anni ’70 ero una delle drag queen più note di San Francisco, sapevo cucire, ero nel posto giusto al momento giusto” ha spiegato in un’intervista pubblicata dal MoMA nel 2015, in occasione dell’aggiunta della bandiera alla collezione permanente dei simboli contemporanei.
L’obiettivo principale di Baker era quello di eliminare dalle lotte del movimento LGTBI l’esibizione dei triangoli – rosa per i gay, neri per le lesbiche – usati dai nazisti nei campi di concentramento come metodo per identificare i prigionieri: “L’arcobaleno era perfetto perché si adattava alla diversità di razza, sesso, età, tutte queste cose”. Questa è la bandiera degli anni 70.
La versione finale fu un successo immediato, sia per il movimento che per gli interessi commerciali: “È un simbolo così potente che la comunità non aveva bisogno di nient’altro” afferma Debbie Millman, presidente del programma Brand Design presso la School of Visual Arts (SVA) di New York e autrice del podcast Design Matters.
Se ne ha un esempio in questi giorni per le strade di Manhattan, mentre sono in corso le celebrazioni del World Pride in occasione del 50° anniversario dei moti del Stonewall Inn, il 28 giugno 1969, data in cui ebbe ufficialmente inizio il movimento LGTBI. L’arcobaleno brilla sui biglietti della metro, in cima a decine e decine di grattacieli, sulle gigantesca scalinata del Roosevelt Park e su uno scivolo di una trentina di metri installato da Tinder in Union Square; e questi sono solo alcuni delle migliaia di esempi esistenti.
“Il successo della bandiera è la prova del profondo, istintivo bisogno degli uomini di rappresentare le proprie convinzioni e affiliazioni, per marcare il proprio posto nel mondo” spiega Millman. Le prime due copie, cucite da Baker, furono sventolate per la prima volta il 25 giugno 1978 nella United Nations Plaza di San Francisco. L’originale era composto da otto strisce: rosa acceso per il sesso, rosso per la vita, arancione per la cura, giallo per il sole, verde per la natura, turchese per la magia, indaco per la serenità e viola per lo spirito. Vista la difficile reperibilità di alcune tonalità per certi tessuti, il rosa e il turchese furono in seguito eliminati.
Le molte versioni a favore della diversità
Anche quella attuale ha le sue varianti, come ad esempio quella con l’aggiunta del marrone e del nero in rappresentanza dell’etnia afroamericana e quella del Trans Pride, con cinque bande rosa, bianche e blu. In passato, un simbolo grafico era rappresentato dall’undicesima lettera dell’alfabeto greco, la cosiddetta Lambda, riadattata nel 1970 dall’attivista e designer Tom Doerr.
Simbolo del catalizzatore che in ambito chimico indica lo scambio di energia, venne introdotta per rappresentare il lavoro politico dell’Alliance of Gay Activists, nata a New York sei mesi dopo gli eventi dello Stonewall Inn per mano dei suoi fondatori, tra cui rientravano nomi di leader leggendari come Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson. Il 3 giugno la città di New York ha annunciato che ne onorerà la memoria con quello che sarà il primo memoriale al mondo dedicato a due donne transgender.
In quel periodo si diffusero anche cerchi attraversati da croci (come simbolo pensato per gli uomini gay) e da frecce (simbolo pensato invece per le donne). Negli anni Ottanta, il pittore e attivista Keith Haring ideò un’intera iconografia gay e anti-HIV con dei semplici disegni di sagome danzanti che si abbracciavano, dove non mancavano nemmeno i cuori o gli organi sessuali maschili, e alla quale la Tate di Liverpool dedica una mostra visitabile fino al 10 novembre.
Niente in confronto all’impatto che ha avuto lavoro di Baker: “Dipingiamo la nostra città con orgoglio”, ha twittato lunedì il sindaco di New York Bill de Blasio per dare il via alla settimana clou del World Pride, culminata sabato con la parata, che con un’auto a lui dedicata ha reso omaggio al creatore della bandiera. Oltre alle istituzioni, anche le aziende, i negozi e, soprattutto, i grandi marchi, sono saliti ormai da diversi mesi sul grande carro LGTBI.
Opportunismo o integrazione?
Tra i numerosi esempi si possono citare le edizioni speciali coi sei colori che decorano le scarpe Nike, Converse o Adidas, il cinturino dell’Apple Watch, la versione nuova di zecca del classico Love Seat, di Lucian R Ercolani per Ercol, realizzato dallo studio 2LG, o la famosissima borsa blu di IKEA: “Questo opportunismo aiuta a far crescere il movimento, ma dov’erano tutti dieci anni fa?” riflette l’esperta di design.
Nello stesso mondo in bianco e nero in cui Dorothy chiedeva al suo cane se avrebbe mai conosciuto un mondo a colori: “Credi che esista un posto così, Toto?”. Ottant’anni dopo quella nazione immaginaria non è ancora diventata realtà, ma intanto ha già la sua bandiera.
Testo originale: La bandera que acabó con un símbolo nazi e imaginó un mundo de color