La comunità ecclesiale che sogniamo. I gay credenti ai Vescovi del Sinodo
Articolo di di Giampaolo Petrucci pubblicato su Adista Notizie n. 34 del 4 ottobre 2014
Persone singole e coppie gay, figli di genitori omosessuali o di un genitore che solo tardi si scopre tale, genitori di figli omosessuali, persone transessuali.
Anche loro fanno parte della comunità ecclesiale e nonostante per tanti anni siano rimaste nell’ombra – a causa di un sentimento di omofobia imperante tanto nella società quanto nella Chiesa – ne stanno lentamente uscendo, animate, in questi ultimi mesi, del fermento che si è generato intorno al questionario in preparazione del Sinodo sulla famiglia.
Chiedono a gran voce di entrare a pieno titolo nella vita e nel dibattito ecclesiale, di passare definitivamente «dalla dimensione dell’attesa a quella della partecipazione convinta, testimoniando la loro speranza in una comunità del popolo di Dio in cammino sempre più coesa e solidale».
Di questo parla il Comitato organizzatore del III Forum italiano cristiani lgbt, riunito a Roma dal 3 al 5 ottobre, in un approfondito documento, “Per una pastorale di accoglienza delle persone omosessuali e transessuali: proposte per il Sinodo dei vescovi”, diffuso il 23 settembre scorso.
Quindici pagine che il collettivo degli estensori presenta come «un contributo scritto a beneficio dei vescovi delegati al Sinodo straordinario sulla famiglia affinché ne possano trarre preziosi spunti per elaborare una autentica pastorale inclusiva».
«La sfida che l’amore omosessuale pone alla dottrina cristiana e all’orientamento pastorale che ne consegue», si legge nell’introduzione, «è stata troppo a lungo ignorata o trattata sbrigativamente come un residuale elemento di disordine e di incoerenza».
Ma oggi «l’esistenza dell’amore omosessuale non è più un tabù ed è anzi entrata a pieno titolo nel dibattito ecclesiale». Di fronte a questa sfida, la comunità ecclesiale si è mossa fino ad ora in modo incoerente, superficiale e ostile, avallando culture e comportamenti di esclusione, provocando sofferenza e allontanamento delle persone omosessuali e transessuali.
Si tratta di «una emergenza educativa dimenticata» che la Chiesa non ha affrontato «con il dovuto ascolto e il dovuto discernimento», denuncia il Comitato. Le proposte del Forum al Sinodo «mirano a promuovere una cultura ecclesiale inclusiva e rispettosa della diversità di orientamento sessuale, a partire dalla formazione degli educatori (sacerdoti, catechisti, insegnanti di religione e, ovviamente, genitori) e dall’attenzione educativa e pastorale nei confronti di ragazzi e ragazze omosessuali che non dovrebbero essere trattati differentemente rispetto ai coetanei eterosessuali».
Questo, ribadisce il documento, perché «purtroppo duole constatare che, in alcuni casi, sono stati i figli stessi della Chiesa a fomentare pregiudizi e forme di ingiusta discriminazione ai danni delle persone omosessuali».
L’omofobia nella Chiesa, il più delle volte, non si manifesta in atteggiamenti violenti o di esplicito rifiuto, quanto piuttosto nel mancato riconoscimento dell’altrui diversità: «Non “sentirsi previsti”, vedere il proprio orientamento sessuale ridotto a dimensione di “disordine” e la propria affettività a “peccato” possono portare a uno stacco anche definitivo dalla dimensione ecclesiale, con cui si preferisce evitare del tutto il confronto, essendo già molto impegnativo quello, per lo più ineludibile, con i genitori».
Le comunità di fede, di fronte al coming out del giovane o di una coppia, si sentono spiazzate e spaventate: «Uno dei segni di non accettazione reale è la paura di una sorta di “contagio”, come se la condivisione comunitaria della percezione di sé sia una sorta di promozione di uno “stile di vita” e non il necessario bisogno di identificare se stessi in relazione agli altri».
Afferma il documento che mancano, ad oggi, nei pastori e nei laici impegnati in ruoli di guida nei cammini di fede, gli strumenti culturali e dottrinali per accompagnare i singoli e le famiglie gay in un cammino di piena integrazione nella comunità ecclesiale. Per questo, il più delle volte si preferisce allontanare il problema, negarlo, reprimerlo, correggerlo (magari con qualche “terapia” estremamente dannosa per la costruzione dell’identità dei giovani) o addirittura espellerlo dalla vita della comunità, sbattendo la porta in faccia alle coppie e ai genitori omosessuali che cercano il battesimo e i sacramenti per i propri figli, anche se questo non è autorizzato dal Magistero. Molti pastori e guide chiedono alle persone omosessuali di astenersi dai sacramenti o di rinunciare alla propria vita relazionale.
«Nei contesti comunitari cattolici – aggiunge il documento – si fa semplicemente finta che non esista la coppia omosessuale. Sulla base di ciò che prevede il Catechismo della Chiesa cattolica, una persona omosessuale può sentirsi parte integrante della comunità solo se accetta di vivere una vita senza affettività».
«Se una coppia omosessuale decidesse di rivelarsi alla propria comunità parrocchiale facilmente troverebbe disinformazione e molto spesso persone non preparate ad accoglierla». E anche con le migliori intenzioni da parte di pastori «il risultato è che la coppia omosessuale finisce per essere trascinata via da una forza centrifuga», generata «dal percepire che quel contesto non è in grado di aprirsi, di capire e di guardare alla coppia omosessuale come coppia di persone che si amano».
Tra i fattori che impediscono un pieno riconoscimento delle persone lgbt nella comunità cattolica, il Comitato promotore del Forum segnala anche l’attività dei movimenti sostenitori della famiglia fondata sull’unione tra un uomo e una donna, considerata unica forma di unione che Chiesa e Stato devono sostenere e legittimamente considerare “famiglia”: «Sulla questione delle coppie dello stesso sesso si è innescata una vera e propria battaglia ideologica, ad opera di alcuni movimenti che, dichiarandosi contrari ad ogni forma di riconoscimento civile delle coppie dello stesso sesso, stanno dipingendo le coppie lgbt come “antagoniste” della famiglia tradizionale, il cui riconoscimento determinerebbe la fine della famiglia tradizionale stessa».
La mobilitazione di movimenti come “Sentinelle in piedi” o “Manif pour tous”, oltre ad incontrare spesso la complicità delle gerarchie, hanno anche “inquinato” il dibattito pubblico italiano sui diritti civili e le misure anti-omofobia: tali battaglie ideologiche, aggiunge il documento, finiscono per avere «effetti spesso sottovalutati sulla serenità delle persone lgbt, credenti o meno. Quando una persona, infatti, sente definire un aspetto fondamentale della propria vita, l’affettività, come “un abominio”, una ferita psichica indelebile viene lasciata nella sua vita».
I credenti lgbt sperano in una comunità ecclesiale capace di accogliere, accompagnare e integrare le persone omosessuali nella scoperta di sé, sensibile ai rischi dell’omofobia e capace di contrastare il bullismo omofobico nelle parrocchie e nei gruppi, che insegni alle famiglie ad essere luogo di accoglienza, che rigetti approcci «tesi a cambiare l’orientamento sessuale», in grado di rinnovare i propri orientamenti pastorali e dottrinali, al fine di accogliere e guidare anche le coppie omosessuali.
Una comunità ecclesiale, infine, «che voglia fare suo il dolore e la paura delle persone omosessuali e transessuali» in Italia e in tutti i Paesi dove, ancora oggi, chi è omosessuale rischia la vita.