La buona politica, le torte alla nutella e la veglia per le vittime dell’omofobia in una chiesa cattolica di Milano
Ore 21.00 appuntamento per la Veglia sull’Omofobia nella Chiesa Rossa, periferia di Milano. Rossa, perché in mattoni rossi con alcuni affreschi sulla parete molto belli di cui sono sopravvissuti solo alcuni frammenti.
Piove che Dio la manda, prima di mettermi in macchina è venuta giù una grandinata da spavento e per un attimo ho pensato che non dovevo andare.
Quando arrivo, ci sono tutti quelli che conosco. Sergio delle Querce di Mamre, bello e fascinoso, Andrea del Guado che ci intruppa e da preciso gli ordini, Gianni che dirige con mano sicura le prove del canto, Lorenzo del Varco che lo sostiene con la sua voce baritonale.
Alcune file dietro, Cristian della Fonte e la sua simpatica ironia. Il tutto condito dalla presenza di un frate e da Anne Zell, la pastora valdese.
Mi tira la giacca Tiziana. Deve fare una testimonianza ed è agitata. E’ il suo battesimo del fuoco, in un maggio che si preannuncia elettrizzante per lei. La prossima domenica farà l’ammissione in chiesa valdese. Si inizia.
I canti devono essere stati il frutto di una spietata e dura trattativa tra cattolici e protestanti: un do ut des infernale. Così c’è di tutto: latino, canti valdesi, l’inno 23 musicato da Lorenzo su cui la mia voce si spenna sempre come una gallina sul punto di finire in una pentola. Partono le testimonianze, c’è un silenzio sospeso.
Sembra una domanda, una domanda di cui non si intravvede mai il punto interrogativo finale: vite uccise, sbranate dal pregiudizio, divorate dall’odio e dal disprezzo omofobico, come per dire quando, quando finirà tutto questo, dov’è la chiesa, quando ci aprirete la porta uomini e donne di buona volontà?
Mi accorgo solo in quel momento che la chiesa è piena di luci, sembra una luminaria di pasqua come accade giù in Sicilia, dicono che l’anno scorso la veglia si svolse al buio, mi fu riportato come fedele testimonianza. Di più non dico.
So che quest’anno la Veglia ha fatto nomi e cognomi precisi, non li ha rigirati all’incontrario. Le parole omosessuale, lesbica, trans, diritti sono risuonate chiare e non sono venute giù, no, le colonne della piccola chiesa.
A questo punto mi sono già distratta ed Anne è partita come suo solito in falsetto. Per chi la conosce, è il suo modo di fare apparentemente innocuo, poi in modo teutonico finisce con il fare tremare le pareti.
Condanna senza remissione delle terapie riparative, apertura fiduciosa agli altri che possono sempre sorprenderci con la loro accoglienza, coming out duro e puro.
E mi ritrovo a pensare quante volte questa donna mi ha dato parole di coraggio. A partire da quella volta, quando scoprii che la chiesa valdese aveva aperto le porte ad una comunità pentecostale omofobica.
Ero tanto arrabbiata da volere come minimo due o tre teste del Concistoro da appendere a casa mia, ma lei mi disse: prima di fare un’altra strage di san Bartolomeo, magari lascia qualche libro sull’omosessualità nel tavolo d’entrata, così qualche pentecostale lo prende in mano e lo legge.
E’ stata Anne che mi ha convinta del valore dell’ecumenismo. Mi è venuta in mente anche quella volta quando vennero da me due ragazzi di una comunità, del cui nome non mi voglio ricordare, a dirmene di ogni sui cattolici omosessuali e sull’impossibilità di lavorare con loro.
Gli risposi che senza i cattolici non andiamo da nessuna parte, che a furia di parlare solo con quelli che la pensano come noi finiamo con il costruire i ghetti, le belle riserve indiane, dove alla fine ci si raduna intorno ad un fuoco per commentare i bei tempi passati.
Che ironia della sorte: da una parte Ratzinger con le sue scarpette prada e dall’altra questa piccola, grande donna con le sue ballerine di vernice laccata.
E poi si dice che Dio non abbia il senso dell’ironia.
Intanto si snodano bellissimi i testi, si finisce, ci abbracciamo per scambiarci un segno di pace, a funzione conclusa nessuno ha voglia di andarsene davvero, da un rapido giro d’indagine vedo facce e commenti soddisfatti anche da parte dei valdesi.
Due o tre anni fa’ sarebbe stato impensabile una veglia di questo tipo in una chiesa cattolica. Lentamente, i cuori cambiano e prendono coraggio. Diventano forti se c’è una comunità di fratelli e sorelle che li sostiene. Solo così inoltre si scoprono i talenti.
Penso a Lorenzo che è stato eletto deputato sinodale della comunità valdese di Milano, lui che sembrava così fragile quando arrivò da noi e ora mi fa le ramanzine per telefono.
Penso ad Alessandra che cura il lavoro del Varco con gli stranieri e i rifugiati, lei che si sentiva affranta dalla solitudine.
Penso ad Alessandro che viaggerà a Barcellona per il Forum europeo, a Francesco che è stato eletto rappresentante distrettuale con una percentuale quasi bulgara nelle nostre chiese.
Sorrido soddisfatta nel viaggio di ritorno che mi porta a casa di Marco e del suo compagno, il quale da buon casalingo ha preparato una saporita torta alla nutella.
All’una di notte ci ritroviamo a sorseggiare una tisana come tre aristocratiche signore parlando di cinema d’essai tra le molte risate. Mi sembra il miglior premio per la fatica.
La fatica, dico, di avere creduto persino nei peggiori momenti che il dialogo è possibile, che da soli ci muriamo vivi, insieme costruiamo ponti. E per dirla con le parole di un cattolico, “ Ho imparato che uscire da soli è avarizia, uscire insieme è politica”. Don Milani, proprio lui.
Politica quella buona, che qualcuno chiama testimonianza, altri segno evangelico, altri segno profetico. Che importa, il risultato non cambia. La nostra buona politica, fatta di torte alla nutella e di condivisione con i fratelli.