La fede per persone omosessuali è un dono?
Considerazioni pubblicate il 2 febbraio 2013 sul blog del Progetto Rùah
Il 26 gennaio 2013 si è tenuto il terzo incontro dell’anno del Progetto Ruah. Il tema dell’incontro era: “Fede da barriera a ponte: ponte verso Dio, verso gli altri, verso se stessi“, continuando il tema dell’anno “Accoglienza della diversità alla scuola di Gesù”.
Anche la fede può interpretata, declinata e vissuta diversamente. E su questa diversità abbiamo riflettuto insieme, utilizzando come guida alcuni brani del libro “Le cipolle di Marta”.
Nelle pagine di questo libro padre Alberto Maggi riprende alcune figure del Vangelo, “modelli di fede” rispiegati, il cui cammino è fatto anche (o soprattutto?) di dubbi. Riportiamo qui di seguito il report della riflessione.
Questo è l’anno della fede, allora volevo riflettere con voi su cos’è la fede, come un ponte con Dio, con gli altri, ma anche con se stessi, con la propria vita. Una fede integrata con la propria vita che ci aiuta a vivere nelle varie diversità, nella storia con uno stile diverso.
Ora scrivo sul cartoncino una frase che spesso si sente dire: “La fede è un dono”. Voi cosa ne pensate? Ciascuno scriva qua sopra cosa lo collega a questa frase, senza dire nulla, anche partendo da quello che hanno scritto gli altri. A volte fissare con una frase ci aiuta a essere più sintetici. Vediamo che mappa viene fuori.
Visivamente abbiamo davanti un’esperienza della fede molto complessa! Ho messo la frase “la fede è un dono” non per dire: “è così”! È una frase che viene detta, si dice che la fede è un dono.
Questa frase se presa così pone un sacco di questioni… Se è un dono, perché allora non ce l’hanno tutti? Dio è cattivo e la da ad alcuni sì e ad altri no? Non è il dono classico, perché il vero dono è una roba che tu non ti aspetti, non chiedi, e ti viene fatta…
Facciamoci aiutare da un brano evangelico: Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. Appena li vide, Gesù disse loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. E gli disse: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!” (Luca 17,11- 19)
A volte mi trovo a dire tante frasi per abitudine: “Dio ti salva”, “L’amore di Dio è dentro di noi”… Per fortuna ho buoni amici che ogni tanto mi mettono la pulce nell’orecchio: “Ma cosa vuol dire quella frase lì?”. Tante frasi a volte sono lì e non diamo un vero significato, soprattutto non diamo un collegamento con la vita. Sono estremamente preoccupato di collegare l’esperienza di fede e le parole della fede con la vita, perché se la fede non tocca la vita concreta, umana, non serve a niente.
Se prendiamo questo brano ci da un’idea di cos’è la fede. La tesi che sostiene padre Alberto Maggi nel libro “Le cipolle di Marta” è che la fede non è un dono, almeno non così, presa alla lettera, con Dio che ti fa il dono della fede.
Se si intende per “fede” l’adesione a Dio, sarebbe un po’ “ingiusto” pensare che Dio ti fa dono della fede così magicamente… a te l’ha data e a un altro no! Questo brano suggerisce che questi dieci si presentano a Gesù e a tutti e dieci viene fatto lo stesso dono, di essere guariti, purificati (aveva un senso religioso, non era solo una guarigione fisica, ma aveva anche il senso di ricollocarli all’interno dell’ambiente religioso, “andate a presentarvi ai sacerdoti”).
Però solo uno dimostra che la fede lo ha salvato. La fede è una risposta, è un accorgersi, un rendersi conto nella propria vita che Dio sta agendo, per te! E tu cominci a rispondere, e ti fidi dell’azione di Dio. Dio dà a tutti la possibilità di poterlo incontrare, per tutti si presenta, ma solo pochi rispondono. Non è detto che sia automatico questo contatto, questo rapporto!
Anche voi avete scritto: “un’esperienza, un incontro”. Comincia a smontarsi l’idea magica della fede come qualcosa che a qualcuno viene data e a un altro no. Sarebbe estremamente deresponsabilizzante: “tu hai la fede, e invece io no!”.
La fede, invece, è un incontro, la fede va cercata, va cercato il modo in cui Dio sta agendo nella propria vita, quali persone, quali situazioni mi ha messo accanto. Rimanendo nell’esperienza specifica della propria omosessualità, bisogna domandarsi: “come è intervenuto Dio in questa esperienza?”. Tanti perdono la fede quando fanno i conti con la propria omosessualità perché sentono che l’esperienza religiosa – e quindi anche Dio – non ha niente da dire loro.
Se uno non ha la possibilità di venire a contatto con qualcuno che gli fa da “filtro positivo”, pensa “Dio è contro di me!” (perché la chiesa continua a ripeterlo…).
