La chiesa cattolica e la follia di chiedere alle persone omosessuali di astenersi dall’amare?
Email inviataci da Massimo Battaglio
Cari amici di Gionata In questi ultimi mesi, vedo con preoccupazione un rimontare del dibattito sulla castità richiesta dalla Chiesa cattolica alle persone omosessuali: c’è chi si dichiara aperto ai gay ma solo se rinunciano a rivendicare il matrimonio, e chi si sente in dovere di testimoniare la propria scelta di castità. E c’è naturalmente chi si domanda se siano i primi o i secondi a essere i più matti, o almeno, i più fuori dal mondo.
Personalmente non ho nulla contro la castità (a parte un fidanzato). Nelle culture di tutti i tempi, essa è stata un’opportunità che molte persone hanno desiderato e praticato con grande giovamento proprio e delle loro società: si sono sempre date forme di monachesimo o di vita solitaria, che rispondevano a chi sentiva il bisogno di allontanarsi dal mondo per coltivare valori diversi. E l’allontanamento consiste anche nell’abbandono della sessualità vissuta. Credo che la tensione ascetica faccia parte dell’uomo, che l’abbiamo sperimentata tutti in qualche momento e che per qualcuno sia così forte da diventare ragione di vita.
Ma, se credo fermamente che la castità possa essere per qualcuno il metodo più maturo per vivere il proprio rapporto con la sessualità, penso anche che non sia un bel modo per risolvere i propri problemi di immaturità sessuale e, peggio che mai, per tagliar corto con questioni di orientamento. Credo che le persone votate alla castità siano distribuite in proporzione identica tra eterosessuali, omosessuali, bisessuali, e via discorrendo. Se esistessero cento “multisessuali” sulla faccia della terra, è probabile che uno di loro senta un forte desiderio di castità. Di più, no.
Ritengo che le parole che si sprecano sull’elogio della castità, e in particolare le testimonianze, vadano prese con molta prudenza, specialmente quando ci si rivolge a un pubblico omosessuale. Perché è da secoli che si vende alle persone omosessuali l’alternativa “comoda” della castità (o almeno: della castità apparente), salvo accorgersi solo ora degli effetti devastanti che questa “terapia” ha avuto sulle vite di chi ha provato a praticarla.
Se poi tingiamo di religioso il discorso e parliamo di castità come scelta vocazionale, chiesta alle persone omosessuali direttamente da Dio, è ancora peggio. Innanzitutto perché non è Dio a fare questa proposta ma tutt’al più il gruppo di teologi che ha formulato i famosi articoli del Catechismo, e poi perché, se davvero venisse da Dio, non si tratterebbe di una proposta “di massa” ma tutt’al più di un invito a ogni singola persona.
Quando Dio si presenta a Samuele (1Sam 3, 1-10), lo fa nel cuore della notte, mentre lui è solo, e lo chiama per nome, tre volte di seguito. Non sveglia tutti i giovani che hanno caratteristiche simili alle sue. Chiama lui. Altri saranno chiamati un’altra volta, in separata sede, e ciascuno avrà occasione si sentire il proprio nome nel silenzio e a ciascuno sarà affidata una missione particolare. Mi fa strano che gli estensori del Catechismo abbiano dimenticato questo: la singolarità di ogni vocazione che viene dal Signore. E mi fa ancora più strano che abbiano potuto pensare che le persone omosessuali siano chiamate in massa per una medesima missione. Alè! Un bel gaypride della castità!
In realtà, la ricetta della castità contenuta nel Catechismo mi sembra frutto di una mentalità superata, che tratta il sesso come qualcosa che si deve trattare per forza e la fede come un teorema. Si pensa: il fine del sesso è la procreazione; gli omosessuali non possono procreare; dunque non facciano sesso. Poi ci si accorge di quanto sia rozzo questo ragionamento e allora lo si fiorisce un po’. Viene fuori: l’unione sessuale è buona quando avviene all’interno del matrimonio, cioè del vincolo tra un uomo e una donna finalizzato a donarsi e sostenersi reciprocamente in vista della generazione della vita. Dunque, gli omosessuali, che non possono contrarre un matrimonio che abbia tutte le caratteristiche succitate, sono chiamati alla castità. Altrimenti vanno contro natura.
