Le persone omosessuali nella Chiesa cattolica. Intervista al teologo James Alison
Intervista di Brett Salkeld al teologo cattolico James Alison tratta dal sito Commonweal (USA) del 6 marzo 2012, liberamente tradotta da Marius
Incontrai il teologo p. James Alison nella blogosfera. Avevo scritto un post per presentare la sua teoria avvincente, secondo la quale Benedetto XVI stava lentamente preparando la strada per un cambiamento nell’insegnamento della Chiesa riguardo all’omosessualità. Alison, con una nota cordiale, espresse apprezzamento per il mio messaggio e per la civiltà della discussione. Iniziò una lunga corrispondenza che portò al progetto di questa intervista.
Ho pensato che per lui sarebbe stato interessante venir intervistato da uno come me, in sintonia con la difficile situazione dei cattolici gay, ma non convinto dalle argomentazioni di un cambiamento in merito all’interno dell’insegnamento della Chiesa.
Più interessante, per lo meno, di un sacco di materiale che trattava questo tema. Lasciamo a voi decidere se avevamo ragione. Ecco qui un estratto del colloquio, la versione completa sarà presto pubblicata a puntate su Vox Nova, e su jamesalison.uk.
Brett Salkeld: Lei non è nato cattolico. Cosa L’ha portata alla fede cattolica? Cosa L’ha attratta alla vita religiosa? Cosa L’ha portata alla vita accademica?
James Alison: Sono cresciuto in una rigida famiglia evangelica anglicana – il tipo di ambiente noto agli americani come la “destra religiosa”. Ho scritto ciò che mi ha attirato alla fede cattolica nel mio ultimo libro, Broken Hearts and new creations (Cuori spezzati e nuove creazioni). Ciò che mi ha condusse all’interno della Chiesa fu la fusione di due grazie.
La prima grazia fu l’essermi innamorato, qualche anno prima, di un compagno di scuola cattolico. Egli era, ed è, eterosessuale, ma in lui percepii un calore nella personalità che risultava atipico nel mondo degli studenti protestanti tra i quali vivevo, e associai quel calore al suo essere cattolico.
La seconda fu una grazia speciale, quando ero depresso, avendo appena iniziato a rivelarmi come uomo gay in un ambiente molto ostile, conservatore evangelico, poco prima di andare all’università.
Questa grazia era per me indissolubilmente legata all’intercessione di Padre Pio, dal momento che era capitata nel momento in cui percepivo un legame tra la sue stimmate e il sacrificio della Messa. Allora seppi, e da allora lo so sempre, che la messa non è una semplice cena memoriale. Questa grazia, che fu accompagnata da una gioia incredibile, mi catapultò letteralmente dentro la Chiesa.
Non sono sicuro, in questa fase, che cosa mi indusse a tentare di entrare in un ordine religioso. Da un punto di vista positivo: la lucidità, l’intelligenza, e la serenità dei Domenicani che incontravo, l’opera di San Tommaso, l’assenza di una devozione pomposa, tutto questo mi diede qualche speranza che io potessi emergere dal senso di annientamento derivante dalla mia formazione.
Dal punto di vista negativo, compresi che nel mio caso, aderire a un ordine religioso poteva essere un modo decoroso in cui chi si considerava senza valore, riusciva a lanciarsi senza commettere suicidio. Quando ero studente alla fine degli anni ’70, ero arrivato molto vicino a commetterlo…
Non sono neppure sicuro di essere mai stato attratto alla vita accademica in quanto tale. La teologia è stata una questione di sopravvivenza per me. Devo una certa foggia di rispettabilità accademica ai meravigliosi insegnanti che ho avuto, sia tra i Domenicani in Inghilterra, sia tra i Gesuiti in Brasile.
Ancor più di questi, è il pensiero di René Girard e quello di alcuni dei suoi più stretti seguaci e amici che mi ha dato, e continua a darmi, qualcosa di grande di cui alimentarmi, qualcosa di strutturato da cui partire per elaborare un’intelligenza della fede.
Salkeld: Puoi dirci qualcosa del Suo lavoro in teologia? Cosa La entusiasma? Quali domande si pone?
Alison: Da quando mi sono imbattuto nel pensiero di René Girard, ciò che mi mi ha appassionato è stata la fecondità teologica della sua visione mimetica relativa al desiderio e alla violenza.
Grazie all’intuizione di Girard, circa il meccanismo del capro espiatorio all’opera in tutta la cultura umana, è diventato possibile dare un senso alla morte di Gesù, intesa come salvifica per noi, in un modo che è del tutto ortodosso e che ci porta lontano da qualsiasi imputazione a Dio di vendetta o di punizione. Girard mi ha anche aperto una ricchissima ermeneutica delle Sacre Scritture, che evita le tentazioni di marcionismo da un lato, e di fondamentalismo dall’altro.
