La chiesa col grembiule. E il Papa a Rebibbia lava e bacia i piedi a una trans
Articolo di Franca Giansoldati pubblicato su “Il Messaggero” del 3 aprile 2015
Scarti. Invisibili all’esterno, considerati un peso, generalmente trattati come appestati. Ecco i dodici apostoli. Sei uomini, e sei donne. Tra questi anche un trans. Bergoglio si inginocchia con amore davanti ad ognuno di loro, li accarezza, lavando e asciugando con una pezzuola bianca i piedi. Infine si inchina per un bacio. Servo servorum. Ripetendo così lo stesso gesto potente che da duemila anni in qua, viene ripresentato il giorno del Giovedì Santo. Nella cappella del carcere di Rebibbia, dedicata al Padre Nostro, gremita fino alla capienza prevista, gli unici suoni che si percepiscono sono singhiozzi sordi, sommessi.
Qualcuno a tratti tirava su col naso. Persino i due bambini, figli di due detenute, fino a qualche minuto prima irrequieti, fanno silenzio. Il carcere accomuna nel dolore e nel rimpianto, accosta il bene e il male, insegna ad amare la libertà. Forse è per questo che dietro le sbarre è più facile capire i dettagli dell’invisibile. «Nel nostro cuore dobbiamo avere la certezza che quando il Signore ci lava i piedi, ci purifica. Anche io ho bisogno di essere lavato dal Signore». Bergoglio osserva gli apostoli, lo sguardo scivola via. «Vi prego pregate per me perche il Signore lavi le mie sporcizie, perché faccia in modo che io possa diventare più schiavo a servizio della gente, come è stato Gesù». Parla a braccio, improvvisa, e finisce così per confondere due parole, schiavo e servo, ma in fondo non ha tutti i torti, visto che ai tempi di Cristo, quando i viandanti entravano nelle case con i piedi impolverati da strade accidentate «che non avevano di certo i sampietrini», ai servi (che erano schiavi) spettava il compito fare la lavanda dei piedi agli ospiti. Era il lavoro più umile. Francesco davanti ai carcerati rinnova un messaggio alla Chiesa intera: «Gesù ci ama senza limite, sino alla fine. Non si stanca di amare. Ama tutti. Per questo si china a lavare come uno schiavo i piedi dei suoi discepoli». Fuori dal carcere, nel cortile, una folla lo aspetta paziente. Sono gli altri detenuti che non hanno avuto la fortuna di essere sorteggiati per entrare nella cappella. Il cappellano, don Sandro Spriano ha fatto i salti mortali, ma lo spazio era contingentato.
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STANCHEZZA
Il Papa arriva e stringe le mani, uno gli allunga una bottiglietta d’acqua per farla benedire, un altro un rosario, un altro ancora una corona fatta di grani di legno, probabilmente un manufatto realizzato in cella, che poi viene infilato al collo. Sapendo che non avrebbe potuto accontentare chiunque, Francesco è arrivato un quarto d’ora prima, passando davanti ad un gigantesco murales: «Welcome to Rebibbia», sopra un mammut e un’altra scritta: «Qui ci manca tutto, non ci serve niente», feroce ironia realizzata da un fumettista toscano, Zerocalcare. Durante la messa si prega per Bruno, l’uomo che si è suicidato tre giorni fa, impiccandosi in cella, sconvolto per l’ennesimo rinvio giudiziario, ma si prega anche per i governanti perché possano cercare con tenacia «il vero bene».
Il sorriso non lo abbandona mai, ma si capisce bene che Bergoglio è provato. La sua giornata è iniziata con il rito del sacro crisma celebrato a san Pietro davanti al clero al quale affida una riflessione: esiste una stanchezza «buona», che è quella del sacerdote «con l’odore delle pecore» addosso, e una stanchezza «cattiva», di colui che «si nasconde in ufficio» o va per la città «con i vetri oscurati».
Naturalmente l’invito è di optare per «l’odore delle pecore ma con sorriso di un papà coi suoi figli o i suoi nipotini». Amore è anche sacrificio. «Sapete quante volte penso alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando a essere stanco sono io». Il pranzo lo ha consumato con con dieci parroci romani a casa di monsignor Becciu. Menù leggero. I medici gli hanno consigliato moderazione per non affaticarsi ulteriormente.