Ma esiste un’unica “natura”, cioè un’unica missione, per tutti gli esseri umani? Sì: una missione unica c’è ed è la santità, ma penso che a ciascuno sia dato di raggiungerla secondo le sue personalissime caratteristiche: a uno nell’unione con la propria moglie, a un altro in quella col proprio marito, a un terzo in qualche altro modo. Nella grande via della santità, ognuno ha sicuramente una sua corsia preferenziale. Sta a lui capire qual è e seguirla con sincerità, sapendo che questa è la “sua natura”.
Se gli antichi esegeti delle lettere di Paolo avessero avuto qualche nozione in più sul termine “natura” e avessero saputo dell’esistenza di più orientamenti sessuali – non potevano saperlo perché non avevano letto Freud né Ulrichs e non possiamo fargliene una colpa – sono persuaso che non avrebbero interpretato quel famoso versetto “hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura” (Rm 18,26) come una condanna alle persone omosessuali ma a tutte quelle che negano la “propria natura”. Tra queste rientrano sicuramente quelle che, pur essendo omosessuali, si nascondono dietro un finto matrimonio con un partner del sesso opposto e anche le altre che pensano di tagliar corto inventandosi o simulando una vocazione alla castità.
Qualcuno dice ancora che non c’è niente di “naturale” nel vivere attivamente l’omosessualità, nel senso che la natura non ha previsto che gli uomini possano riprodursi attraverso rapporti omosessuali. Ma la natura dell’uomo è così banale? La prima benedizione che Dio dà ad Adamo ed Eva è: “siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn 1,28), ripetuta ancora meglio ai figli di Noè: “crescete e moltiplicatevi” (Gn 9,1). Non solo “moltiplicatevi”, ma anche progredite, diventate adulti. ù
Si cresce nell’intelletto, nella cultura, e si cresce anche attraverso l’esperienza di coppia, di una coppia completa, secondo natura, anzi, secondo la propria natura Ma poi: la castità è per caso naturale? O è anch’essa una scelta, ovvero un fatto di cultura? Ma allora, invece di ipotizzare frettolose regole generali che per molti risultano disumane, non sarebbe meglio invitare ciascuno a guardare nel suo proprio cuore e a compiere la scelta che più gli consente di crescere secondo il comando di Dio?
Credo che, solo accettando questa sfida, potremo sperare che la Chiesa si faccia accogliere dalle persone omosessuali (attenzione: ho proprio detto “la Chiesa si faccia accogliere dalle persone omosessuali”, perché non vale solo l’inverso). Credo che sia necessario compiere la fatica di rileggere la Parola di Dio come una parola viva, che parla a ciascuno nella sua lingua e nel suo tempo, accettando le sfide dell’oggi e il progredire culturale dell’umanità.
Cari amici non si mette “una toppa nuova su un vestito vecchio” (Mt 9,16) ma nemmeno viceversa. E “non si mette vino nuovo in otri vecchi” (Mt 9,17). A problemi nuovi, soluzioni nuove. Altrimenti diventeremo dei vecchi otri incapaci di contenere il “vino nuovo” che sono le nuove generazioni, anzi, che è lo stesso Gesù.
Attenzione: non voglio sembrare quello che vuol cambiare la Bibbia o il Magistero. Chiedo solo che si rilegga la Bibbia in continuazione e si perfezioni il Magistero come tante volte è stato fatto nel corso dell’esperienza cristiana. Chiedo che se ne scoprano i significati attuali, che si sia aperti alla rivelazione di nuovi tesori su problemi che pensavamo di aver risolto solo perché ne sapevamo poco. E chiedo che li si legga con ordine, sapendo che al centro di tutto c’è il comandamento dell’amore: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati; non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,12-13). Se, nello sforzo di trovare risposte ai nostri dilemmi, ci imbattiamo in ricette che ci impediscono di vivere questo comandamento, siamo fuori. E se ci sembra di aver letto queste ricette in qualche versetto della Bibbia, abbiamo sicuramente letto male.
Amare dando la propria vita è la soluzione. Non astenersi dall’amore.
Massimo Battaglio