In un certo senso, però, la fede è un dono perché è una cosa bella, positiva nella propria vita, e non per il fatto che magicamente Dio mi da questa sensazione interiore, anche perché – ripeto – sarebbe deresponsabilizzante. Mentre tutti i personaggi del Vangelo, a partire da Maria, Giuseppe, gli apostoli, hanno avuto un percorso di fede molto travagliato, di fiducia ma anche di non-comprensione dell’azione di Dio. È per questo che Gesù dirà spesso ai suoi apostoli: “Uomini di poca fede!”. Pietro cammina sulle acque, ma poi ha paura: “Gesù ci credo, ma non del tutto” e allora comincia ad affondare. Ma quando lo invoca, Gesù lo tira su chiedendogli: “Perché non hai avuto fede?” (cfr. Matteo 14,28-31).
La fede è quella risposta che ti porta a credere che Dio non si dimentica della tua vita, delle tue necessità profonde. Affidarsi alla provvidenza non vuol dire vivere senza senso, ma vivere senza la preoccupazione esasperata delle cose materiali. Il cristiano sa che la sua vita è nelle mani di Dio. Certo, per avere questa fede ci vuole un cammino!
Se hanno fatto fatica anche Maria e gli apostoli, immaginiamoci noi! Avere fede non vuol dire non avere dubbi, anzi si nutre dei dubbi, delle cadute, delle fragilità.
L’evangelista Luca fa dire a Gesù: “Proprio uno straniero è tornato indietro”. Il Samaritano era un eretico: Gesù trova molta più fede nei “distanti”, in quelli che non hanno niente da perdere, ma che si fidano e si affidano. Lo stesso avviene per la donna Cananea che gli va a chiedere un miracolo (cfr. Matteo 15,21-28). Gesù la fa un po’ difficile e lei risponde: “Almeno le briciole!”. È un segno di grande fede, vuol dire che veramente lei si fida di questa azione anche quando è difficile accedervi.
La fede è una risposta, un fidarsi, non vuol dire avere la “vita perfetta”. A volte confondiamo anche la fede con la rettitudine morale. È un grave errore! Si rischia di confondere la morale con la fede! La fede è un cercare di orientare il cuore, la mente, la vita all’incontro con la persona di Gesù che con il tempo ci farà cambiare, anche se a volte abbiamo bisogno di tutta la vita per sintonizzarci su Dio. Pensiamo all’episodio di Zaccheo.
Zaccheo mostra un minimo di fede, vuole vedere almeno qualcosa, ha un minimo di disponibilità. È per questo che Gesù dirà: “Devo fermarmi a casa tua” (cfr. Luca 19,1-10). Dio deve per forza andare da lui, e sarà nell’incontro che allora anche concretamente Zaccheo si mette ad operare.
Gesù dice che è venuto per i malati (cfr. Marco 2, 17). Essere malati vuol dire essere a volte in conflitto con la propria umanità, con la propria fede. A volte è bello allontanarsi, perdere tutto, per trovare un’essenzialità. Certi cammini è meglio che passino anche dall’abbandonare tutto per poi ritrovare.
Quando viene chiamato da Gesù, Pietro sulla barca dice: “Non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti” (cfr. Luca 5,1-11), cioè “Ho fatto l’esperienza del mio fallimento, allora mi fido, perché l’hai detto tu, non perché ho constatato”.
Questa è fede, anche nella vita umana, con le persone che si hanno davanti, anche se non sempre si ha un ritorno, una certezza: fidarsi che la vita ha delle grandi opportunità, che le persone davanti non posso sempre vederle con sospetto, che la mia vita ha una direzione nonostante gli sbagli e le fragilità che a volte si evidenziano. Fede è mantenere lo stesso la fiducia nella vita e il proposito di andare avanti nonostante a volte si paghi la propria umanità.
Spunti per la condivisione:
– Proviamo a raccontarci una esperienza, un incontro che ci hanno fatto crescere come credenti, nella fede, e anche un’esperienza e un incontro che ci hanno messo in crisi, che ci hanno allontanato dall’essere credenti.
– Rileggiamo alcune figure del Vangelo che fanno vedere che credere è una risposta, un mettersi in sintonia con Dio, senza pie figure, finte. Utilizziamo alcuni capitoli del libro “Le cipolle di Marta” di padre Alberto Maggi (“Lo strano matrimonio” – Giuseppe, “Quando Maria non sapeva di essere la Madonna” – Maria, “Simone testadura” e “Il vero tentatore” – Simon Pietro, “L’ultimo profeta” – Giovanni Battista”). Ognuno sceglie la figura che vuole, si da del tempo per leggerlo. Dopo sentiremo da ognuno cosa quella figura insegna per il proprio cammino di fede, anche alla luce di ciò che ha raccontato prima, della propria storia.