Dio, la salvezza, e le Sacre Scritture, sono i tre temi che studio alacremente. Girard mi ha permesso di rompere gli schemi e quindi, di elaborare un’introduzione adulta alla fede cristiana, un corso di dodici sessioni su cui alcuni amici stanno lavorando per renderlo disponibile per un pubblico più vasto. Spero che questo sarà un contributo alla nuova evangelizzazione cui siamo chiamati, che è veramente una buona novella, non impantanata nel moralismo.
Da qualche tempo cerco anche di far sì che la Chiesa possa davvero, dal profondo delle proprie risorse, uscire da una stigmatizzazione, oltre che da un insieme di atteggiamenti, falsi e spesso odiosi, verso le persone gay e lesbiche.
Sono convinto che nessuna nuova evangelizzazione potrà andare molto lontano, se i suoi principali sostenitori, apparentemente ignari della potenza del Vangelo che predicano, rimangono bloccati da questo tabù sacralizzato. Sembra che sempre più giovani si stiano accorgendo di questo fatto molto rapidamente.
Salkeld: Qual è il Suo status canonico e che rapporto ha con la sua condizione di omosessuale dichiarato, o con le Sue opinioni pubbliche circa l’omosessualità?
Alison: Il mio status canonico è anomalo. Sono un sacerdote rispettabile e regolarmente ordinato, senza sanzioni o questioni disciplinari pendenti. Anche se sono legato all’Ordine domenicano da molti anni, non sono stato laicizzato. Non sono incardinato in nessuna diocesi, anche se in linea di principio sono pronto per essere incardinato, se un vescovo lo desidera. Apparentemente questa è una situazione giuridica che, come il limbo, non esiste. Eppure, io mi ci trovo (e con la documentazione cartacea per dimostrare come si verificò la circostanza!)
A quanto mi risulta, la situazione è la seguente: ho motivato pubblicamente il mio dissenso a proposito dell’attuale insegnamento da terzo ordine delle Congregazioni romane circa la natura “oggettivamente disordinata” dell’orientamento omosessuale. Le conseguenze logiche della mia opinione sono molte, tra cui per me personalmente, che sono nulli sia i voti che mi legano ad un ordine religioso (successivamente sciolti dall’autorità competente alla conclusione di un accordo amichevole), sia l’impegno pubblico di celibato che assunsi al momento della mia ordinazione.
Questo perché al momento della mia ordinazione, la cui validità mi fu confermata da una congregazione romana – credevo ancora che fosse vera la definizione della Chiesa di ciò che sono (un eterosessuale imperfetto con un obbligo, automatico e inderogabile, al celibato). Così presi un impegno pubblico spinto da quello che ho poi scoperto essere una falsa presa di coscienza. Un impegno simile era nullo, allo stesso modo in cui è nullo un matrimonio forzato.
Quindi, o è falsa la posizione che ho dichiarato pubblicamente, e di conseguenza quanto affermo circa la nullità dei miei voti è solo l’illuso e comodo pensiero di un uomo cattivo – nel qual caso, perché ogni ordinario mi vorrebbe sui suoi libri? – o è vera la mia posizione dichiarata universalmente, e pertanto è anche vero che non ho nessun valido voto di celibato.
In altre parole, qualsiasi ordinario che mi avesse assunto non solo avrebbe accettato che la mia posizione pubblica su questioni gay poteva essere per lo meno sostenuta da un sacerdote rispettabile, senza alcuna richiesta di ritrattazione; ma egli avrebbe assunto, con cognizione di causa, qualcuno il cui impegno pubblico al celibato era nullo, dal momento che era stato preso con falsa coscienza.
Anzi, avrebbe assunto qualcuno per il quale tale impegno non poteva essere validamente mantenuto finché esiste l’attuale struttura della chiesa. Non mi è chiaro come un qualsiasi ordinario avrebbe potuto agire in questa maniera, a meno che non avesse ricevuto una sorta di dispensa da parte delle più alte autorità della Chiesa.
Devo ammettere, qualora sia di interesse per i vostri lettori che, da quando ho espresso apertamente la mia opinione a una congregazione romana nel 1996, in nessun caso un’autorità della Chiesa abbia mai fatto alcun tentativo di convincermi della falsità della mia posizione. In termini pratici, con nessuno responsabile per me, sono io che devo impegnarmi su come esercitare il ministero sacerdotale senza alcun supporto giuridico.
Così presiedo ai sacramenti solo se invitato a farlo da parte dell’autorità competente (il che accade di tanto in tanto), o quando gli stessi presenti si trovano in una situazione di irregolarità (per esempio, quando conduco ritiri per i sacerdoti o laici gay), oppure quando gli altri sanno, e non sono scandalizzati, dell’anomalia della mia situazione.
Salkeld: Può raccontarci di dove Lei lavora e come? In che modo il Brasile è diventato la Sua patria? Preferisce lavorare all’università?
Alison: Nel 1980 condussi gli studi di teologia in Brasile, e trascorsi nel paese tempo abbastanza da ottenere un visto di residenza permanente. Quando, nel 2008, mi fu assegnata una borsa di studio che mi permise di scegliere dove vivere, scelsi di ritornare qua, sapendo che avrei potuto farlo senza problemi di visto, con la speranza che avrei potuto occuparmi della creazione di un tipo di opera pastorale cattolica LGBT, nonché della diffusione del pensiero di René Girard.
