La Bibbia dei Padri: Il regno dei cieli è simile a … due uomini a letto insieme?
Riflessioni teologiche di Giacomo Sanfilippo* pubblicate sul sito ORTHODOXY IN DIALOGUE**(Canada) il 10 luglio 2019, libera traduzione di A. De Caro
A dispetto di infinite ripetizioni da parte di uomini di chiesa che non possiedono alcuna curiosità intellettuale -in realtà, nessun senso di responsabilità pastorale- per acquisire familiarità con i progressi scientifici e le utili intuizioni della teoria queer nella nostra comprensione della diversità sessuale nella natura umana, proclamare in modo bigottamente stentoreo che LA SACRA TRADIZIONE HA SEMPRE CONDANNATO L’OMOSESSUALITÀ non supera la prova della verità per due motivi.
Primo: né lo strano neologismo greco-latino omosessuale né la presunta psicopatologia che esso avrebbe dovuto identificare esistevano prima degli anni ’50 del XIX sec. La scelta di adottarlo in alcune versioni inglesi del Nuovo Testamento del XX sec. non solo suscita perplessità sul programma dei loro editori, ma viola lo spirito originario della parola stessa. Classificando come patologico il desiderio omosessuale, in quanto disordine che un individuo non ha potere di scegliere o non scegliere, il campo della nascente psicologia del XIX sec. cercava di rimuovere esso e la sua espressione erotica dal regno della criminalità e del peccato.
Così, quando gli editori della Bibbia attribuiscono a S. Paolo la nozione che “gli omosessuali… non erediteranno il regno di Dio” (1Cor 6.9-10), essi commettono un notevole anacronismo filologico e concettuale – con un risultato non meno assurdo di consegnare alla dannazione eterna ogni persona affetta da disturbo bipolare.
Tuttavia, le difficoltà nel tradurre μαλακοὶ e ἀρσενοκοῖται da 1Cor 6.9 con integrità semantica e teologica ricadono al di fuori dello scopo di questo breve saggio. Non mi occuperò nemmeno della teoria, universalmente sfatata, che ritiene il desiderio omosessuale come una malattia mentale da “curare” per mezzo della tortura, talvolta fatale, delle “terapie riparative”. La mia intenzione qui è solo quella di mettere in evidenza che le persone non intendono la stessa cosa quando usano la parola omosessualità.
L’uso completamente arbitrario della parola da un parlante all’altro assume il senso di una estrema urgenza pastorale, quando consideriamo che i bambini iniziano a diventare consapevoli del loro interesse romantico per persone dello stesso sesso ad un’età molto precoce, molto tempo prima di poterne prevedere –tanto meno tentare- la realizzazione sessuale. Nel contesto sociale di oggi questi ragazzi ora possiedono il vocabolario per dare un nome al loro innocente desiderio omosessuale e per fare coming out con la loro famiglia e gli amici, se e quando scelgono di farlo. Ma che effetto deve fare su un piccolo di 6, 7, 10 o 12 anni apprendere improvvisamente, mentre la domenica ascolta in chiesa la Seconda Lettura, che lui/lei è destinato all’inferno? La correlazione fra fede religiosa e pensieri suicidi per le persone LGBTQ è reale.
Secondo: se alcune persone riducono l’omosessualità solo ai rapporti sessuali (naturalmente, l’orientamento sessuale – per il proprio sesso, per l’altro sesso o per entrambi – comprende molto più che fare solo del sesso), la presenza dell’intimità coniugale fra due uomini nella nostra tradizione patristica come simbolo dell’unione mistica ed eucaristica di Cristo con il singolo fedele di sesso maschile annienta l’irrazionale idea fissa di quegli ortodossi che si ostinano a dire che i Santi Padri inorridivano al solo pensiero dell’erotismo omosessuale. Nel mio articolo Amicizia Coniugale su Ortodossia Pubblica due anni fa notavo quanto segue: “implicitamente in S. Massimo il Confessore ed esplicitamente in S. Simeone il Nuovo Teologo troviamo l’uso dell’intimità fra due uomini come metafora per l’unione di Cristo con il credente maschio nell’Eucaristia e la visione della luce increata”.
