“La chiesa è aperta anche a gay e trans”?
Riflessioni di Massimo Battaglio
Ecco che papa Francesco ci regala un altro dei suoi messaggi “a braccio” che, secondo alcuni, sono destinati a cambiare la storia.
Nel corso di un incontro tenuto a Lisbona coi gesuiti del Portogallo, Francesco è tornato più volte anche sui temi LGBT+. Ha confermato la propria empatia e invitato ad andare avanti in un percorso di apertura verso tutti.
Varie testate giornalistiche, come Repubblica, HuffPost e persino Libero, si sono affrettate a titolare “La Chiesa è aperta anche a gay e trans“. Un po’ come, a suo tempo, quando gli attivisti de La Tenda di Gionata furono ricevuti in piazza San Pietro e i media urlarono “La Chiesa ama i gay”.
Il Papa non è così sprovveduto da non sapere che questa “apertura” da alcuni desiderata così forte da creare talvolta illusioni, è ben di là da venire. E infatti si è sempre guardato bene dal pronunciare frasi così semplicistiche. Sa che il cortocircuito tra aprire e doversi aprire, amare e dover amare, essere e dover essere, può essere persino pericoloso.
Quanti viceparroci conosciamo, che, per giustificarsi da comportamenti discriminatori tenuti nei confronti di ragazzi omosessuali che frequentano l’oratorio, rispondono che sono aperti a tutti, gay e etero, alle stesse condizioni, e cioè che non facciano l’amore prima di sposarsi con una persona del sesso opposto! E quante volte abbiamo sentito vecchi preti, o anche laici, che dicono che castigare le persone omosessuali è un gesto d’amore finalizzato a preservarle dall’inferno!
Mi è capitato, qualche anno fa, di registrare il suicidio di un ragazzo gay, i cui genitori appartenevano a un noto movimento cattolico integralista. Nei loro ambienti, se ne parlò come di un sacrificio riparatore, che avrebbe tenuto lontano il povero ragazzo da peccati ben peggiori.
Se questa è l’apertura, allora sì: la Chiesa è aperta, a modo suo. Ma forse Francesco ha in mente aperture di altro genere, che ancora non ci sono.
Lo stesso Bergoglio chiarisce che il suo “aprirsi” è un ideale a cui bisogna tendere, non un traguardo raggiunto. Lo fa intendere nel corso dell’incontro stesso, quando parla del rapporto che ha personalmente costruito con un gruppo di trans romane:
“La prima volta che sono venute, piangevano. Io chiedevo loro il perché. Una di queste donne mi ha detto: «Non pensavo che il Papa potesse ricevermi!». Poi, dopo la prima sorpresa, hanno preso l’abitudine di venire. Qualcuna mi scrive, e io le rispondo via mail (…) Mi sono reso conto che queste persone si sentono rifiutate, ed è davvero dura”.
Ciò che papa Francesco auspica non è un vago senso di compassione pietistica, né tantomeno un tentativo per riportare le persone LGBT+ nell’alveo delle regole dottrinali. A proposito di dottrina, dice invece:
“Bisogna capire che c’è una giusta evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale purché si seguano i tre criteri che indicava già Vincenzo di Lérins nel V secolo: che la dottrina si evolva ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. In altre parole, anche la dottrina progredisce, (…) si dilata e si consolida (…) ma sempre progredendo. Il cambiamento si sviluppa dalla radice verso l’alto, crescendo con questi tre criteri”.
Qui fa alcuni esempi di riforme dottrinali avvenute nel tempo, alle quali nemmeno più pensiamo ma che hanno avuto conseguenze importanti:
“Oggi è peccato detenere bombe atomiche; la pena di morte è peccato, non si può praticare. Prima non era così. Quanto alla schiavitù, alcuni Pontefici prima di me l’hanno tollerata, ma le cose oggi sono diverse. Quindi si cambia, si cambia (…). Il cambiamento è necessario”.
E poi entra ancora più nel nostro specifico: sollecitato sul problema della “castità” che il Catechismo indica come unica strada salvifica per le persone omosessuali, dice:
“Non bisogna essere superficiali e ingenui, obbligando le persone a cose e comportamenti per i quali non sono ancora mature, o non sono capaci”.
Più chiaro di così…
Resta da chiedersi se questo ennesimo discorso a braccio avrà conseguenze concrete; quanto contribuirà ad avvicinarsi allo slogan “la chiesa è aperta anche a gay e trans”. Ovvero:
- Da domani, nessun ragazzo omosessuale di famiglia cattolica si toglierà più la vita?
- Le scuole e gli istituti cattolici cesseranno di licenziare i loro dipendenti con orientamento sessuale “non consono”?
- Nei seminari e nei monasteri, si smetterà di sottoporre i giovani “sospetti di omosessualità” ad analisi psicologiche forzate finalizzate alla loro espulsione o, peggio, a “consigliare” terapie riparative?
- I gruppi di cristiani omofobi organizzati, come quelli che hanno perseguitato i cristiani LGBT+ partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù, verranno finalmente puniti, commissariati, sciolti?
- I vescovi italiani e la Segreteria di Stato vaticana chiederanno scusa per aver ingerito contro il DDL Zan contribuendo al suo affossamento?
Davvero: non basta dire o far intendere che la Chiesa è aperta. Occorre, soprattutto se si crede che la dottrina debba essere continuamente aggiornata, mettere mano alla dottrina. Sembra che papa Francesco, con questi discorsi e con la testimonianza personale, voglia stimolare a seguire questa direzione. Ci auguriamo che il prossimo Sinodo sia l’occasione per prendere sul serio questi stimoli.
Non basta ancora, sostengono alcuni. Se infatti nella Chiesa esistono sacche di “indietristi” che manifestano “un’attitudine reazionaria molto forte, organizzata” (sono sempre parole di Francesco), il gioco non è facile.
Per loro, il Papa e il resto dei cristiani possono dire, fare e riformare finché vogliono. Semplicemente, non ascolteranno. Anzi: penseranno sempre più di essere gli unici cristiani buoni e faranno ancora più muro. Occorre quindi lavorare, prima o contemporaneamente, a una crescita culturale (posto che costoro siano reattivi alla cultura).
Secondo me no. Anche la legge, le norme, la dottrina, hanno un valore trasformativo, educativo. Mi piace ricordare che, immediatamente dopo l’approvazione della legge Cirinnà, gli episodi di omofobia rilevati mutarono di sostanza: iniziarono a diminuire i suicidi, poi i pestaggi (soprattutto quelli in famiglia) e ad emergere i casi di discriminazione “non fisica”, che, per essere denunciati, richiedono un’esposizione da parte della vittima. La legge aveva determinato un sussulto di dignità e un senso di sicurezza.
Viceversa, i pestaggi, soprattutto di gruppo, ricominciarono a salire durante il dibattito sul ddl Zan e soprattutto dopo il suo fallimento.
Per la dottrina è uguale: aggiornarla porterà ad attriti ma creerà i presupposti per una crescita nella fraternità e nella pace. Ne vale la pena.