Mi piace insegnare, e mi piacerebbe avere dei colleghi e un senso di appartenenza a qualcosa. Mi ritrovo anche ad essere avvicinato da persone che mi dicono che vorrebbero studiare con me, o avere la mia supervisione, e mi vergogno di non essere in grado di offrire loro alcun tipo di copertura istituzionale.
Sarebbe bello avere anche una sorta di piano pensionistico! D’altra parte, quel poco che ho visto finora in vita mia mi incoraggia a pensare che col tempo potrei diventare un responsabile di facoltà – non sono proprio multitasking , e quando sono in modalità produttiva, gli aspetti organizzativi ne soffrono.
In pratica, direi che quegli ambienti che accoglierebbero con favore un insegnante di religione, apertamente gay, non sarebbero molto interessati a un teologo così ovviamente e puramente cattolico come me, mentre il tipo di ambienti, che vorrebbero un teologo puramente cattolico, potrebbero a fatica contemplare di averne uno dichiaratamente gay.
Non lavorare in un’università implica anche che io viva rendendomi conto dell’inutilità della mia disciplina in termini puramente economici. Cercare di fuggire dalla precarietà che ne deriva è stata una vera e propria ascesi.
Io lavoro da casa, a São Paulo, molto “su misura” – progettando il prossimo colloquio, scritti, o ritiri. Al momento riesco a vivere bene, grazie alla generosa borsa di studio che ricevo da parecchi anni, senza vincoli, da Imitatio, l’organismo istituito dalla Fondazione Thiel per contribuire a diffondere il pensiero di René Girard.
Salkeld: I Suoi scritti mi ricordano Joseph Ratzinger, perché entrambi riuscite a dire cose molto tradizionali in modo innovativo. Ma sulla questione degli atti omosessuali, Lei non è d’accordo con l’insegnamento della chiesa. Può dirci che cosa pensa della moralità degli atti omosessuali?
Alison: Grazie per il confronto lusinghiero! Ma, per quanto riguarda la nostra diversità, penso che Lei mi stia scambiando per un teologo morale, o per qualcuno che è interessato professionalmente all’etica sessuale. Onestamente non mi pare di aver mai provato a parlare come teologo di “atti omosessuali”, di per sé. Il mio disaccordo con l’insegnamento attuale delle Congregazioni romane riguarda quello che io ritengo essere la loro premessa, fondamentalmente errata, della natura oggettivamente disordinata dell’orientamento.
Non credo neppure che valga la pena di iniziare a parlare di quali atti possano essere appropriati, prima che si comprenda che stiamo parlando di persone il cui modo di essere non può essere propriamente dedotto dal modo di essere di altre persone. Farlo, sarebbe come trattare delle diverse azioni di un gioco di rugby, mentre si è d’accordo a sostenere, spinti dal malinteso forzato, che tali azioni sono in qualche modo delle forme imperfette di calcio.
Salkeld: Come pensa che il Suo punto di vista si allinei con la tradizione su questo argomento?
Alison: Credo di avere idee piuttosto tradizionali sul peccato originale, la grazia, e la natura reale, ma difficile di noi uomini che possiamo imparare sull’essere umani qualcosa di vero che non conoscevamo in passato. Eppure le conseguenze di questa visione classica sono davvero radicali, in quanto ci obbligano ad affrontare una questione di cui non abbiamo precedenti nella tradizione.
Data la comprensione cattolica più tradizionale del rapporto tra natura e grazia, mi chiedo se sia davvero possibile difendere la seguente tesi: “La realizzazione umana, relativamente recente, che non esiste un oggettivo disordine psicologico o fisiologico, che è intrinseco alle persone che ora si definiscono “gay”, non è importante per comprendere le forme di piena realizzazione a cui queste persone sono chiamate in virtù di ciò che sono”.
La vera domanda mi sembra pertanto: “È compatibile con la fede cattolica affermare che un’autentica scoperta umana di questo tipo non conta per la piena realizzazione delle persone coinvolte?”
Inoltre, mi sembra che il riconoscimento della natura non patologica della minoranza appartenente alla condizione umana che si chiama omosessualità (non mi piace la parola) altera inevitabilmente l’auto-comprensione di coloro che fanno parte della condizione di maggioranza, influenzando il modo in cui costoro capiscono il rapporto tra le dimensioni unitiva e procreativa del loro amore. Sarebbe molto interessante sentire una difesa che non ponga differenza alcuna.
Salkeld: Cosa pensa dell’insegnamento della Chiesa su questioni come la pornografia, la convivenza e il sesso extra-(compreso pre-) matrimoniale, la masturbazione, la contraccezione e l’aborto? Cosa comporterebbe il fatto che molti, a favore di un cambiamento nella dottrina della Chiesa circa gli atti omosessuali, sosterrebbero il cambiamento anche in questi altri argomenti?
