La Chiesa Cattolica, la questione LGBT e la sua credibilità
Articolo di John Gehring pubblicato sul sito del quotidiano New York Times (Stati Uniti) il 5 luglio 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Un sempre crescente numero di persone negli Stati Uniti sostiene i diritti delle persone LGBT. La tentazione è di considerarla un’evoluzione inevitabile, eppure meno di dieci anni fa molti democratici, tra cui Barack Obama, non erano pubblicamente a favore del matrimonio omosessuale. La velocità con cui i diritti LGBT sono diventati ampiamente sostenuti, anche da parte di molte denominazioni religiose, rappresenta una trasformazione culturale a dir poco vertiginosa.
Cosa significa questa rivoluzione per la Chiesa Cattolica, un’antica istituzione che ragiona in termini di secoli e custodisce una visione della sessualità in controtendenza rispetto alle correnti culturali?
La scorsa settimana il Vaticano ha utilizzato, probabilmente per la prima volta, l’acronimo LGBT in un documento preparatorio al Sinodo dei Giovani del prossimo ottobre: “Alcuni giovani LGBT” vogliono “‘beneficiare di una maggiore vicinanza e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa”. Il documento prosegue riconoscendo che molti giovani cattolici non condividono l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio omosessuale.
Questa non è esattamente una notiziona, ma l’utilizzo dell’acronimo LGBT è emblematico di un cambiamento di tono nei confronti delle persone gay, lesbiche e transgender. I documenti del Magistero cattolico hanno sempre utilizzato il termine “omosessuali” e ha fatto sempre riferimento alle “tendenze omosessuali”, riducendo così l’umanità multidimensionale delle persone alla meccanica del sesso. Utilizzare l’acronimo LGBT, preferito da molte persone gay, lesbiche e transgender, è un segno di rispetto.
Papa Francesco ha aperto la porta a un interrogativo profondo e autentico: può la Chiesa tenere un piede ben piantato nella tradizione cattolica senza avere paura dell’esperienza vissuta della gente? Quando Francesco compì quell’atto emblematico del suo pontificato, il famoso “Chi sono io per giudicare?”, l’utilizzo della parola colloquiale “gay” causò rivolgimenti nei circoli cattolici tradizionalisti. Il Papa difende con forza l’insegnamento cattolico secondo cui il matrimonio è esclusivamente tra un uomo e una donna, ma dà anche priorità all’ascolto e all’incontro personale, lasciando da parte ogni rifiuto preconcetto. Francesco ha incontrato alcune persone transgender e, quando ha ricevuto privatamente un sopravvissuto cileno agli abusi di un sacerdote, gli ha detto che è Dio ad averlo creato gay e che lo ama.
Ci sono altri segni di progresso. Il famoso autore gesuita James Martin, a cui è stato impedito di parlare in diversi istituti cattolici statunitensi semplicemente per aver incoraggiato la Chiesa a costruire ponti verso le persone LGBT, è stato recentemente invitato a parlare all’Incontro Mondiale delle Famiglie di Dublino. All’Incontro di Philadelphia tre anni fa, gli unici a parlare di questioni LGBT furono alcuni gay cattolici celibi che parlarono di castità.
L’insistenza di Francesco sull’incontro e l’impegno sta contagiando altri prelati. La scorsa primavera l’arcivescovo di Newark, cardinale Joe Tobin, ha accolto un pellegrinaggio di cattolici LGBT nella cattedrale metropolitana; nel numero di giugno della rivista US Catholic un diacono della diocesi di St. Petersburg, in Florida, racconta con grande emozione della sua figlia transgender e mette in discussione il concetto cattolico di “ideologia gender”, un termine usato per gettare il discredito sulla lotta per i diritti transgender.
Nonostante tali progressi la Chiesa Cattolica dovrà fare molto di più, non solo per riconoscere l’umanità delle persone LGBT, ma anche per ammettere che la maggior parte di loro desidera le medesime relazioni amorevoli e durature agognate dalle persone eterosessuali. Nel 2015, dopo la decisione della Corte Suprema di legalizzare il matrimonio omosessuale, l’arcivescovo di Chicago, cardinale Blase Cupich, invitò a un rispetto “autentico e non retorico” verso gay e lesbiche; Cupich non era d’accordo con la decisione della Corte, ma riconobbe la necessità di una “riflessione matura e serena”.
