La cultura gay è una meraviglia antica o una creazione moderna?
Articolo di Mike Albo* pubblicato sulla biblioteca digitale JStor (Stati Uniti) il 24 giugno 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Proprio ora, specialmente in questo mese, si percepisce l’identità sessuale come una luce stroboscopica lampeggiante che induce convulsioni, oscillando tra oscurità e luce.
Per un verso, quello luminoso, è il mese del Pride, la comunità LGTBQ è più visibile e la società si sta pian piano appropriando di nuove definizioni di sessualità e genere. Proprio di questa settimana è la notizia che l’oregonian* Jamie Shupe, che preferisce il pronome “loro”, è *l* prim* american* a cui è stat* concesso il diritto legale di definirsi “non-binari*”.
Poi capita la strage di Orlando, e piombiamo nell’oscurità. Quello che diventa visibile è l’odio e la rabbia nei confronti delle identità sessuali al di là della norma etero, e ancora una volta, in superficie esplodono le domande sulla rilevanza della sessualità omo, com’è successo già tante volte in passato.
Il problema centrale sembra sempre ridursi a: le persone omosessuali dovrebbero esistere? Siamo “degni” di appartenere all’umanità, come lo sono gli eterosessuali? Le persone omosessuali esistevano nell’antichità? Se la risposta è negativa, ne segue che noi omosessuali siamo semplicemente una creazione moderna, e qualcuno può considerarci come una sorta di morbo culturale, qualcosa che si deve sradicare. E così succede.
Il libro di Gregory Woods “HOMINTERN: How Gay Culture Liberated the Modern World” (“HOMINTERN: come la cultura gay ha liberato il mondo moderno”) è una sorta di vasto atlante culturale che mostra la migrazione dei creativi omosessuali (la maggior parte appartenenti alle classi superiori) durante il XX secolo, che traccia le varie reti informali che gli artisti omosessuali si sono creati. Muovendosi da un posto all’altro, Woods racconta lo sviluppo degli ambienti omosessuali a Berlino, Harlem, Capri, Tangeri e in altre località. In particolare, il libro sottolinea l’enorme contributo delle persone LGTBQ (anche prima che esistesse questo acronimo) all’età moderna.
Ma sottolinea anche l’importanza di una scena sociale omosessuale veramente positiva. È sorprendente come importanti personalità omosessuali abbiano amoreggiato e flirtato tra di loro durante tutto il secolo. Philip Johnson con Noel Coward; Eisenstein con Robeson. Marina Tsvetaeva con Natalie Barney; Tamara Lempika con Natalie Barney; praticamente tutte con Natalie Barney. (Barney era una potente calamita sociale).
Anche Hart Crane e García Lorca si incontrarono quando il poeta spagnolo fece il suo famoso viaggio a New York. Non andarono a letto insieme, furono solo presentati l’uno all’altro in un bar dall’editore Angel Flores. Crane stava dando gli ultimi ritocchi a “Il ponte”. Lorca, un paio d’anni prima di “Nozze di sangue”, scriverà “Poeta a New York” basandosi su questa sua esperienza. Flores li descrive mentre parlano di Whitman: “Sfortunatamente nessuno dei due era a conoscenza delle realizzazioni poetiche dell’altro. Era quasi come se due transatlantici si fossero incrociati senza segnali nel buio della notte”.
Ma dopo ogni vertice della cultura omosessuale, c’è sempre un momento critico: l’ascesa del nazismo e la distruzione della fluida cultura artistica di Berlino è uno dei suoi esempi più tristemente noti. Qualcosa del genere si ripete poi per tutto il XX secolo. Anni prima, il processo di Oscar Wilde aveva materializzato, a beneficio dell’opinione pubblica, la moderna paura per gli omosessuali.
Gli uomini effeminati “fuori norma” balzarono improvvisamente sotto i riflettori, e vennero umiliati. Wilde diventò un simbolo dell’obbrobrio omosessuale, sebbene il processo di Wilde fosse stato un tipo di azione anti-gay molto britannica e rigida, un approccio completamente diverso dal violento declino della Repubblica di Weimar.
Un declino ancora diverso è l’evaporazione della scena sessuale losca e a volte predatoria di Tangeri, dove William Burroughs, Paul Bowles e una miriade di altri uomini e donne avevano esplorato i propri desideri. La sua distruzione a causa della droga, della popolarità e del turismo che ne era derivato, così come gli sforzi di “pulire” il luogo da parte della polizia, sembra molto vicino a noi nella nostra epoca di gentrificazione e mercificazione di ciò che è di grido.
Una cosa è chiara: ogni specifico momento culturale ha il suo tipo peculiare di omofobia. In “HOMINTERN” Woods sostiene la tesi che l’omofobia, sia esterna che interna, si trasforma, si travasa nelle strutture di potere esistenti per avere la massima efficacia: “La storia moderna dell’omosessualità è anche, per forza di cose, la storia delle risposte omofobe all’omosessualità stessa”.