Alison: Se mi permette, vorrei evitare di trattare questo argomento, perché trovo che sarebbe morboso disquisirne. Qui c’è una questione di fondo, tuttavia, che mi sembra molto importante e che riguarda il rapporto tra i cattolici, il nostro Maestro, e i nostri insegnanti. Sempre più, sento il bisogno per noi, come cattolici, di essere in grado di precisare alcune delle dimensioni di questo rapporto.
Trascorrendo del tempo, come faccio io, con gente su entrambi i lati dello spartiacque della Riforma, trovo strette analogie tra le tentazioni a cui ogni parte è soggetta. Il Protestantesimo è tentato di bibliolatria, e il cattolicesimo è tentato di ecclesiolatria. Entrambe sono forme di idolatria che tentano, per così dire, di cogliere una sicurezza laddove non la si può trovare, ma alla fine svuotano di significato l’oggetto considerato (che sia la Bibbia o la Chiesa), e trasformandolo invece nella proiezione di chi cerca di comprendere.
L’approccio non idolatrico è quando ci lasciamo raggiungere e sostenere da un atto vivente di comunicazione da parte di Colui che non è allo stesso livello della Bibbia o della Chiesa, ma della cui autorivelazione quelle realtà possono certamente diventare segni. Un segno sicuro di un modello di desiderio, bloccato nel cercare di comprendere, è la velocità con cui cadiamo in invidiosi paragoni, in modo da acquisire la nostra identità rispetto agli altri membri del gruppo, invece di riceverla insieme, pazientemente, da Colui che ci chiamati ad essere.
Come cattolico sono pienamente convinto del principio che il Verbo fattosi carne, l’atto vivente di comunicazione, è ecclesiale, reso disponibile attraverso segni corporei. Inoltre, do per scontato che la Chiesa venga prima di me, e che se qualcosa è insegnamento della Chiesa, sia vero.
La presunzione sta nel fatto che ci sia una sorta di verità operante nella dottrina, fino a quando non diventa chiaro che non è così. Il vero problema per me, come cattolico che cerca di pensare al futuro, è questo: sappiamo che abbiamo un solo Magister, il Verbo Incarnato di Dio, e che l’autentico magistero della Chiesa non è al di sopra, ma serve questo Verbo Vivente.
Inoltre, questo Verbo Vivente ha scelto di rivolgersi a noi a un livello di parità fraterna, facendo di noi suoi fratelli e sorelle che hanno un solo Padre, Dio, e che non dobbiamo chiamare nostro “padre” nessun altro. Quindi, come facciamo a mantenere salda l’esperienza di Gesù che ci insegna nella Chiesa e come Chiesa, se ci rendiamo conto di come spesso i vescovi, coloro che sono stati consacrati con segni sacramentali, sembrano consentire che la ricchezza della fede diventi secondaria rispetto agli imperativi della guerra di cultura, all’interesse personale istituzionale, e alla ricerca dell’approvazione collegiale?
Penso che re-immaginare la forma ecclesiale dell’insegnamento di Cristo in mezzo a noi, esplorando quell’atto di insegnamento che è la autentica comunicazione divina, e capire meglio il rapporto tra il Maestro, quelli che hanno ricevuto l’insegnamento, e quelli che sono stati incaricati di essere segni di verità, sarà una delle sfide reali della prossima generazione.
Salkeld: I cattolici, che sostengono la sua opinione sull’omosessualità, fanno cose che La fanno uscire dai gangheri?
Alison: Sì.. mi fa uscire dai gangheri il silenzio di coloro che occupano posizioni di rilievo nella Chiesa, che sanno, o hanno un forte dubbio, sul fatto che i gay siano una minoranza non patologica della natura umana.
Questo mi fa arrabbiare molto più di chi urla fesserie. Naturalmente, penso anche che siano controproducenti molti tipi di proteste, manifestazioni, kiss-in, e così via, che vediamo in occasione di eventi della Chiesa (anche se questi, solo raramente, sono organizzati e coordinati dai gay cattolici).
Questi fatti alimentano illusioni ecclesiastiche di vittimismo religioso e forniscono effettivamente ai capi della Chiesa una scusa per rimandare il lento, umile compito di cominciare a immaginare forme di verità nella parola.
Sembra che poche persone di entrambi gli schieramenti abbiano fede abbastanza da poter concepire di trovare un’identità pacificamente, piuttosto che impadronirsi di una per mezzo di provocazioni utili a vicenda. Solo la preghiera e lo Spirito Santo possono guidare coloro che temono di dire la verità nel percorso rischioso di imparare a farlo.
Salkeld: Gran parte della discussione sull’omosessualità nei circoli cattolici ruota attorno alla distinzione tra persone omosessuali e atti omosessuali. La Chiesa condanna tali atti come “disordinati” (e definisce come “disordinato” qualsiasi orientamento rivolto ad atti disordinati), ma insiste sul fatto che le persone omosessuali non sono, di per sé, disordinate. Come la pensa su questa distinzione?
