La Chiesa Ortodossa Romena dopo il fallimento del referendum contro il matrimonio gay
Articolo di Cristian Pantazi pubblicato sul sito G4 Media (Romania) l’8 ottobre 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
È difficile immaginare un periodo peggiore per l’inaugurazione della Cattedrale della Salvezza della Nazione [a Bucarest in Romania], proprio all’indomani della clamorosa sconfitta della Chiesa Ortodossa Romena nel referendum sul matrimonio omosessuale. La gerarchia della Chiesa sta pagando gli affronti compiuti nei confronti dei Romeni negli ultimi trent’anni: l’arroganza di molti degli alti prelati di fronte ai fedeli, la complicità con i politici, la sempre maggiore arroganza dei sacerdoti, la disconnessione con la società, il disprezzo verso i piccoli paesi, testimoniato per esempio dalla costruzione di chiese in mezzo ai parchi e agli spazi per bambini, tra i condomini.
È un punto di svolta per questa istituzione, che ha un suo posto definito nella società. Nessuno mette in discussione la rilevanza della Chiesa, ma ora bisognerà discutere della gestione di questa istituzione, che assomiglia sempre di più a un’azienda con i suoi bilanci ed è sempre più distante dalla gente, che in teoria dovrebbe servire. Non è un caso che il patriarca Daniel sia considerato un perfetto amministratore delegato da molti vescovi e osservatori. Ma lo scopo della Chiesa dovrebbe essere un altro.
Dopo la Rivoluzione [del 1989] la Chiesa ha spesso mancato di riconciliarsi con il passato: ha protetto testardamente sacerdoti e vescovi che avevano collaborato con la Securitate [i servizi segreti di Ceaușescu, n.d.t.] e il più delle volte si è rifiutata di restituire le proprietà ottenute illegalmente da altre Chiese. Ha però anche conosciuto momenti di gloria, per esempio schierandosi totalmente con l’adesione all’Unione Europea a alla NATO, in barba alla Chiesa Russa.
Il referendum [sull’abolizione del matrimonio omosessuale] è l’occasione per una valutazione oggettiva e, si spera, per un nuovo inizio. Il più grande errore del Patriarca è stato mettersi al traino della Coalizione per la Famiglia, un’organizzazione in cui pochi vedono chiaro, anche dal punto di vista finanziario, e i cui obiettivi sono molto diversi da quelli della società romena e della stessa Chiesa Ortodossa. Il Patriarca è stato preso in trappola: se non avesse aderito alla campagna della Coalizione, le voci radicali all’interno della Chiesa si sarebbero rivoltate; schierandosi, si è esposta al rischio di entrare in un dibattito molto lontano dalla vita quotidiana dei fedeli e in un gioco politico che è incapace di controllare. È stata scelta appunto la seconda opzione e la Chiesa ha fatto proprio un facile populismo.
Il secondo errore è stata la fortissima politicizzazione. Questo referendum non poteva svolgersi in modo diverso e il Patriarca, aduso al gioco della politica, lo sapeva anche troppo bene, ma l’eccessivo attaccamento della Chiesa ai due maggiori partiti politici, quello Socialdemocratico e quello Nazionalpopolare, ha scosso la sua credibilità presso una grossa fetta della popolazione.
L’ultimo appello del Patriarca prima del voto ha mostrato una certa debolezza e disperazione e un leader incerto, impaurito di fronte alla possibilità di perdere un’importante battaglia; qualcosa di cui la Chiesa, stretta nella disputa tra il Patriarca di Mosca e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo, non aveva certo bisogno.
Per poter essere forte, la Chiesa deve accettare e affrontare le proprie debolezze. Gli ultimi giorni [prima del voto] hanno visto accadere cose inaccettabili. Il sostegno ai politici ostili al matrimonio omosessuale, il sermone [del filosofo conservatore] Mihail Neamțu sul sito Web della Chiesa, le minacce dei sacerdoti ai fedeli che intendevano boicottare il referendum, tutto mostrava il volto sgradevole dell’istituzione guidata dal patriarca Daniel. L’eterna complicità con i politici è la cosa peggiore nell’epoca di Internet, nella quale è facilissimo venire a sapere di gesti inappropriati visti nelle chiese e nei monasteri.
Ma molti altri sono i problemi. Molti sacerdoti e vescovi esibiscono senza vergogna la loro fame di soldi. I sacerdoti che fissano tariffe per le liturgie, le macchine di lusso dei vescovi, gli atti di corruzione dei rappresentanti della Chiesa, le accuse di corruzione che hanno colpito l’arcivescovo di Tomis Theodosius, sono diventate notizie banali. Non dimentichiamo gli scandali dei sacerdoti pedofili e omosessuali, che negli ultimi anni hanno scosso il Paese e screditato l’immagine morale della Chiesa nella campagna per un referendum centrato sui valori della famiglia.
La lontananza della gerarchia dalla gente si misura anche dallo zelo con cui vengono erette chiese in ogni luogo possibile: parchi giochi per bambini, spazi verdi tra i palazzoni, cortili degli ospedali. Spesso la Chiesa viene portata in tribunale da cittadini che vogliono difendere un parco. Un po’ di umiltà, anche in casi come questi, non farebbe male.
Al di là se il referendum sia stato giusto o sbagliato, mi è sembrato un grosso errore strategico da parte della Chiesa non capire gli umori che venivano dal basso e il fatto (come ha scritto l’analista Daniel David) che i Romeni rifiutano l’autorità e l’imposizione di determinati comportamenti, anche se vengono dalla gerarchia. L’assenteismo di massa al referendum è stato un chiaro fallimento della Chiesa Ortodossa.
La sconfitta delle istanze fortemente promosse dalla Chiesa aprirà un dibattito sui fondi pubblici a lei destinati. Ci sono già delle voci che affermano che un’istituzione bocciata dai suoi stessi fedeli non deve più ricevere soldi dallo Stato. Su questo fronte si è spalancata una breccia, e bisognerà discutere molto.
Ora è tempo di valutazioni per la Chiesa. Non conosco i dettagli dei suoi processi decisionali interni, ma sono convinto che possegga la saggezza necessaria per gestire la crisi. Penso che noi, gente comune di Romania, possiamo chiedere due cose: una maggiore umiltà e una maggiore attenzione alla società, ai profondi cambiamenti nella mentalità.
Testo originale: The Romanian Orthodox Church’s failure on the referendum: more humility would not go amiss