La Chiesa anglicana apre ai vescovi gay «Ma siano celibi»
Articolo di Fabio Cavalera pubblicato su Il Corriere della Sera del 5 gennaio 2013
Il gallese Jeffrey John potrà diventare finalmente vescovo senza che nessuno lo obblighi a dimettersi contestandogli e rinfacciandogli di essere un omosessuale dichiarato e convivente con un partner. Già il 20 maggio di dieci anni fa il diacono Jeffrey John era salito al soglio episcopale anglicano, nella diocesi di Reading. Ma allora ci fu una sollevazione e lui, per mettere a tacere i più accaniti conservatori, prese la decisione di compiere spontaneamente il passo indietro così da non lacerare la comunità dei credenti.
Il suo fu il caso che fece da detonatore. Il tempo passa e la questione trova ora una consacrazione «rivoluzionaria», in un clima che non è per niente di pace ritrovata fra progressisti e integralisti del rito cristiano originato dalla separazione di Enrico VIII da Roma. Quanto definitivo e stabile sarà questo pronunciamento è difficile da pronosticare perché chi era assolutamente contrario lo è rimasto e promette di rovesciare all’assemblea generale il verdetto della «House of Bishops» che è la sezione del Sinodo anglicano incaricata di vigilare sui principi fondanti della Chiesa.
Comunque il dado è tratto. E la notizia è che ai preti gay, uniti in partnership civili e sotto il giuramento di astenersi dal sesso, sarà consentita la nomina a pastori episcopali. È un passaggio storico per l’anglicanesimo. E lo si capisce da come la «nuova politica», riassunta nel rapporto della «House of Bishops», sia rimasta sottotraccia per un paio di settimane.
Risale a metà dicembre la nota finale della commissione ma, essendo la tematica dell’omosessualità una fra le più delicate che agitano Canterbury e York, è scivolata via, fra le righe, quella considerazione secondo cui si applicano anche al gradino vescovile le regole stabilite nel 2005 per la semplice consacrazione di «coloro che sono coinvolti in partnership civili e le cui relazioni sono conformi agli insegnamenti della Chiesa». Forse, una formulazione del genere era sfuggita. O forse, data la sua potenzialità dirompente per la storia della Chiesa d’Inghilterra, è stato valutato un approccio comunicativo post-natalizio.
Resta che Jeffrey John, alle soglie dei sessant’anni e oggi diacono di St. Albans, intasca una vittoria e un riconoscimento davvero importanti. Apripista del cambiamento nel 2003, quando però la sua sensibilità gli suggerì che per l’anglicanesimo sarebbe stato uno strappo precoce e fin troppo traumatico, Jeffrey John, che convive dall’agosto 2006 con il reverendo Grant Holmes, non ha mai mancato di offrire coraggiosamente il suo pensiero.
E non solo su un capitolo interno all’organizzazione della Chiesa quale appunto la nomina dei vescovi gay ma, più in generale, sull’approccio degli anglicani alla questione del matrimonio fra omosessuali. Nel luglio scorso bucò le mura dei vertici ecclesiali con affermazioni assai critiche.
«La Chiesa è l’ultimo rifugio del pregiudizio e ciò mi rende triste perché io l’ho sempre amata e servita». Accusò di «ipocrisia» quanti all’interno del rito si oppongono ai matrimoni gay e invitò i fedeli «a non prestare attenzione ai richiami dei cristiani conservatori, non lo meritano e devono essere ignorati».
Discorsi forti. Chissà se gli impediranno di diventare vescovo.
Un dato è certo: tutti i sondaggi concordano nel rilevare che la maggioranza di credenti, in Inghilterra, è favorevole alle nozze fra persone dello stesso sesso (il governo intende consentirli entro il 2015). E ancora di più, e secondo «gli insegnamenti della Chiesa», alla «promozione» degli omosessuali al soglio episcopale.