La chiesa che rifiuta Lazzaro rifiuta Gesú
Riflessioni bibliche di padre James Martin SJ* pubblicate sul sito gesuita Outreach (Stati Uniti) il 24 settembre 2022, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Alcuni di noi forse rimangono perplessi di fronte al nome tradizionale di questa parabola, spesso chiamata “La parabola di Lazzaro e del ricco epulone” (Luca 16:19-31). “Epulone” è una parola che viene dal latino “epŭlum”, cioè “banchetto”. È un modo per dire “Lazzaro e il ricco ghiottone”.
Quando invece sentiamo il nome Lazzaro, drizziamo le orecchie. Questa è infatti l’unica parabola dei Vangeli in cui a qualcuno viene dato un nome (in tutte le altre parabole troviamo “un tale”, “una donna”, “un padre”), ed è il nome dell’uomo che Gesù resuscita dai morti nel Vangelo di Giovanni, il suo miracolo più grande.
Molti studiosi ritengono che Luca probabilmente conoscesse la tradizione di Lazzaro resuscitato nel villaggio di Betania, diffusa nella comunità giovannea, e che l’abbia incorporata nel suo racconto. Voglio dire che forse Luca non conosceva quel capolavoro che è il racconto giovanneo della resurrezione di Lazzaro, ma forse aveva conosciuto l’episodio per altre vie.
Allora perché Luca e gli altri Sinottici non hanno incluso il racconto nei loro Vangeli? Soprattutto perché avevano già dei racconti di Gesù che fa tornare qualcuno dai morti: per esempio, quello del figlio della vedova di Nain e quello della figlia di Giairo. Inoltre, i loro Vangeli sono ambientati perlopiù al nord, in Galilea, non al sud, in Giudea, dove abitava Lazzaro.
Il collegamento con la parabola di oggi è comunque affascinante. Dopo tutto, parla della possibilità di ritornare dai morti, in questo caso per ammonire contro l’egoismo, contro l’avidità, contro la trascuratezza. Gesù ci racconta la storia di due uomini: uno ricco e uno povero. Il ricco vive di “sontuosi” banchetti (è facile immaginarlo dare feste ogni giorno), mentre il povero, probabilmente disabile, sta alla sua porta aspettando un po’ di cibo; forse ha provato a entrare, ma è stato cacciato.
A New York, dove vivo, non è certo difficile immaginare una scena del genere. Questa parabola la vedo ogni giorno. Quando mi reco a fare la spesa, vedo sempre due o tre uomini in una condizione simile a quella di Lazzaro.
Poi, come spesso accade nei Vangeli, Dio rovescia la situazione: ora è il ricco che vive nei tormenti per i suoi peccati. Sorprendentemente supplica Lazzaro, il povero, di dare sollievo alla sua sete intingendo il dito in una pozza d’acqua. Persino all’inferno il ricco continua a trattare il povero come un servo! Poi supplica “il padre Abramo” di chiedere a Lazzaro di andare ad ammonire i suoi fratelli perché trattino i poveri con dignità.
Il nocciolo di questa parabola è il rifiuto. Gesù la racconta per condannare alcuni leader religiosi del suo tempo che rifiutavano gli emarginati, proprio come il ricco rifiuta Lazzaro. Chi rifiuta gli emarginati, ci dice Gesù, verrà rifiutato non solo dal popolo, ma anche da Dio. Alla fine, alcuni dei quei capi religiosi rifiuteranno Gesù; ecco quindi l’ovvio collegamento tra rifiutare gli emarginati e rifiutare Gesù.
A differenza di molte parabole e immagini dei Vangeli (il seme di senapa che diventa un albero, il pastore che perde una pecora, la vite e i tralci), questo racconto, per la maggior parte di noi, richiede poche spiegazioni. Ci sono dei poveri che stanno fuori dalle nostre porte: è facile capire cosa vuole dirci Gesù, e certo non c’è bisogno di sottolinearlo.
Ma poi, pensandoci su, possiamo chiederci: chi sono gli emarginati della società di oggi? Chi sono i rifiutati? Per me, è facile da capire: sono i poveri, i rifugiati, i senzatetto. Oggi celebriamo la Giornata Mondiale dei Migranti e dei Rifugiati, e Lazzaro si trova ai nostri confini, in un campo rifugiati. Gli emarginati della Chiesa, invece, sono soprattutto (non solo) le persone LGBTQ.
Gesù vuole farci capire che dovremmo prestare particolare attenzione alle esigenze di coloro che, come Lazzaro, stanno alle porte della nostra società e della nostra Chiesa, e anche alle nostre porte, in senso letterale e metaforico, ad aspettare un poco di conforto. Se non lo faremo, in un futuro non troppo remoto saremo noi a cercare un poco di conforto a qualche porta.
* Il gesuita americano James Martin è editorialista del settimanale cattolico America ed autore del libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” (Editore Marcianum, 2018). Padre James ha portato un contributo sull’accoglienza delle persone LGBT nella Chiesa Cattolica all’Incontro Mondiale delle Famiglie Cattoliche di Dublino e ha portato una sua riflessione anche al 5° Forum dei cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018).