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Come potrebbe essere diversamente? Dovrebbe mettere a tacere coloro che sottoscrivono un’interpretazione inflessibilmente eterosessista della Scrittura il fatto che il Dio dell’Antico Testamento – metaforicamente maschio, ma poi biologicamente maschio nel Nuovo Testamento – attragga una sposa dal nome maschile, Israele, per sedurre lui/lei (Os 2.14 ss.).
Nella tradizione patristica della Chiesa Ortodossa, l’amore di Dio per noi e il nostro amore per Lui non è meno “erotico” che “agapico”. Per alcuni dei Padri -ho in mente specialmente S. Massimo il Confessore – l’eros divino per l’uomo e l’eros umano per Dio coglie nel modo più espressivo la mutua tensione di Dio e dell’uomo a diventare nell’estasi “una carne” e “un’anima” l’uno con l’altro attraverso il movimento reciproco di incarnazione e deificazione, misteriosamente prefigurato dal primissimo momento della nostra creazione (Gen 2.24), e più tardi in quel grande amore -“più prezioso che amore di donna” (2Sam 1.26)- che “unisce” Davide e Gionata spontaneamente non appena posarono gli occhi l’uno sull’altro” (1Sam 18.1-4).
Leggendo nei Settanta il racconto del loro amore, i Padri Greci non hanno potuto che immaginare i nostri due giovani, soli in un campo, baciarsi appassionatamente per moltissimo tempo prima di dirsi addio tra le lacrime (…καὶ κατεφίλησεν ἕκαστος τὸν πλησίον αὐτοῦ, καὶ ἔκλαυσεν ἕκαστος τῷ πλησίον αὐτοῦ ἕως συντελείας µεγάλης, 1Sam 20.41; 1Re 20.41 nei Settanta).
Di nuovo, se ciò sembra una forzatura, rimane il fatto sconcertante che i Santi Padri parlavano dell’unione coniugale di Cristo e della Chiesa, Sposo e Sposa, Marito e Moglie, non come un’astrazione poetica riservata unicamente all’intero corpo della Chiesa, ma come un’esperienza profondamente reale e personale di eros divino e umano, misticamente scambiato fra Cristo e ogni singolo/a credente nel profondo del suo corpo e della sua anima. Cristo, lo Sposo, “sposa” – e accoglie nel Suo talamo – non solo la Chiesa, ma ciascuno di noi individualmente; e non solo ogni donna e ragazza, ma anche ogni uomo e ragazzo.
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Così leggiamo nel capitolo 16 della Prima Centuria di S. Massimo sulla Teologia: “Il credente [Ὁ πιστεύων, al maschile], ha paura; colui che ha paura, cresce umile; colui che è umile, cresce mite, avendo acquisito una condizione interiore che non è spinta dai movimenti dell’ira e del desiderio che sono contro natura; e colui che è mite, osserva i comandamenti; e colui che osserva i comandamenti è purificato; e colui che è stato purificato, è illuminato; e colui che è stato illuminato è reso degno di giacere con lo Sposo, il Logos, nella camera dei misteri” [ἐν τῷ ταµιείῳ τῶν µυστηρίων ἀξιοῦται τῷ νυµφίῳ Λόγῳ συγκοιτασθῆναι: letteralmente, “nella camera dei misteri è reso degno di andare a letto con lo Sposo, il Logos”].
Ovviamente, un talamo non consiste di due brandine da campo una accanto all’altra con una distanza appropriata fra di loro, né di cuccette separate, ma in un letto matrimoniale. Nel discorso di S. Massimo, due persone dal corpo maschile -Una divina, una umana – accedono misticamente a un amplesso mistico per la consumazione della loro unione nella Santa Eucarestia.
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Secoli dopo, S. Simeone riprende lo stesso tema -con la sua sorprendente propensione per i dettagli descrittivi- in una breve parabola composta da lui stesso dove sembra fondere elementi del Figliol Prodigo e del Cantico dei Cantici.