Alison: Veramente questa mi sembra una discussione tolemaica in un universo copernicano. Naturalmente, vi è una distinzione irreale tra parlare di ciò che qualcuno è, e parlare di ciò che qualcuno fa. La domanda non è: “Esiste questa distinzione irreale?”, ma: “Quale utilità ha il fatto che si possa formulare una tale distinzione”? Quando la distinzione viene espressa nell’ambito della discussione sui gay, è subordinata a una condanna introdotta da altrove – quella della natura oggettivamente disordinata dell’orientamento.
La veda in questo modo. C’è una distinzione tra il mancinismo e l’atto di scrivere con la sinistra. Per molti di noi la distinzione rimane esattamente questa, e non ha conseguenze morali. Possiamo capire che una persona mancina, costretta a scrivere con la destra, a causa, ad esempio, del braccio sinistro bloccato in un calco in gesso, o una persona destrorsa costretta scrivere con la sinistra per ragioni analoghe, potrebbe con qualche difficoltà imparare a farlo. In un certo senso, queste persone agirebbero contro natura.
Ma sarebbe del tutto irrilevante l’uso della mano secondo quella che è la loro abilità manuale. Ora, immaginate che, nel mezzo di una discussione cattolica, si dica per esempio a una persona mancina: “Scrivere con la sinistra è sempre intrinsecamente sbagliato, e infatti la tendenza che noi chiamiamo mancinismo deve essere considerata oggettivamente disordinata”.
L’unica giustificazione per l’uso delle distinzioni in questo senso è se si è ricevuto, da fonti completamente diverse, la certezza che l’uso della destra è la norma per la natura umana, e che tutto il resto è una sorta di difetto rispetto a questa norma, sebbene non si voglia condannare del tutto la persona che ha una forte tendenza a scrivere con la sinistra.
Mi sembra abbastanza ovvio che qui abbiamo un difficile tentativo di adattare una realtà a una struttura accettabile, piuttosto che imparare dalla realtà come adattare una struttura ormai inaffidabile. Qualsiasi persona mancina, di fronte alla logica sopra citata, comprende che chi le si rivolge, in realtà la considera una persona sbagliata che scrive con la destra, piuttosto che una normale persona mancina.
Ogni insistenza, da parte di chi si rivolge a questa persona, non definendola “disordinata”, è un’autentica ipocrisia.
Quindi l’unica vera domanda è: “È vero che essere etero (o destrorso) è la norma, e quindi ciò che si sa dell’essere gay (o mancino) deriva negativamente dalla realtà imperante? Naturalmente, se poi non è vero, rimane una distinzione irreale tra l’essere gay (o mancini) e gli atti tipici di questo modo di essere, ma la distinzione, in sé non ha alcun significato morale. Ciò che attribuirà agli atti il loro valore morale sarà una serie di altre considerazioni relative all’evoluzione umana.
Personalmente, ritengo che sia ambiguo l’insegnamento attuale delle Congregazioni romane in materia. O l’affermazione “che l’orientamento stesso deve essere considerato disordinato” significa qualcosa, nel qual caso si entra nel regno di ciò che può essere studiato e compreso per analogia con altri disturbi oggettivi; oppure, d’altra parte, l’affermazione non dice nulla su nessuna realtà che si possa misurare, ed è semplicemente il fondamento logico che il CDF (Community Development Foundation) deve controllare, se vuole sostenere che sono intrinsecamente cattivi gli atti derivanti da quell’orientamento.
Questa sarebbe una conseguenza del fatto che essi sanno che nella teologia cattolica, gli atti derivanti da un orientamento neutrale o positivo non potrebbero essere intrinsecamente cattivi, ma che potrebbero essere buoni o cattivi a seconda dell’uso. Così, in un caso, la pretesa sarebbe falsificabile dalle scienze umane, e nell’altro, saremmo costretti a ricavare la nostra comprensione di ciò che è da ciò che è proibito, o “che non potrà mai essere approvato,” un’azione volontaria contrabbandata sottobanco, e l’affermazione sarebbe qualcosa di simile a una defezione de facto dalla dottrina cattolica riguardante la grazia, la natura, la fede e la ragione.
Quando qualcuno fa una chiara affermazione di qualcosa, allora chi ha l’anima pulita può dire: “È stata espressa una pretesa di verità in un ambito adatto a essere studiato. È vera?”. Al contrario, il rifiuto, o per confermare o per negare che si stia facendo una pretesa di verità, mentre si consente a una coltre negativa di incombere sul senso di identità di molte persone, come se provenisse da Dio, mi suggerisce la presenza di uno spirito ben diverso da quello Santo.
La mia convinzione personale è che i gay siano una minoranza costante e non patologica della natura umana, esattamente come il mancinismo è stato considerato una specie di errore in un’umanità che di regola scrive con la destra.
Sono arrivato da autodidatta a questa conclusione avendo seguito studi e argomentazioni, ripetutamente per molti anni, e si badi che questa posizione tende a essere confermata più scopriamo e più vediamo persone gay che sono in grado di vivere la loro vita pubblicamente.
