La follia delle terapie riparative per i gay
Articolo della psicologa Brunella Gasperini pubblicato sul sito di D de La Repubblica il 31 marzo 2015
Nonostante i diversi passi in avanti, ignoranza, paura e pregiudizio sull’omosessualità resistono ancora oggi. Tanto che in alcuni contesti scientifici, per fortuna del tutto confinati, sono stati inventati trattamenti destinati a “riparare” questo tipo di orientamento sessuale. Maltrattamenti che nel passato facevano ricorso a misure estreme come istituzionalizzazione, castrazione, elettroshock ai genitali. E che oggi comprendono l’induzione di nausea e vomito mostrando immagini omoerotiche, la somministrazione di scosse elettriche, l’uso della preghiera. Ecco il parere dell’esperta.
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La follia delle terapie riparative per i gay
Era il 1935 quando uno dei pensatori più illuminati del secolo scorso, Sigmund Freud, scriveva che l’omosessualità “non è certo un vantaggio ma non è un vizio, non è degradante, non può essere classificata come malattia”. Non si è fatta molta strada da quel momento. Il campo della salute mentale ha una lunga e triste storia di incomprensione per alcune condizioni, con pesanti conseguenze sul piano socio culturale. Vale la pena ricordare le terapie disumane riservate nel secolo scorso alla malattia mentale. Ma anche all’omosessualità. Trattata per lungo tempo in modo discriminatorio e persecutorio. Inizialmente ritenuta una patologia psichiatrica, la voce “omosessualità” viene rimossa dal Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali (punto di riferimento internazionale per la diagnosi e la classificazione dei disturbi psicopatologici) nel 1973 ma è del tutto scomparsa solo nel 1987. Oggi le più autorevoli organizzazioni scientifiche sono concordi nel ritenere l’omosessualità un orientamento sessuale al pari di altri, non una malattia o una disfunzione da curare. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità è una “variante naturale del comportamento umano”.
Ignoranza, paura e pregiudizio però resistono. Mentre matrimoni gay ed estensione dei diritti alle unioni tra persone dello stesso sesso sono temi di dibattito ricorrente al parlamento europeo (ricordiamo che solo nove stati, tra i quali l’Italia, su 28 dell’unione europea non prevedono nessun tipo di tutela per queste coppie), l’omosessualità è ancora in parte ritenuta e trattata, in diversi ambiti e situazioni di vita comune, come qualcosa di strano, deviante, malato. E in parte anche in alcuni contesti scientifici, per fortuna del tutto confinati, dove sono state inventate addirittura “terapie di conversione”, trattamenti destinati a “riparare” questo tipo di orientamento sessuale, reindirizzando desideri ed eccitazione. Ovviamente non c’è niente da curare, recuperare, convertire. L’omosessualità non è una malattia, non è una scelta e nemmeno una fede. Non può essere modificata volontariamente, soprattutto non dovrebbe essercene motivo. Queste tecniche poggiano su pregiudizi gravi e ideologie discriminatorie. Sostengono lo stigma sociale che gay, lesbiche e transessuali ancora oggi subiscono nella nostra società omofoba. Sono promosse da un piccolo gruppo di “guaritori”, il leader è lo psicologo statunitense Joseph Nicolosi, legati a organizzazioni religiose che sostengono teorie e tecniche non riconosciute e screditate dalla comunità scientifica internazionale.
Si tratta di (mal)trattamenti che nel passato facevano ricorso a misure estreme come istituzionalizzazione, castrazione, elettroshock ai genitali. Oggi si basano su training di condizionamento avversivo in apparenza meno scioccanti ed estremi ma ugualmente dannosi e immorali. Comprendono l’induzione di nausea e vomito mostrando immagini omoerotiche, ad esempio. La somministrazione di scosse elettriche, l’uso della preghiera. Condizionamenti per insegnare a fare “cose da maschi e da femmine”, assumendo comportamenti stereotipati del sesso biologico. L’American Psychological Association, l’American Psychiatric Association così come l’Ordine nazionale degli psicologi italiani e tutti i più autorevoli organismi che operano nel settore della salute mentale, hanno espresso chiaramente la loro posizione: le cosiddette “terapie riparative”, prive di fonti e di riferimenti scientifici, non solo sono inefficaci ma anche dannose, possono segnare gravemente le condizioni psichiche di chi vi si sottopone.
Nel 2009, l’American Psychological Association ha pubblicato un rapporto concludendo che a livello statistico gli esiti di questi trattamenti non hanno mostrato alcun cambiamento negli orientamenti sessuali. Mentre sono state segnalate conseguenze anche gravi come depressione, senso di colpa, impotenza, disperazione, vergogna, ritiro sociale, suicidio. Con rischi più elevati, come prevedibile, per i giovani.
Nel 2012 la California è stato il primo Stato a vietare, attraverso una legge, questo tipo di terapia per i minori. Ma oggi stanno seguendo questo esempio decine di altri stati nordamericani. Sono i pregiudizi, lo stigma, le pressioni sociali, i condizionamenti culturali ed educativi di una società omofoba che sostiene e favorisce la direzione etero, l’ignoranza e l’odio gli eventuali pericoli per la salute mentale delle persone omosessuali. A minare una positiva immagine di sé.
L’opinione dominante in psicologia e psichiatria è che le persone turbate per il loro orientamento omosessuale hanno interiorizzato questi pregiudizi. Il lavoro terapeutico è finalizzato a superarli al fine di condurre una vita soddisfacente come gay o lesbica. Libertà personale vuol dire avere il diritto di perseguire trattamenti per cambiare qualcosa di sé, qualora facciano soffrire. Ma i professionisti della salute mentale hanno la grande responsabilità di creare, sostenere, indicare ciò che è funzionale da ciò che non lo è. E difendere ogni modo di essere.