La chiesa cattolica e i gay. Più che liberarla dagli omosessuali, va liberata dall’ipocrisia
Articolo di Andrew Sullivan pubblicato sul sito del quindicinale New York (Stati Uniti) il 21 gennaio 2019, settima parte, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Una delle opzioni [per restaurare l’autorità morale della Chiesa] è quella suggerita dalla destra cattolica: dimissioni di tutti i prelati implicati nello scandalo McCarrick, incluso forse papa Francesco (e il Papa emerito Benedetto XVI?), indagini a 360° sull’alto numero e sul potere di sacerdoti, vescovi e cardinali gay, aderenza strettissima all’Istruzione del 2005 che ha escluso i gay dai seminari.
Tuttavia, purgare il clero dalle “tendenze omosessuali” vorrebbe dire rimuovere fino a un terzo dei sacerdoti statunitensi ed espellere un gran numero di vescovi e cardinali, inclusi quelli che hanno rispettato il celibato, predicato l’ortodossia e vissuto una vita esemplare.
Gran parte del gregge cattolico dovrebbe assistere all’outing e al licenziamento dei suoi sacerdoti: come reagirebbe?
Con questa espulsione di massa ci sarebbero pochi dubbi sull’omofobia della Chiesa, il che porterebbe a dimissioni in massa e a un ulteriore calo delle vocazioni. Così sia, dicono i tradizionalisti, che auspicano una Chiesa molto più piccola e molto più pura, ma pochi tra i potenziali Papi si assumerebbero la responsabilità di accelerare l’implosione.
Ma voglio andare ancora più in là: la Chiesa perderebbe tutti i sacerdoti sinceri con se stessi e sereni sul loro orientamento, e si terrebbe quelli più profondamente disturbati, quelli più chiusi, che odiano e disprezzano se stessi, con un maggiore rischio che vengano perpetrati abusi.
La seconda opzione sarebbe una pantomima come quella del 2005, quando la Chiesa disse che tutti i sacerdoti gay avrebbero dovuto essere espulsi e gli omosessuali non più ammessi nei seminari… senza poi essere coerente.
Sarebbe forse la scelta peggiore: sono stati proprio gli anatemi rivolti all’omosessualità, senza peraltro allontanare i sacerdoti gay deviati, che nel corso dei decenni hanno gettato benzina sugli abusi per poi coprirli.
La terza opzione consisterebbe nello smantellamento del nascondiglio, vale a dire chiedere a tutti i consacrati di obbedire a uno dei Dieci Comandamenti: non mentire su se stessi. Significherebbe che i sacerdoti gay dovrebbero identificarsi come tali presso i superiori e i parrocchiani, rendendo l’aria più respirabile e rinnovando pubblicamente la promessa di celibato o il voto di castità. (Che il celibato sia o meno salutare per la Chiesa è un altro discorso, che va tenuto distinto dagli scandali attuali: un rilassamento delle regole non risolverebbe automaticamente la posizione cattolica sull’omosessualità, e d’altro canto l’accettazione dell’omosessualità è del tutto compatibile con il celibato clericale.)
Smantellare il nascondiglio evidenzierebbe la distinzione, formalmente predicata dalla Chiesa, tra identità e atti omosessuali, scoraggerebbe i soggetti disturbati dal cercare l’ordinazione e fornirebbe dei modelli a quei cattolici gay che si sentono vocati al celibato. Chi si rifiuterebbe di essere assolutamente trasparente potrebbe andarsene; i cardinali, i vescovi e i direttori di seminario potrebbero avere dei colloqui franchi e sinceri su questo tema; le doppie vite sarebbero meno comuni.
Se un sacerdote è fedele al celibato e fa un buon lavoro, perché il suo pubblico coming out dovrebbe essere un problema?
L’unico ostacolo che si para su questo sentiero è l’omofobia ufficialmente ammessa dalla dottrina cattolica nel 1986 dal futuro Benedetto XVI.
Oggi la Chiesa insegna esplicitamente che le persone omosessuali sono “oggettivamente disordinate” in quanto il loro essere omosessuali le spinge verso un intrinseco male morale. Il “male” è l’omosessualità in quanto conduce ad avere rapporti sessuali che non possono portare alla procreazione: è la medesima ragione per cui la Chiesa si oppone ai metodi contraccettivi per le coppie etero. La differenza, ovviamente, è che la contraccezione è una scelta, l’essere omosessuale no.
Per stabilire un’analogia migliore possiamo prendere le [persone o le coppie] sterili, le quali, dato che sono quello che sono, non possono essere aperte alla procreazione; la Chiesa, tuttavia, non le definisce “oggettivamente disordinate”. Le persone sterili possono sposarsi senza problemi, come anche le persone anziane.
Nei fatti, la Chiesa Cattolica accoglie tutte le minoranze, come le persone disabili e quelle perseguitate o emarginate per qualche motivo che non dipende dalla persone stesse; nessun altro gruppo umano viene descritto dalla Chiesa come “oggettivamente disordinato”.
A questo punto, vediamo che è qui che si gioca la partita. Nel cuore della dottrina cattolica troviamo una crudeltà profonda, estranea al cristianesimo, un bigottismo profondamente incoerente con l’impegno che la Chiesa si propone di considerare ogni persona degna di rispetto, meritevole di protezione e fatta a immagine di Dio. È [una crudeltà] basata su una menzogna, una menzogna che la gerarchia sa essere tale e che è stata dimostrata non vera dalla scienza, dalla storia e dall’esperienza stessa della Chiesa.
“La gerarchia fa pubblicamente fuoco e fiamme per qualcosa che in privato è già stato concesso” mi spiega padre Leo. L’obiettivo, mi sembra, non dovrebbe essere liberare la Chiesa dall’omosessualità, che è parte integrante del mistero umano, ma piuttosto liberarla dall’ipocrisia, dalla disonestà e dai meccanismi malati. Impossibile? Ammetto di essere a volte anche troppo fatalista, ma in quanto cattolico credo che con Dio nulla sia impossibile.
Testo originale: The Gay Church. Thousands of priests are closeted, and the Vatican’s failure to reckon with their sexuality has created a crisis for Catholicism.