Leggiamo nel suo Decimo Discorso Etico: “Un certo uomo era servo di un ribelle, avversario e nemico del Re dei Cristiani. Egli ottenne molte vittorie e compì molti atti di valore contro i servi [del Re]. Mentre era onorato grandemente dal tiranno e dalle sue truppe, egli ricevette, in diverse occasioni, dei messaggi dal Re dei Cristiani, che lo invitava a venire da Lui, stare con Lui, essere onorato con grandi doni e regnare con Lui. Egli, tuttavia, per alcuni anni si rifiutò e ancora più ferocemente continuò a muovere guerra contro di Lui. Un giorno, però, entrò in crisi e si pentì, e decise di fuggire e recarsi, da solo, dal Re… Quando Gli si accostò e abbracciò i Suoi piedi, scoppiò in pianto e chiese perdono. Colto da una gioia inattesa, quel buon Re lo accolse immediatamente, stupito per la sua conversione e umiliazione […] Facendolo alzare, il Re “lo abbracciò e lo baciò” [Lc 15.20] tutto sui suoi occhi che avevano pianto per molte ore […] Lui stesso vestì il suo nemico e rivale di un tempo, e non gli rimproverò proprio nulla”.
E la storia non finisce qui, ma giorno e notte Lui gioisce ed è felice con lui, abbracciandolo e baciando la sua bocca con la propria, Così straordinariamente lo ama da non separarsi da lui nemmeno nel sonno, ma giace con lui abbracciandolo sul Suo letto, e lo ricopre tutto intorno con il proprio mantello, e poggia il Suo volto su tutte le membra [del suo corpo]
Tale – conclude Simeone il suo sorprendente racconto al suo pubblico di monaci maschi- è anche la nostra personale situazione verso Dio, e so che è esattamente in questo modo che il buon Dio accoglie e bacia coloro che si pentono, che, fuggendo da un mondo di illusioni e dal suo potere, si spogliano dei problemi di questa vita per accostarsi a Lui come Re e Dio”.
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S. Giovanni Crisostomo ci offre un brano in metrica, quasi un canone, per discernere la bellezza innata di ogni impulso o attività umana: una cosa non può essere malvagia nella sua essenza se serve come degna allegoria della comunione fra Dio e l’uomo. Egli scrive: “Vedi come [Dio] non disprezza l’unione fisica ma usa l’unione spirituale per illustrarla! Come sono stolti coloro che sminuiscono il matrimonio! Se il matrimonio fosse qualcosa da condannare, Paolo non chiamerebbe mai Cristo “sposo” e la Chiesa “sposa”, né direbbe che questo è un modo per illustrare un uomo che lascia suo padre e sua madre per poi fare di nuovo riferimento a Cristo e alla Chiesa”.
S. Massimo procede oltre quando afferma con insistenza che “nulla di ciò che è creato e riceve esistenza da Dio è malvagio”: e ancora, “non c’è nulla di malvagio nelle creature, se non l’abuso, che deriva dalla negligenza dell’animo nella sua cura naturale”. In effetti, “nemmeno i demoni sono malvagi per natura; piuttosto essi sono diventati malvagi, attraverso un uso perverso delle loro facoltà naturali”. In questo contesto sembra del tutto significativo chiedersi perché, nell’uso (più allusivo in S. Massimo, più esplicito in S. Simeone) dell’intimità sessuale fra uomini come degna similitudine per il Regno di Dio, quei passaggi della Scrittura su cui i moderni uomini di Chiesa si fissano tutte le volte in cui è sollevato il tema dell’amore omosessuale (Gen 19, Lev 18.22 e 20.13, Rom 1.26-27, 1Cor 6.9-10) non rappresentano alcun deterrente per questi due Santi Padri della Chiesa Ortodossa. Possiamo forse inferire ragionevolmente che, per Massimo e Simeone -o in effetti per la Sacra Tradizione nel suo insieme, compresa la tradizione canonica- esiste davvero una profonda distinzione, che attende di essere esplorata ed articolata più pienamente nel nostro tempo, fra la strada senza uscita della lussuria omosessuale, non diversa dalla lussuria eterosessuale, e l’infinita fecondità spirituale dell’amore omosessuale, non diverso dall’amore eterosessuale?
