La Bibbia e l’omosessualità. La lotta di Paolo di Tarso
Brano tratto dal libro di Carolina del Río Mena*, ¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos, Editorial Uqbar, Santiago (Cile), anno 2015, pp.276-283, liberamente tradotto da Dino
E’ il fariseo convertito al cristianesimo Paolo di Tarso che parla, e con durezza, degli omosessuali. Ma a chi si riferiva esattamente? Per chiarire un po’ questi testi tanto manipolati e abusati, seguo Alexandre Awi che afferma che Paolo, nei suoi viaggi apostolici per la Grecia, cercando di convertire al Vangelo di Gesù Cristo, poté verificare la diffusione delle pratiche omosessuali che tanto ripugnavano alla sua mentalità ebrea farisaica. Partendo dalla constatazione dell’esistenza di tali pratiche e riferendosi a ciò che vide, scrive i testi che fanno diretto accenno alle relazioni omosessuali contenute nel corpus paolino:
1Cor 6,9-10: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il Regno di Dio? Non ingannatevi! Nè gli impuri, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati (malakoi), né gli omosessuali (arsenokoitai), né i ladri, né gli avari… erediteranno il Regno di Dio”.
Secondo Awi questa versione, contenuta nella Bibbia di Gerusalemme, “è inesatta ed equivoca”. Dobbiamo, sostiene Awi, dar ragione a John J. McNeill “quando protesta contro le traduzioni della Bibbia che non interpretano correttamente i termini greci usati in questi versetti. Secondo lui, guidato da buoni esegeti, il termine malakos non si riferisce direttamente all’omosessualità, benché nemmeno la escluda. Indica piuttosto l’uomo di carattere debole, libertino o licenzioso, persone mansuete, molli; pertanto non necessariamente effeminati”.
Invece gli arsenokoitai letteralmente sono quegli uomini che si relazionano sessualmente con altri uomini. Tuttavia, secondo Mc Neill, “tradurla direttamente con omosessuali è un errore perché tenderebbe ad escludere dalla salvezza (del Regno di Dio) tutti coloro che fanno parte della condizione omosessuale per via della loro struttura psicologica, anche quando osservano una condotta morale irreprensibile“. Tale interpretazione sarebbe contraria a ciò che oggi insegna il Magistero della Chiesa, che non respinge la persona di condizione omosessuale.
Mc Neill va oltre e pensa che arsenokoitai con ogni probabilità “qui indica espressamente i concubini e i prostituti, talvolta in relazione coi culti pagani di Corinto. Da qui sorge allora la domanda: Paolo si riferisce soltanto ad essi o a tutti coloro che attuano pratiche omosessuali?“.
Se si riferisce a tutti gli arsenokoitai, il Magistero sarebbe in errore e se invece si riferisse solo a quelli che esercitano la prostituzione, perché allora dobbiamo condannare “tutti” gli atti omosessuali? “Questo testo cioè non sembra essere decisivo per la condanna indiscriminata di ogni relazione omosessuale“.
1Tim 1,9-11: “Tenendo ben presente che la legge non è stata istituita per il giusto, ma per i prevaricatori e i ribelli, per gli empi e i peccatori… adulteri, omosessuali (arsenokoitai), trafficanti di esseri umani…”.
Di nuovo compare la parola arsenokoitai, in un contesto in cui viene descritto il confuso panorama morale della società ellenistico-romana e si elencano una serie di peccati e di mali. Secondo Awi, allora, per questi versetti valgono le stesse osservazioni fatte in precedenza sull’uso di questa espressione. Questo avvertimento di Paolo seguirebbe il percorso tracciato nell’Antico Testamento di condanna dei culti pagani e della praxis (pratica) della prostituzione sacra, maschile e femminile e spiegherebbe molto bene l’ardore con cui Paolo combatte l’idolatria, da quel buon fariseo che era stato.
Guardando il contesto in cui compaiono questi versetti, Awi constata che Paolo manifesta qui la sua convinzione, in accordo con la tradizione levitica e con l’esperienza secolare del popolo ebraico, “che la vera causa della depravazione omosessuale si trova nell’idolatria (cfr. v.25: “a essi che… adorarono e servirono la creatura invece del Creatore”. Lo stesso nei versetti 21-24 dello stesso capitolo). Poiché non avevano reso culto al vero Dio ma agli idoli, Dio stesso abbandonò i gentili alle loro infami passioni. Cioè, la perversione morale in linea orizzontale (relazione degli esseri umani tra loro) è conseguenza diretta della perversione morale in linea verticale (relazione con Dio).
