La “frociaggine” ha invaso i seminari. Parola del Papa
Riflessioni di Massimo Battaglio
Credo che, se la squallida battuta fatta da papa Francesco nella riunione di vescovi dell’altro giorno non verrà smentita, tutti e tutte abbiamo il diritto di esigere le sue scuse. L’abbiamo sempre ammirato e, per molti versi, continueremo a farlo ma questa volta l’ha detta gotica e rischia di compromettere tutto il gran lavoro fatto in tutti questi anni.
Dunque si scusi, in nome della vecchiaia, della non perfetta conoscenza della lingua italiana, dello stress o di quel che vuole. Ma lo faccia. Perché è troppo in gamba per non capire che quella volgarità nuocerà pesantemente non solo sulla sua immagine ma sulla serenità di migliaia di giovani e di adulti. “Frociaggine“?! Ma quando mai!
A dirla tutta però, quando ho sentito la battuta del Papa, la mia prima reazione è stata un gran respiro di sollievo. Ho pensato: finalmente qualcuno lo ammette! Finalmente si riconosce che alcuni seminari d’Italia sono diventati non solo centri di repressione sessuale ma veri e propri istituti per l’educazione a una doppia vita. E questo, al di là delle teorie, dei princìpi di inclusione e non discriminazione, dell’emancipazione delle persone LGBT+, è un problema serio.
Per carità: è vero che l’orientamento sessuale non dovrebbe interferire con le capacità pastorali di un prete. Ma appunto: non dovrebbe. Troppo spesso invece, oggi, lo fa. Non è una novità che molti preti gay, cresciuti nel senso di colpa, sprofondano nell’omofobia interiorizzata per diventare, di conseguenza, i peggiori omofobi in assoluto. E sarebbe ora che questo serpente che si morde la coda fosse ridotto a borsetta, a cintura, a scarpette per signora, comunque a qualcosa che faccia meno danni.
E’ altrettanto vero che esistono ancora qua e là alcuni seminaristi che scoprono il proprio orientamento sessuale quando sono già avanti. Ma è una stretta minoranza, vista l’età minima (sopra i vent’anni) dei giovani che si avviano al sacerdozio. Perdura invece il fenomeno per cui entra in seminario chi vive male la propria omosessualità. Anzi: oggi, una gran parte di coloro che si avvicina al percorso seminariale appartiene a questa categoria. E’ inutile negarlo.
E’ addirittura vero che, di nuovo in teoria, un seminarista potrebbe vivere una bella storia d’amore con una persona del suo stesso sesso, magari incontrata proprio nel seminario stesso, e quindi scegliere serenamente di uscire per formare una splendida famiglia. Di fatto non è così. I seminari di oggi stanno partorendo individui che, non sapendo nulla di sessualità e quindi di omosessualità, la vivono nel più disordinato dei modi: quello casuale. E quindi non lasciano un bel niente perché le loro esperienze, troppo carenti sul piano affettivo e relazionale, non fanno che provocare ulteriori sensi di colpa.
Mi correggo: coloro che lasciano, ci sono. Ma sono luminose eccezioni, degne di grandissimo rispetto e vera solidarietà ma rarissime. I più imparano a inventarsi giorno per giorno tecniche di auto-convincimento per sopravvivere a se stessi. Non pochi diventano cinici e finiscono per allenarsi a trovare i modi per continuare a farsi i propri comodi di nascosto.
Questo stato di cose, che il Papa avrebbe molto maldestramente definito “frociaggine”, è molto grave. E non lo è solo per l’evidente ipocrisia che palesa. Lo è piuttosto perché riduce il meraviglioso dono della sessualità a qualcosa di meschino, di destabilizzante. Svilisce la più intima e creativa delle relazioni umane rendendola puro (o impuro) divertimento ormonale. Divertimento che, quando va bene, si esercita tra compagni ma, quando va male, arriva a coinvolgere – e a illudere – altri. I casi di seminaristi che intessono relazioni tossiche coi giovani incontrati nelle parrocchie dove fanno servizio sono noti.
Attenzione: il mio non vuol essere un giudizio moralistico contro il sesso occasionale. Ognuno deve essere libero di gestire la propria libido secondo coscienza. Ma comincio a innervosirmi quando l’occasionalità sessuale è agìta da chi la condanna e non la sopporto proprio quando è un ripiego dovuto al fatto che non si vuole agire alla luce del sole.
E non voglio dare un giudizio di condanna contro tutti i sacerdoti omosessuali, molti dei quali sono tra i migliori di mia conoscenza. Nè tantomeno voglio gettare anatemi su quei preti che “ci provano” senza neanche rendersene conto e che, riconosciuta un’altra persona omosessuale, l’avvicinano con qualche scusa, un caffé, un complimento, come per rivelare un po’ del il loro demone o per provare quel briciolo di brivido e di dolcezza che credono sia loro concesso.
Ma quando vedo intere classi seminariali popolate da ragazzi con seri problemi con se stessi e con la propria sessualità, che poi magari si rifugiano nei pizzi, nel latino e nell’intransigenza, non posso non convenire che c’è un problema. Ed è un problema serio, anche se non si può definire “frociaggine”.
Queste robe, i vescovi, le sanno. Ed è ora di finirla. Se serve la battuta col botto, ben venga.