Impegnate, monogame, le coppie omosessuali cristiane -e coloro che sperano di trovare un partner da amare e con cui formare questo genere di unione- semplicemente non riconoscono se stesse, la loro vita di gioie e dolori condivisi, il loro amore per Dio e la Chiesa, l’uno per l’altro, per gli affamati e i senza tetto e tutte le creature di Dio, grandi e piccole, nei passaggi usati continuamente come un manganello contro di loro. È giunto il tempo di ascoltare le loro testimonianze.
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Alcuni dei miei lettori, prevedo, faranno un balzo alle parole “che attende di essere esplorata ed articolata più pienamente nel nostro tempo”. Certo, noi ortodossi continuiamo ad affermare, in senso assolutamente certo e legittimo, che la dottrina non “si evolve” e la Chiesa non “cambia”: ma S. Massimo stesso riconosceva un altro senso: per Provvidenza divina, ogni generazione della Chiesa riceve la grazia di scoprire nuovi significati che sono rimasti celati alle generazioni precedenti. Solo questo ha un senso: ogni generazione pone le proprie domande alla Chiesa. Pertanto, una tensione, forse necessaria, appartiene alla dialettica fra l’immutabilità della Chiesa e la sua infinita scoperta di nuovi significati – entrambi gli aspetti sono funzioni dello Spirito Santo, che abita la Chiesa e la guida verso la verità intera e garantisce l’intima continuità della dottrina e della pastorale della Chiesa, nell’ambito dello specifico tempo e spazio sociale occupati da ciascuna generazione successiva.
Se non possiamo ammettere, come minimo, che la Sacra Tradizione consiste nel deposito fossilizzato di antichi testi che contengono risposte preconfezionate a ogni possibile domanda fino alla fine dei tempi (una posizione che, a quanto pare, nessuno dei Santi Padri ha nemmeno immaginato), in effetti potrebbe essere vero che il dialogo è diventato impossibile e noi ci condanniamo a un indefinito scontro tra monologhi urlati.
Se ogni tentativo di confronto costruttivo con le domande del nostro tempo su sessualità e genere scatena grida isteriche come “E’ l’agenda gay! E’ propaganda di sinistra! I cassonetti in fiamme di Ortodossia in Dialogo! Sodomiti! È sempre il mese del Pride su Ortodossia in Dialogo! Portate le macine da mulino per annegarli! Questi omofascisti tiranni in nome della tolleranza! Questa è mafia color lavanda!” allora certo che il dialogo diventa impossibile, e lo scontro fra monologhi urlati continua ad infuriare.
Non vuoi partecipare al dialogo?
* Giacomo Sanfilippo è un cristiano ortodosso, dottorando in Studi Teologici presso il Trinity College dell’Università di Toronto (Canada), padre di cinque figli, nonno di due, e ex prete. Ha conseguito il BA in Studi di Sessualità all’Università di York e in Teologia presso il Regis College / St. Michael’s College, ed è stato alunno del Centro Mark S. Bonham per gli studi sulla diversità sessuale all’Università di Toronto. Ha scritto per Public Orthodoxy, il Toronto Journal of Theology, il Milwaukee Independent, il The Wheel e il Kyiv Post. La sua tesi di laurea, “A Bed Undefiled: Foundations for a Orthodox Theology and Spirituality of Same Sex Love”, può essere scaricata presso il sito dell’Università di Toronto.
** Orthodox in Dialogue è stato lanciato come pubblicazione indipendente nell’agosto 2017 per essere uno spazio aperto al confronto sul cristianesimo ortodosso. A partire da dicembre 2017 è tra i migliori siti web ortodossi su internet. Il suo fondatore ed editore è Giacomo Sanfilippo.
Testo originale: From the fathers: the kingdom of heaven is like…two men in bed together?