Mi auguro di rimanere aperto se una qualsiasi prova smentirà la mia tesi, anche se mi rendo conto di quanto facilmente ognuno di noi possa rimanere bloccato in comodi autoinganni e in gusci ideologici blindati. Come tutti gli altri autodidatti raccolgo quello che posso da discipline di cui non ho esperienza, quello che so dell’eziologia del desiderio omosessuale si evolve regolarmente col progredire della materia.
Mi ricordo del sollievo che provai proprio nel realizzare che non sono utili tutte le ricerche per trovarne le cause. All’inizio della mia vita, il perché della ricerca del motivo di essere gay, fu in parte la necessità di trovare “qualcosa che era andato storto a cui io potessi porre rimedio”, e fu cosa buona e feconda spiritualmente, scoprire che la domanda “Cosa è andato storto da dove vengo?” non aveva in realtà nessun senso. Ha più senso chiedersi: “Come posso riuscire a migliorare ciò verso cui mi muovo partendo da dove sono, comunque sia successo?”
Quello che immagino che la Chiesa voglia approfondire, dato che riesce a cogliere ciò che stiamo scoprendo essere la verità sulle persone gay e lesbiche, è più o meno : “che significa essere gay o lesbiche?” Il senso di come qualcosa di autentico possa esaltare la gloria di Dio tramite uno sviluppo proprio. Penso che tenerne conto sia indispensabile per noi, come Chiesa, dato che crediamo che il nostro Creatore e Redentore siano uno, e che ci sia un legame strutturale tra la Creazione e la Nuova Creazione.
Per quanto riguarda l’attuale status questionis, sono assolutamente convinto di quanto riportato dalle ricerche degli ultimi quindici o venti anni, cioè che le predisposizioni biologiche che si manifesteranno in una persona gay o lesbica hanno inizio nella fase prenatale.
Avendo passato del tempo, alla fine degli anni ’80 e primi anni ’90 del secolo scorso, ad appassionarmi a ministri “ex-gay” e alla loro letteratura, mi sembra ormai un errore pensare che un trauma o un abuso sessuale, o qualsiasi altro fattore psicologico postnatale siano la causa dell’orientamento omosessuale, anche se penso che questi fatti possano davvero influenzare il modo in cui ognuno di noi riceve nella propria vita, ed è in grado di vivere, la predisposizione prenatale della capacità di amare.
Salkeld: Posso affermare che Lei promuove il riconoscimento del matrimonio omosessuale da parte della Chiesa?
Alison: Non sono sicuro che questa sia una discussione che valga la pena di affrontare fino a quando non ne siano stati concordati i parametri fondamentali. Coloro che si concentrano sull’opinione che le persone, delle quali stanno parlando, cedono a un disordine oggettivo, che sono gravi peccatori impenitenti, e che quindi cercano di rendere sacra una cosa che non potrà mai essere approvata, non sono interlocutori validi, se trattiamo infatti di persone che agiscono al fine di trovare una forma di realizzazione personale, che è una scelta del tutto legittima per ciò che si sono trovati ad essere.
Una volta che abbiamo concordato che possiamo davvero parlarne, allora direi, dal mio punto di vista, che la forma liturgica adeguata con cui benediciamo Dio per il dono dell’amore tra due coniugi dello stesso sesso, e invochiamo Dio affinché la Sua benedizione per noi, come Chiesa, si incarni nella loro vita, è qualcosa per cui abbiamo ancora un corpo legislativo scarso!
E lo stesso vale per la nostra comprensione delle analogie e delle differenze tra i rapporti delle coppie sposate dello stesso sesso, e quelle coppie del sesso opposto che scelgono di vivere il sacramento del matrimonio (con le relative implicazioni del munus della mater). Sono i protagonisti di queste relazioni che, avendo vissuto la vita apertamente negli anni, ci danno la conoscenza della loro essenza. Non ha senso cercare di affrettare ciò che necessariamente sarà un processo culturale per diverse generazioni.
Ciò che è certamente vero è che a nulla è servito vedere queste realtà come se fossero in rivalità tra loro per principio, come se il matrimonio omosessuale in qualche modo svilisse il matrimonio eterosessuale. Analogamente, se dovesse infatti risultare che il matrimonio tra due omosessuali battezzati non è sacramentale quanto il matrimonio eterosessuale, allora qualsiasi forma di sacramentalità, adatta per le coppie omosessuali, non sarebbe sicuramente la “seconda scelta migliore” per il sacramento del matrimonio.
Il richiamo di Dio alla pienezza della vita coinvolge persone che vengono chiamate in modo ad personam, non costrette a sopportare invidiosi paragoni. Ci sono molte dimore nella casa di Dio, ed egli invita tutti noi a scoprire qual è il suo progetto per ognuno di noi. Siamo chiamati per nome, non per categoria.
Salkeld: Lei ha espresso la convinzione che Papa Benedetto stia lentamente preparando la strada al cambiamento in questa materia. Come si aspetta che avverrà tale cambiamento?