I vescovi statunitensi farebbero bene a studiare la proposta di monsignor Franz-Josef Bode, vicepresidente della Conferenza Episcopale Tedesca, il quale ha aperto un dibattito chiedendosi se i sacerdoti possano offrire una qualche benedizione alle coppie omosessuali cattoliche: “Sebbene il ‘matrimonio per tutti’ non sia ovviamente la stessa cosa del matrimonio tradizionale cattolico, oggi, politicamente parlando, è una realtà. Dobbiamo chiederci che tipo di relazione abbiamo con chi sta in una coppia omosessuale ed è anche impegnato nella Chiesa, in che modo li stiamo accompagnando dal punto di vista pastorale e liturgico”.
Lo stesso linguaggio che la Chiesa utilizza parlando delle persone LGBT è in contraddizione con il suo preteso impegno per la dignità umana. Il Catechismo cattolico, che espone in dettaglio l’insegnamento della Chiesa, proibisce ogni violenza e ogni “ingiusta discriminazione” verso le persone gay e lesbiche, ma continua definendo l’intimità sessuale tra di esse come “intrinsecamente disordinata”. Prima di diventare Papa, nel 1986, il cardinale Joseph Ratzinger scrisse che l’omosessualità rappresenta “una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale”.
Molti cattolici e cattoliche LGBT sono obbligati a vivere in un “nascondiglio aperto”, come lo chiama il teologo Bryan Massingale. Questo è particolarmente verso per le scuole cattoliche, dove negli ultimi anni più di 70 insegnanti ed impiegati LGBT sono stati licenziati o hanno in altro modo perso il lavoro. Le persone LGBT che lavorano nelle scuole cattoliche devono subire un controllo morale sulla loro vita che i loro colleghi eterosessuali nemmeno si sognano: i cattolici e le cattoliche eterosessuali, per esempio, non vengono licenziati per aver usato metodi contraccettivi o per avuto rapporti sessuali prima del matrimonio. Perché non giudicare i cattolici per non aver accolto i migranti, per aver mancato di dare da mangiare a chi ha fame o di visitare chi è malato? Secondo il Vangelo di Matteo, mancare di fare queste cose assicura un biglietto per la dannazione.
Cinque anni di Francesco, un Papa che insiste sulla misericordia e ha inaugurato un tono più conciliante verso le persone LGBT, sta aiutando la Chiesa a uscire da un cristianesimo armato fino ai denti che fa scappare la gente, ma finché la gerarchia cattolica non troverà un modo più tangibile e ufficiale per sostenere i diritti LGBT, l’esodo dei cattolici continuerà. I sondaggi mostrano che la maggioranza dei cattolici è favorevole al matrimonio omosessuale e che l’opposizione della Chiesa fa scappare i giovani.
Secondo alcuni sondaggi, chi è cresciuto nella fede cattolica è più propenso ad abbandonarla a causa del trattamento riservato a gay e lesbiche rispetto agli aderenti di altre religioni. Licenziare le persone LGBT cattoliche e utilizzare un linguaggio degradante, secondo cui l’omosessualità è “intrinsecamente disordinata”, erode la credibilità della Chiesa quand’essa parla di giustizia, amore e dignità umana.
Se il primo passo verso il cambiamento è l’ascolto, allora aveva ragione il vescovo di Lexington (nel Kentucky) John Stowe, quando l’anno scorso si è rivolto a un congresso nazionale di cattolici e cattoliche LGBT: “In una Chiesa che non sempre vi ha valorizzati, e nemmeno ha sempre accettato la vostra presenza, abbiamo bisogno di sentire la vostra voce e di prendere sul serio le vostre esperienze”. C’è da sperare che non lo abbia detto solo per prendersi gli applausi.
Testo originale: Can the Catholic Church ‘Evolve’ on L.G.B.T. Rights?