La Chiesa d’Inghilterra decide di non decidere sul matrimonio gay
Articolo di Matteo Matzuzzi pubblicato su “il Foglio” del 17 febbraio 2017
“Adesso sono orgoglioso di essere cristiano“, si leggeva sui cartelli arcobaleno di alcuni attivisti piazzati fuori dalle chiese d’oltremanica, dove il Sinodo anglicano, aveva appena bocciato il documento preparato dalla Camera dei vescovi secondo cui il matrimonio celebrato in chiesa può essere solo quello tra un uomo e una donna e che le relazioni tra persone dello stesso sesso non possono ricevere alcuna forma di benedizione.
Se i vescovi hanno dato il via libera al rapporto (43 sì e un solo no), la Camera del clero ha ribaltato il giudizio: 93 sì e 100 no. Ininfluente, a quel punto, l’approvazione del documento da parte della Camera dei laici con 106 sì e 83 no. Per far passare un testo, infatti, è necessario il placet di tutte e tre le “camere” in cui si divide la chiesa d’Inghilterra.
I proponenti, cioè l’episcopato, hanno cercato subito di circoscrivere l’incidente, gettando acqua sul fuoco e ricordando come si sia trattato di un voto tutt’altro che vincolante, ma solo simbolico. Effimero tentativo di salvare l’insalvabile, dal momento che è passata l’idea che l’esclusività del matrimonio tra eterosessuali in un edificio di culto cristiano non è più tale.
In effetti, secondo l’algido lessico canonico, risulta che “la chiesa d’Inghilterra non prende atto del documento” proposto. Un bel problema, che rende manifesta la spaccatura che da anni interessa la realtà anglicana. Anche perché, ricordano i sostenitori del rapporto, questo era ben poco improntato a un rigido conservatorismo d’antan. Tutt’altro, visto che esplicitamente si affermava la necessità di diffondere “una cultura di accoglienza e di sostegno per i cristiani omosessuali“.
Certo, le unioni dello stesso sesso erano escluse. Ed è proprio questo che si cerca – e che la Camera del clero, composta da sacerdoti, rettori e vicari vuole – la svolta epocale, “l’andare più lontano e più in fretta di quanto è necessariamente possibile“, per dirla con il reverendo Pete Broadbent, intervistato dalla Bbc, esultano gli attivisti, compresi molti sacerdoti fautori della nuova linea.
Peter Tatchell, da decenni in prima fila nella richiesta di aprire i portali delle chiese alle coppie gay, ha sottolineato che “questo voto segna una vittoria per l’amore e l’uguaglianza“. In mezzo c’è il primate di Canterbury, Justin Welby, convinto della necessità di una “nuova radicale inclusione cristiana”. Questa relazione, ha spiegato, “non rappresenta la fine della storia. Noi, come vescovi, dobbiamo continuare a riflettere. Cercheremo di fare meglio”. Non una parola di più, anche perché ora toccherà riscrivere il documento tenendo presente delle istanze emerse nel Sinodo.
Impresa ardua sarà tenere assieme la sfilacciata chiesa d’Inghilterra, già provata da un calo drastico di fedeli e dalle laceranti battaglie interne sull’ordinazione episcopale delle donne, che ebbero il loro culmine nell’urlo del reverendo Paul Williamson, che durante la consacrazione della signora Libby Lane nella cattedrale di York, urlò con tutta la voce che aveva in corpo “Not in my name!“.