La chiesa cattolica e i gay. Le vite originali, sobrie e mutevoli del clero omosessuale attraverso i secoli
Articolo di Andrew Sullivan pubblicato sul sito del quindicinale New York (Stati Uniti) il 21 gennaio 2019, quarta parte, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
La grande proporzione di gay nel clero non è in realtà nulla di nuovo nella Chiesa cattolica. Per oltre un millennio è stata una cosa normale, e anche se in passato occasionalmente veniva denunciata, di solito i Papi non prendevano nessun provvedimento.
Per esempio, come ha dimostrato il defunto storico John Boswell nel suo fondamentale libro Cristianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo (Leonardo, 1989), Giovanni Crisostomo, [Padre della Chiesa] del IV secolo, attaccò i vertici della Chiesa per essere troppo tolleranti verso le relazioni omosessuali: “Le persone stesse che si sono nutrite della dottrina divina, che istruiscono gli altri dicendo cosa devono o non devono fare […] che non si accompagnano con le prostitute così sfacciatamente come fanno con i giovani […] Nessuno si vergogna, nessuno arrossisce […] coloro che sono casti sembrano l’eccezione, e coloro che disapprovano sembrano essere in fallo”.
I cristiani, seguendo gli insegnamenti di san Paolo e sant’Agostino, temevano molto il sesso in generale, ma non tutti erano d’accordo sul fatto che l’omosessualità, se si limitava a un intenso amore reciproco e all’amicizia casta, fosse problematica.
Perfino sant’Agostino ebbe una storia d’amore particolarmente intensa con un giovane: “Io sentii che la mia anima e la sua erano state ‘un’anima sola in due corpi’; perciò la vita mi faceva orrore, poiché non volevo vivere a mezzo, e perciò forse temevo di morire, per non far morire del tutto chi avevo molto amato” [Confessioni, libro IV]. Non era una semplice amicizia spirituale, confessa Agostino: “Inquinavo così la fonte dell’amicizia con le sozzure della concupiscenza e ne oscuravo il candore con le tenebre della libidine”.
Alcuni hanno ipotizzato che la dottrina manichea di Agostino, che opponeva drasticamente lo spirito e il corpo, sia alla radice del suo disgusto verso le sue tendenze omosessuali; le testimonianze storiche rivelano tuttavia che, al di là dell’influenza di Agostino, le intense amicizie omoerotiche tra membri del clero furono molto comuni nei secoli seguenti, soprattutto nei monasteri. (Come anche nei conventi femminili. I doni che le lesbiche hanno recato alla Chiesa sono altrettanto straordinari, ma dato che il sacerdozio è esclusivamente maschile e le donne non possono accedere ad autentiche posizioni di potere, le suore lesbiche, nel bene e nel male, non sono coinvolte nella crisi attuale.)
Il capolavoro dell’”amicizia spirituale” è stato scritto da un omosessuale, sant’Aelredo, abate del monastero cistercense di Rievaulx in Inghilterra verso il 1160. Negli anni giovanili aveva avuto delle relazioni sessuali con uomini, ma quando divenne monaco e fece voto di castità sublimò quei desideri in un’idea di intenso amore casto per un altro uomo, prendendo come modello la relazione tra Gesù e “il discepolo che Gesù amava”, Giovanni, descrivendola a un certo punto persino come un “matrimonio”.
Aelredo considerava l’intimità di Gesù con Giovanni (per esempio nell’Ultima Cena, quando Giovanni appoggia la testa sul petto di Gesù) come modello di relazione con un altro uomo “con il quale puoi stare unito nell’abbraccio intimo dell’amore più sacro […] con il quale puoi riposare, solo con lui, nel sonno della pace, lontani da rumore del mondo, nell’abbraccio dell’amore, nel bacio dell’unità”.
Nel XII secolo i sacerdoti e i monaci scrivevano lettere d’amore ai loro confratelli in quella che Boswell definisce “una fioritura di letteratura gay cristiana ancora senza paralleli nel mondo occidentale”. Forse in risposta a tale ampia accettazione della spiritualità gay, altri intrapresero un’offensiva.
Attorno al 1051 san Pier Damiani pubblicò un trattato, il Liber Gomorrhianus (Libro di Gomorra), la cui retorica è sorprendentemente simile alle denunce online della nostra epoca: “Nella maniera più assoluta nessun altro vizio può essere ragionevolmente paragonato a questo […] infatti è la morte del corpo, la distruzione dell’anima […] rimuove completamente la verità dalla mente”.
San Pier Damiani accusava la Chiesa di essere guidata da una camarilla gay, in cui [i sacerdoti omosessuali] si coprivano e si concedevano l’un l’altro l’assoluzione per i loro peccati.
Papa Leone IX tuttavia si rifiutò di sanzionarli e sostenne che il problema era il sesso “quando viene praticato da molto tempo o con molti uomini”; una caduta occasionale, se confessata, poteva essere perdonata. Leone IX si trovava d’accordo con Francesco.
