La caccia della polizia egiziana contro le persone LGBT
Dossier “Egypt: Security Forces Abuse, Torture LGBT People” pubblicato sul sito dell’associazione internazionale Human Rights Watch (Stati Uniti) il 1 ottobre 2020, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte seconda
Abusi, torture e violenze sessuali per le persone LGBT sotto la custodia della polizia. La natura degli arresti e delle detenzioni documentati da Human Rights Watch, e le dichiarazioni ufficiali del Governo egiziano, che nega i diritti LGBT, suggerisce una vera e propria strategia (non certo mal vista in alto loco, anzi probabilmente diretta dal Governo stesso) per perseguitare le persone LGBT.
Come un poliziotto ha avuto modo di dire a un uomo arrestato nei primi mesi del 2019, il suo arresto faceva parte di un’operazione mirante a “ripulire le strade dai froci”. I racconti di torture e abusi costituiscono ulteriori prove dell’utilizzo pervasivo e premeditato della tortura da parte del Ministero dell’Interno, e dell’impunità di cui godono i torturatori. Secondo un rapporto di Human Rights Watch risalente al 2017, l’uso diffuso e sistematico della tortura in Egitto probabilmente costituisce crimine contro l’umanità.
Esaminando i fascicoli giudiziari di tredici persone arrestate con l’accusa di “debosciatezza” e “prostituzione” tra il 2017 e il 2020, Human Rights Watch ha stabilito che le autorità egiziane hanno arrestato arbitrariamente sette uomini tendendo loro trappole sui siti di incontri (Grindr) e sui social media (Facebook e WhatsApp). La polizia ha anche arrestato cinque uomini a causa di ciò che ha definito “modo di atteggiarsi femminile e gay” e una donna transgender a causa “del suo aspetto anormale”.
Le autorità hanno tenuto undici uomini in custodia cautelare durante le indagini, anche per mesi, poi li hanno condannati a pene da tre mesi a sei anni. I processi d’appello hanno assolto otto degli uomini e hanno ridotto le pene di altri due. Uno degli uomini ha invece scontato un anno di carcere perché accusato di “debosciatezza” in quanto non poteva permettersi la tutela legale per ricorrere in appello.
Una donna è stata sottoposta a tre “test di verginità” durante la sua detenzione, e tre uomini, una ragazza e una donna transgender sono stati obbligati a sottoporsi a un esame anale. I test di “verginità” e gli esami anali sono trattamenti crudeli, degradanti e disumani, che secondo le leggi internazionali sui diritti umani sono assimilabili alla tortura e all’abuso sessuale, in quanto violano l’etica medica, sono metodi screditati a livello internazionale e non hanno valore scientifico come “dimostrazione” della “verginità” o di un avvenuto rapporto omosessuale. Il Sindacato Egiziano dei Medici non ha fatto nulla per impedire ai medici di condurre tali esami degradanti e abusivi.
Nei seguenti racconti alcune delle vittime sono identificate con pseudonimi per proteggerle; sono in questo caso indicate con il nome tra virgolette.
“Yasser”, 27 anni
Nel settembre 2019 Yasser incontra un uomo dopo averci chattato su Grindr, una app di incontri omosessuali. Alcuni poliziotti avvicinano i due, li accusano di “vendere alcool” e li arrestano: “Mi portarono alla ‘sezione morale’ e mi tennero lì fino alle 4 del mattino, in uno stanzino, senza cibo né acqua. Mi restituirono il telefonino e le altre mie cose. Quando tornarono con il rapporto, rimasi sorpreso nel vedere che l’uomo che avevo incontrato su Grindr era uno dei poliziotti. Mi picchiarono e mi insultarono fino a farmi firmare dei documenti che affermavano che io ‘ero un debosciato’ e che stavo annunciando pubblicamente di esserlo per soddisfare ‘i miei desideri sessuali contro natura’”.
Il giorno seguente i poliziotti portano Yasser nell’ufficio del procuratore di Dokki, un distretto di Gaza, il quale gli dice “Tu sei quello schifoso frocio che hanno preso, figlio di una puttana schifosa, scopi o sono gli altri che ti scopano?”, poi prolungano l’arresto di Yasser per altri quattro giorni: “Mi portarono alla stazione di polizia di Dokki, e mi picchiarono così forte che persi conoscenza, poi mi sbatterono in cella con altri prigionieri. I poliziotti dissero ‘È un frocio’, e a me ‘Attento a non restare incinto’. Rimasi una settimana in quella cella, e tra i pestaggi dei poliziotti e le aggressioni degli altri detenuti temevo di lasciarci la pelle”.
Dopo una settimana Yasser viene portato al carcere centrale di Giza, all’interno di una centrale delle forze di sicurezza: “Appena entrai annunciarono le mie accuse, mi picchiarono a turno e mi urlarono oscenità terribili, poi mi misero in isolamento. Quando chiesi perché, mi dissero ‘Perché sei un frocio bastardo, ti lascerò qui perché possano scoparti a volontà’. Dovetti dare bustarelle ai soldati perché la smettessero di umiliarmi e torturarmi”.
Il 30 settembre [2019] Yasser compare davanti a un tribunale minore di Giza, e il giudice lo assolve: “Quando tornai alla stazione a prendere i miei documenti, rimasi sorpreso dal fatto che la polizia aveva presentato appello contro la mia assoluzione. Trovai un avvocato che mi difendesse, e di nuovo risultai innocente. La mia famiglia cessò di parlarmi, mio fratello mi minacciò di morte, e avevo troppa paura di camminare per strada. Avevo perso tutto, non avevo nemmeno il denaro per lasciare il Paese”.
Testo originale: Egypt: Security Forces Abuse, Torture LGBT People