Rom 1,26-27: “Per questo Dio li abbandonò a passioni infami, le loro donne cambiarono le relazioni naturali con altre contro natura; ugualmente gli uomini, abbandonando il rapporto naturale con la donna, furono presi da desiderio gli uni per gli altri, commettendo l’infamia di uomo con uomo, ricevendo su di sè la meritata paga per il loro traviamento“.
Si potrebbe invece trovare un’allusione all’omosessualità femminile soltanto in questo brano della lettera ai Romani: “Le loro donne cambiarono le relazioni naturali con altre contro natura“; Awi nota: “Il parallelismo che segue (gli uomini, abbandonando il rapporto naturale con la donna) porterebbe a dedurre che il precedente accenno al comportamento femminile possa esser letto come “le donne abbandonarono le relazioni naturali con l’uomo“.
E’ tuttavia possibile che il termine implicito fosse “con il corpo“, nel qual caso le relazioni contro natura con quest’ultimo fossero riferite a posture innaturali durante l’atto sessuale. Diversi autori classici considerano “naturale” il coito in cui la donna sta sotto, cosa che quadrerebbe perfettamente col postulato fondamentale di Paolo: la subordinazione della donna all’uomo (cfr. 1Cor 11,3ss). Lo stesso concetto è proposto da moralisti del calibro di Vidal, Ruiz, Althaus, Farley e altri.
Un altro importante aspetto del testo secondo Awi è il seguente: “Paolo considera gli atti omosessuali ‘para physin’ (cioè contro natura). La difficoltà -spiega Awi- sta nel senso che l’atto sia compiuto effettivamente ‘contro natura’. Il pericolo qui, avverte, è che in noi si impongano subito le note categorie aristotelico-tomiste, impedendoci di approfondire la complessità dell’argomento”.
Mc Neill propone alcuni percorsi interpretativi in relazione al concetto di natura: “Sarà la natura umana come la intendevano gli stoici o in quanto vincolata all’eredità religiosa e culturale, oppure si riferirà al singolo pagano che va al di là dei suoi stessi appetiti sessuali per avventurarsi in nuovi piaceri carnali?“.
Il concetto di natura umana non solo è complesso e ambiguo, di conseguenza si sta parlando di “eliminare i limiti prestabiliti del concetto di natura” come vedremo farà Borgman più avanti. “Il concetto di natura umana usato forse con eccessiva facilità dai manuali di teologia morale, è molto complesso, per non dire ambiguo. per questo oggi lo si usa in modo più limitato e prudente“.
Nel suo studio Mc Neill arriva a due conclusioni che -a giudizio di Awi- dobbiamo rilevare: in primo luogo evidenzia che “l’uso naturale del sesso” a cui si riferisce Paolo nella sua lettera ai Romani, “non fa allusione a nessuna natura ontologica o essenziale, cosa che sarebbe totalmente estranea al pensiero semita, fa invece riferimento alle abitudini naturali o abituali“. Su questo punto coincidono Awi e Llinares.
Aggiunge che gli atti omosessuali condannati dal fariseo Paolo “non sono praticati da veri omosessuali, ma da eterosessuali che potrebbero agire secondo la loro inclinazione naturale”. Questa affermazione è piuttosto audace e importante. Questi testi cioè non condannerebbero i ‘veri omosessuali‘ ma quelli che, senza esserlo, hanno relazioni omosessuali.
Secondo l’interpretazione di Awi, il ragionamento di Paolo, apostolo dei gentili, sarebbe stato più o meno questo: eterosessuali e omosessuali possono avere relazioni etero o omosessuali secondo i dettami della loro natura. Tuttavia, poiché non è nella natura dell’eterosessuale avere intimità sessuale con qualcuno dello stesso sesso, esso commette una perversione, e viceversa.
“In entrambi i casi si commette una perversione se si agisce contro la propria natura. In questo modo, l’eterosessuale che adotta un comportamento omosessuale (come ad esempio può essere il caso degli arsenokoitai dei templi pagani) agisce in modo pervertito contro l’uso naturale del suo sesso, e Paolo è questo che condanna. Al contrario il vero omosessuale può esprimere un amore autentico attraverso gli atti omosessuali, dato che così manifesta il suo autentico modo di essere” e non va contro la sua natura. Questo modo di argomentare distingue tra ciò che Awi chiama i “veri omosessuali”, cioè quell’omosessualità come orientamento psichico fondamentale e quella che è soltanto un comportamento occasionale o passeggero o un costume acquisito.