San Pier Damiani fu il maggior riformatore della Chiesa del suo tempo, e la sua opera andava molto al di là di questa questione; nel 1059 un sinodo diede una risposta a tutte le sue numerose proposte, tranne a quella sui sacerdoti gay. Papa Alessandro II arrivò al punto di chiedergli l’unico manoscritto del suo Liber Gomorrhianus per poterlo copiare, invece lo mise sotto chiave!
Quando il santo gliene chiese ragione, il Papa “rise e cercò di placarmi con l’untuoso umorismo della buona educazione”.
Nel 1102 il Concilio di Londra, animato da simili preoccupazioni, decise di promulgare un decreto contro il peccato di “sodomia” (una nuova definizione), ma l’arcivescovo di Canterbury ne bloccò la pubblicazione, con la giustificazione che “questo peccato fin’ora è stato così diffuso che difficilmente qualcuno ne è imbarazzato”.
Il vento girò decisamente nel XIII secolo, quando il genio teologico di san Tommaso d’Aquino condannò gli atti omosessuali come “contro natura”. Il sesso è riservato alle coppie sposate aperte alla procreazione, e ogni altra attività sessuale costituisce peccato grave.
In questa nuova teologia gli omosessuali fanno parte della creazione (erano già stati notati i comportamenti omosessuali di alcuni animali, soprattutto le lepri e le iene), ma in qualche modo sono anche contrari alla creazione. Tommaso non risolse mai questo paradosso, né lo ha mai fatto la Chiesa.
Nei secoli successivi l’omosessualità divenne sempre più un tabù, ma non c’è ragione di credere che i sacerdoti gay siano scomparsi: si nascosero solo meglio, e l’amore omosessuale rimase profondamente radicato nel cristianesimo cattolico. L’amicizia tra sant’Ignazio di Loyola e san Francesco Saverio, per esempio, diede vita alla Società di Gesù (Gesuiti) nel XVI secolo. Ignazio diede a Francesco il compito di evangelizzare l’Asia e la loro lunga separazione fu fonte di sofferenza per entrambi. Ecco la risposta di Francesco (Saverio) a una lettera di Ignazio: “Fra le molte altre e sante parole e consolazioni della sua lettera, ho letto le ultime che dicevano: «Tutto vostro, senza potervi mai dimenticare, Ignazio», le quali, così come con lacrime le ho lette, con lacrime le scrivo […] Vostra santa Carità mi scrive quale desiderio Ella abbia di vedermi prima di terminare questa vita. Dio nostro Signore sa quanta emozione hanno fatto nella mia anima queste parole di così grande amore”. Non si rividero mai più.
Il più grande teologo cattolico del XIX secolo, il cardinale John Henry Newman, in privato fu molto devoto a un altro uomo, Ambrose St. John. Questo non significa che i due ebbero una relazione sessuale (anche se è possibile), ma suggerisce il fatto che il profondo amore omosessuale era ancora praticato ai più alti gradi del clero cattolico, perfino all’apice della repressione vittoriana e perfino da parte un uomo da molti considerato un santo.
Quando Ambrose St. John morì, Newman scrisse “Avevo sempre pensato che nessun lutto fosse paragonabile a quello di un marito o una moglie, ma ora ritengo sia difficile credere che un lutto o un dolore possano essere più grandi del mio”.
È noto che Newman si convertì al cattolicesimo dall’anglicanesimo e che aveva fatto parte [prima della conversione] del Movimento di Oxford [un movimento riformista anglicano che auspicava un deciso riavvicinamento al cattolicesimo, n.d.t.], fortemente influenzato da persone omosessuali. Newman insistette per essere sepolto (“come mia ultima imperativa volontà”) nella stessa tomba di Ambrose St. John. Sulla lapide, le parole che i due avevano dettato: “Dall’ombra e dai simboli alla verità”.
Il più grande poeta cattolico del XIX secolo, il gesuita Gerard Manley Hopkins, era gay, come lo era uno dei più profondi sacerdoti-teologi del Novecento, Henri Nouwen. Entrambi erano soggetti ad attacchi di profonda depressione. Non c’è nessuna prova che abbiano rotto la castità e il celibato, ma si sono innamorati, hanno lottato con la solitudine e prodotto opere di immensa bellezza e spiritualità.
La più bella opera di Nouwen è una riflessione sulla parabola del Figliol Prodigo; una delle poesie più famose di Hopkins, Bellezza variegata, è un peana dedicato a “tutte le cose a contrasto, originali, sobrie, strane; / tutto ciò che è mutevole e – chi sa come – maculato […] Genera senza tregua Colui, la cui bellezza è immutabile. / Lode a Lui”.
Testo originale: The Gay Church. Thousands of priests are closeted, and the Vatican’s failure to reckon with their sexuality has created a crisis for Catholicism.