Alison: Provo a spiegarLe perché ho l’opinione che cita. E vorrei iniziare dicendo che non ho mai incontrato Benedetto XVI in persona, e non dispongo di informazioni da fonte sicura su di lui. È come lettore di lunga data dei suoi libri ed essendo totalmente estraneo ai consigli dei pochi eletti che sono coinvolti nella gestione della nostra Chiesa, che cerco di capire cosa stia succedendo, per mezzo di una combinazione di preghiera, di speranza, e di istinto.
Sono spinto a questo dalla convinzione che, poiché la Chiesa è ispirata dallo Spirito Santo, e poiché tutto ciò che è vero, qualunque sia la sua sorgente apparente, giunge dallo Spirito Santo, ci deve essere allora una maniera in cui la Chiesa possa scoprire la verità in questo argomento. Vi è un elemento personale in questo. Dal momento che lo lessi, molti anni fa, mi colpì profondamente qualcosa del Donum veritatis, il documento della CDF.
Può anche accadere che al termine di uno studio serio e condotto con il desiderio di perseguire senza esitazione l’insegnamento del Magistero, rimanga la difficoltà del teologo, perché gli sembrano più convincenti le tesi contrarie. Di fronte a un’affermazione, alla quale egli ritiene di non poter dare il suo assenso intellettuale, il teologo ha comunque il dovere di rimanere aperto a un esame più approfondito della questione.
Per uno spirito leale e animato dall’amore per la Chiesa, una tale situazione può certamente rappresentare una prova difficile. Può essere un invito a soffrire per la verità, nel silenzio e nella preghiera, ma con la certezza, che se la verità è veramente in gioco, alla fine prevarrà.
Ritengo che Ratzinger sia stato l’autore – e, se mi perdonerà la soggettività forse delirante – con il quale ho sempre sentito, mentre cercavo di lottare con la chiesa per la questione gay, di essere in qualche modo in comunione spirituale ricordando questa tesi.
Tuttavia, il mio punto di partenza nella lettura di Benedetto è di natura teorica. Io ritengo che quasi ogni compito del papa stia consentendo alla Chiesa di rimanere dentro, e anzi, di avanzare nel percorso verso una sempre maggiore verità, e di farlo al fine di preservare l’unità della Chiesa e di non scandalizzare la fede dei fratelli più deboli. Da quello che ho letto di lui, ritengo che Papa Benedetto sia particolarmente adatto per le sottigliezze e le complessità di questo compito. Anche se questo è, forse, il piacere di un teologo d’eccezione: un teologo sul trono pontificio!
Visto il compito, e pensando come faccio io, che attualmente siamo paralizzati da un insieme di falsità in materia gay, con una serie di conseguenze per la vita di tutti noi, allora in tal senso quale “percorso verso la verità” si potrebbe immaginare come congruente con la vita della chiesa? Ricordiamoci che non c’è assolutamente alcun meccanismo, ovviamente, a disposizione della chiesa da cui possa andare avanti sino a qui.
Quindi una prima considerazione potrebbe essere “Di che tipo di cambiamento stiamo parlando?” Mi sembra che stiamo parlando non di un cambiamento di dottrina, ma di una mutata comprensione del campo antropologico in cui la dottrina tradizionale deve dare il suo frutto.
La mia tesi è che il mantenimento rigoroso della dottrina vigente in materia di grazia, natura, fede e ragione ci porta ad assorbire senza timore le dimensioni reali di un autentica nuova scienza dell’essere umano. Questo ha inevitabili conseguenze per la nostra comprensione di quali forme di vita siano in grado di rendere testimonianza della gloria di Dio.
Una seconda considerazione potrebbe essere questa: qualsiasi cambiamento reale in questo ambito sarà volontario. Avverrà solo se lo vogliamo. Con ciò intendo dire che coloro che vogliono mantenere una visione totalmente negativa delle persone gay e della loro vita ci riusciranno sempre, e potranno utilizzare fonti ebraiche e cristiane, sia bibliche sia storiche, come sostegno per le loro teorie. La domanda non è se sia legittimo che i cristiani mantengano tali posizioni. La domanda è se i cristiani devono mantenere tali posizioni in quanto intrinseche all’essere cristiani.
E la risposta a questa domanda va trovata nel nostro cammino personale di scoperta di ciò che è vero, un viaggio in cui ciò che è vero è interessante per noi, ci attira, perché è vero, così alla fine desideriamo poter vivere veramente, e siamo disposti a subire la dura fatica di arrancare attraverso le macerie di quello che sembrava essere vero, ma non lo è. Colui che ci ama vuole in noi, e rafforza il nostro desiderio di voler vivere nella verità, in modo che la nostra vita sia la Sua gloria. Il risultato finale non sarà semplicemente sapere qualcosa di vero, ma di godere, essendo veri, della maggiore ricchezza di vita che porta l’amore.
La cosa più grande che l’autorità della Chiesa può fare in tali circostanze, mi sembra, è di consentire gradualmente agli elementi contingenti dell’insegnamento della Chiesa in questo settore di venire visti per quello che sono: contingenti. Se improvvisamente si dice a qualcuno, come da una posizione di autorità, che è errata una credenza che considerava come sacra, e che non si deve più farlo, si corre il grave rischio di scandalizzarlo.