Alcuni, come ad esempio Marciano Vidal, si riferiscono a questa distinzione come a una differenza tra struttura ed attività omosessuale, distinzione che Paolo non conosceva, come nemmeno -secondo Awi- gli autori del Levitico e nemmeno i pensatori greci e romani “visto che solo nel XX secolo si è iniziato a conoscere scientificamente il sesso, a partire dagli studi di Freud e della sua scuola. L’intenzione di Paolo non era di condannare gli uni, ed approvare invece la condotta degli altri”. E nemmeno è molto semplice, secondo Awi, definire “quali sono i ‘veri’ omosessuali e quali gli eterosessuali ‘pervertiti’ che hanno comportamenti omosessuali“.
In sintesi, in base a quanto brevemente esposto, è possibile affermare senza alcun dubbio, con Awi e altri ciò che segue:
Primo, il numero di testi che fanno riferimento all’omosessualità sia nell’Antico Testamento (AT) che nel Nuovo Testamento (NT) è molto scarso. Le condanne prese in esame rimarcano altri aspetti etici che a giudizio dello scrittore sacro sono molto più rilevanti degli atti omosessuali (ingiustizia, violazione della legge di ospitalità, idolatria, promiscuità, ecc.). “Questa scarsità di esposizione al riguardo”, fa notare Awi, “fa sì che le condanne [degli atti omosessuali] siano fatte in blocco, indiscriminatamente e senza differenziare“.
Secondo, si deve ammettere che l’uso e abuso che si è fatto (e che ancora si fa) di questi testi danno una interpretazione faziosa, esagerata e parziale, “senza tener conto della proporzione quantitativa che la Bibbia attribuisce [all’omosessualità] in confronto ad altri peccati più gravi e condannabili“.
Terzo, gli atti omosessuali citati nell’AT e nelle lettere di Paolo si riferiscono soltanto ad atti tra uomini, eccetto Rm 1,24-32 che abbiamo ricordato. Cosa che conferma una volta di più l’androcentrismo biblico tante volte rimarcato e denunciato dalle donne.
Quarto, i testi menzionati riguardanti gli atti omosessuali esprimono il rifiuto e/o la condanna degli stessi, non tanto perchè questi atti siano condannati in se stessi, ma per quello che implicano in quanto sono vincolati ad altri peccati considerati più gravi, come l’idolatria o la violazione del precetto dell’ospitalità. Il giudizio etico responsabile, oggi non può disapprovare incondizionatamente la pratica omosessuale senza un’accurata analisi del contesto e del substrato dei testi. Oggi infatti ad esempio sarebbe impensabile qualificare un atto omosessuale come idolatrico.
Se accettiamo il fatto che esistono persone che presentano inclinazione verso lo stesso sesso come orientamento psichico fondamentale (gli ‘omosessuali veri’) e altre che, pur avendo un orientamento eterosessuale, compiono (occasionalmente o abitualmente) atti omosessuali, si deve riconoscere che nella Sacra Scrittura non c’è nessun testo che espressamente rifiuti atti omosessuali tra ‘omosessuali veri’, come sostiene Mc Neill. Tuttavia credo che dalla Bibbia non ci si possa aspettare questo tipo di distinzione psicologica.
Un paragone dell’atteggiamento di rifiuto da parte della Scrittura verso le azioni omosessuali, in confronto alle affermazioni nei riguardi delle azioni eterosessuali disordinate, consente di concludere che l’Antico Testamento (AT) e il Nuovo Testamento (NT) non condannano le azioni omosessuali più rigidamente, rispetto alle azioni disordinate degli eterosessuali. Il grado di condanna in entrambi i casi è simile.
* Carolina del Río Mena è una teologa cattolica e giornalista cilena, madre di quattro figli. Ha conseguito un master in Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Cattolica del Cile ed è docente presso il Centro de Espiritualidad Santa María, inoltre collabora col Centro Teológico Manuel Larraín del “Círculo de estudio de sexualidad y Evangelio”. E’ autrice del libro “¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos” pubblicato nel 2015, ed è co-autrice di “La irrupción de los laicos: Iglesia en crisis” edito nel 2011.