Se vista da questa prospettiva, l’omofobia sembra stranamente senza tempo. In agguato sotto tutte queste manovre di tribunali, governi, stati di polizia c’è, asserisce Woods, la profonda convinzione e la paura “che la sodomia senza freni distrugge gli imperi”. I gay sono segno di decadenza.
Anche nelle epoche di più ampie vedute, si vedono i gay e la cultura gay come un’aggiunta frivola e decorativa alla civilizzazione, e quindi spesso sminuiti. Woods porta come esempio una scena di “Tenera è la notte”, in cui Fitzgerald descrive la scena selvaggiamente sexy di Capri che, sebbene prevalentemente gay, si riduce nel romanzo alla presenza della checca Luis Campion dal cuore infranto.
Ma la realtà degli artisti omosessuali è molto più spinosa. Nel racconto della storia omosessuale di “HOMINTERN” troviamo spesso che un(‘)artista queer raggiunge il successo solo se lui/lei (ma anche loro) sublima in qualche modo i propri desideri. “Il pozzo della solitudine” di Radclyffe Hall, sotto processo nel 1928 per indecenza, diventò una cause célèbre, ma gli altri suoi libri sono stati dimenticati. Nel frattempo Christopher Isherwood, in “La donna è un male necessario”, invece di utilizzare il proprio punto di vista gay, sposta l’attenzione su Sally Bowles, creando un durevole artefatto culturale, più famoso di tutto il resto che ha scritto nella sua più che prolifica carriera.
È stato proprio questo, l’incapacità della società tradizionale di abbracciare pienamente l’altro, a creare alcune delle più apprezzate opere artistiche del secolo, da Jasper Johns a (forse l’esempio più calzante) West Side Story, creato da un gruppo di scrittori e compositori ebrei gay.
Ma l’arte è lo specchio della vita. La difficoltà di avere successo di un artista che dichiari apertamente di essere omosessuale funge da lente per la cultura nel suo complesso: “L’arte esplicitamente omosessuale” scrive Woods “ha sempre meno valore estetico di quella che cerca di mimetizzare la sessualità dell’artista. Lo stesso succede nella vita reale: sublimazione e repressione ti renderanno una persona migliore, anche se più tesa”.
Questi argomenti si ripetono, fino alla nausea, lungo tutto il XX secolo. E dopo?
Martti Nissinen apre il suo breve saggio “Are There Homosexuals in Mesopotamian Literature?” (“Ci sono omosessuali nella letteratura mesopotamica?”) descrivendo la lotta convulsa tra identità eterna e identità inventata. Parlando dei contraccolpi subiti dopo la pubblicazione del suo libro “Homoeroticism in the Biblical World” (“L’omoerotismo nel mondo biblico”) nel 1998, racconta di come è stato criticato da teologi conservatori ed evangelici, come c’era da aspettarsi, ma anche di come abbia ricevuto critiche da parte di studiosi e teorici queer, che obiettavano sull’applicabilità delle “moderne categorie sessuali” nei testi antichi, accusandolo di attribuire il desiderio omosessuale a una cultura antica, un atto solipsistico che è semplicemente una lente delle interpretazioni moderne della sessualità.
Il saggio, pubblicato nel 2010, è una sorta di apologia. Attinge ancora una volta ai miti mesopotamici di Gilgamesh, Ishtar, ed Enkidu, come alla legislazione medio-assira (riunita in un antico codice legale sviluppato tra il 1450 e il 1250 a.C, n.d.t.) e agli “auspici sessuali” delle tavolette mesopotamiche cuneiformi “Summa alu” (“Se un maschio ha rapporti sessuali con uno schiavo maschio (nato in) casa, maledizione lo colga”).
Ma questa volta si schiera con i suoi critici: “Cavare ‘sangue omosessuale’ dalle ‘rape’ dei testi antichi” è un’impresa datata, qualcosa che appartiene ad un tipo di erudizione anni ’90: “Le categorie sessuali una volta comuni hanno cominciato ad erodersi, in favore (si spera) di tipi più utili di concettualizzazione”.
La conclusione sembra essere che il nostro desiderio è eterno, ma le nostre interpretazioni del desiderio, no. Tuttavia, se le persone omosessuali sono eterne, lo è anche, a quanto pare, la reazione omofoba nei loro confronti, sia che si manifesti sotto forma di auspici sessuali su tavolette, leggi sulla sodomia, eccessiva intellettualizzazione accademica o la complicata rabbia di un assassino squilibrato armato di fucile. La domanda rimane: le persone omosessuali sono senza tempo, o alla moda, e quindi sacrificabili? Forse è proprio questa domanda che è antica.
* Mike Albo è scrittore, attore e comico.
Testo originale: Gay Culture: Ancient Wonder or Modern Creation?