Risulta un esercizio di persuasione molto gentile e molto più ricco quando si condivide una nuova conoscenza, in modo che gradualmente diventa chiaro che possiamo, senza perdere la fede o l’integrità, passare alla nuova comprensione. Una dimostrazione positiva di come sembrano le cose “ora che non c’è più bisogno di mantenere quel punto di vista” è insegnare un esercizio molto migliore rispetto all’istruzione negativa “Non devi più avere quell’opinione”.
Salkeld: Qual è la Sua opinione sulle argomentazioni del Vaticano contro l’ordinazione di uomini gay? Il Suo status di prete gay come ne influenza la lettura?
Alison: Penso che le autorità della Chiesa abbiano probabilmente ragione, per il momento, a dissuadere onesti uomini gay dall’intraprendere la vita sacerdotale, sebbene io lo pensi per motivi ben diversi da quelli manifestati pubblicamente dal Vaticano. Non credo che la Chiesa sia in grado, in questo momento, di offrire a un uomo gay per bene un contesto trasparente per prendere voti o promesse; egli dovrà mantenere in pubblico, appartenendo in un certo senso a Dio, un modo d’essere che egli saprà, molto probabilmente, essere falso. Se non riuscirà a mantenere quella facciata, si troverà esposto a vari tipi di violenza da parte di omosessuali seriamente disturbati.
La patologia di queste persone può essere affrontata dai superiori diocesani o religiosi solo raramente, dal momento che tutti i soggetti coinvolti sono vincolati a una “dottrina della Chiesa”, che la tratta proprio come una patologia. Inoltre, fino a quando la Chiesa non riconoscerà pubblicamente che non è vero che tutte le persone gay sono obbligate, per via di ciò che sono, a vivere il celibato, allora ci sarà sempre un punto interrogativo sulla natura autenticamente volontaria delle promesse o dei voti. Una vera e propria promessa di celibato comporta l’abbandono di un bene (la possibilità del matrimonio) per un altro bene (il celibato per la gloria del Regno di Dio), ma l’attuale saggezza ecclesiastica ritiene che un uomo gay lascerebbe un male (una coppia dello stesso sesso) per un bene (il celibato), che è comunque un suo dovere soddisfare.
Ho trovato interessante il fatto che, mentre la lettera inviata ai vescovi, che accompagna il documento del 2005, non ha messo in discussione la validità dell’ordinazione di uomini gay nel passato, ha permesso di far comprendere che esiste un considerevole margine di incertezza circa la validità dei loro voti o delle loro promesse di celibato (da cui deriva la richiesta molto garbata a questi uomini di “ricordare” le loro promesse e voti). Naturalmente, il risultato è stata l’incertezza, agli occhi della Congregazione, della natura oggettivamente disordinata dell’orientamento di questi uomini, un disturbo che rende l’adempimento dei loro voti un fardello troppo pesante. La mia opinione è che il genuino margine di incertezza sulla validità dei voti è più propriamente legato alla cultura ecclesiastica mantenuta in vita dalla falsa forma alla base dell’insegnamento. Tuttavia, per quanto riguarda l’incertezza, siamo d’accordo.
Mi è stato detto da un membro del CDF che, dopo la redazione dell’allora prefetto, i toni del documento emesso dalla CDF erano stati molto molto attenuati rispetto al progetto arrivato alla CDF dai suoi autori di Educazione Cattolica.
Questo rafforza la mia sensazione che istintivamente Papa Benedetto tenda a moderare l’argomento. Io interpreto il documento come uno degli ultimi botti del precedente pontificato, un periodo particolarmente triste per i modi in cui la chiesa ha trattato le persone gay.
Per quanto riguarda la mia opinione, be’, ho espresso allora i miei commenti pubblicamente, e sono stati “registrati”, per così dire. Quello che ho notato all’epoca del documento del 2005, e continuo a pensare che sia vero, è che il problema da affrontare sia, in primo luogo un problema di verità sull’essere umano, e solo alla fine è un problema del clero. Solo quando, essendo una parte normale nella vita della Chiesa, ci saremo abituati a ciò che è vero nell’essere gay e lesbiche, a quali rapporti sono buoni, e così via, avrà senso rivedere la questione del clero, poiché solo allora ci sarà un contesto limpido per le promesse o per i voti.
Solo allora ci sarà un’ipotesi corretta circa la validità della libera scelta nel perseguire uno stile particolare di vita, e il sacerdote in questione potrà vivere in modo trasparente, con quella caratteristica stabile di orientamento sessuale, che è di poco significato, e che non verrà notata se non come dono di quella particolare persona per servire il popolo di Cristo.
Fino a quando tutto questo sarà stato risolto, credo che la gente come me dovrà cavarsela, in questo lungo e confuso periodo di transizione nella vita della Chiesa, abbandonandosi alla grazia di Nostro Signore!
Testo originale: Theology as Survival