La legge sulle unioni civili. Alla ricerca del bene possibile
Riflessioni di Giuseppe Trentin, teologo morale, pubblicate su La difesa del popolo, settimanale diocesano di Padova, l’11 giugno 2015
La questione, come si può intuire, ha due risvolti: uno di natura politico-giuridica, l’altro di carattere teologico-pastorale. L’importante, per non confondere le cose, è distinguere bene questi due profili e rilevare subito come quello delle unioni civili sia anzitutto un problema laico, non confessionale, sul quale come per ogni altro problema umano si può e si deve intervenire con la ragione, anzi con la classica “retta ragione”. Una ragione, cioè, che per quanto possibile sia oggettiva e libera da condizionamenti come l’emotività, la facile compassione per singole situazioni penose, eventuali pregiudizi ideologici, rigidi schieramenti partitici, e quant’altro. E si guardi da spinte culturali più o meno radicaleggianti che abbiano come obiettivo manifesto o nascosto il superamento o peggio la distruzione dell’istituto familiare.
Detto questo, per una valutazione etico-normativa di questo, come di altri problemi dalle forti implicazioni antropologiche, non si può non applicare il cosiddetto principio del “male minore” o, se si vuole, del “bene possibile”.
La domanda quindi è: di fronte al fenomeno dilagante delle unioni di fatto cosa fare? Meglio ignorarle, lasciarle alla libera iniziativa privata, oppure intervenire, regolamentarle, riconoscere diritti e doveri di ciascuno? La risposta, per chi voglia procedere in modo obiettivo e razionale, non può che orientarsi verso un intervento, una regolamentazione, una legislazione, che non solo determini e precisi diritti e doveri dei conviventi, ma crei le condizioni economiche, sociali e culturali per una riscoperta dell’istituto matrimoniale.
Ovviamente non come sistemazione giuridica soltanto, morte dei sentimenti, “tomba dell’amore”, come si usa dire, bensì come esperienza di vita, di crescita, di dialogo, in una parola opportunità di riconoscimento e valorizzazione di sé e degli altri. Guai a dimenticare infatti che nella convivenza sono in gioco beni fondamentali quali la dignità della persona, il rispetto dell’altro, la protezione del più debole, la socializzazione e l’educazione dei figli, di cui la società, lo stato e la stessa chiesa non si possono disinteressare.
Il problema delle unioni civili sotto questo profilo ha anche un risvolto teologico-pastorale che chiama in causa la chiesa cattolica e la sua morale in materia di sessualità, matrimonio e famiglia. Incontro molti preti e laici che individualmente o anche in gruppi e associazioni prendono sempre più frequentemente le distanze, nella pratica e in molti casi anche nella teoria, dall’insegnamento ufficiale della chiesa. Diciamo che è un fenomeno ricorrente nella storia, a testimonianza del fatto che la tensione tra vita e dottrina, pratica e teoria, fede ed espressione della fede, è in qualche modo strutturale e permanente. Certo però che oggi tale fenomeno si manifesta in modo molto più evidente e acuto, soprattutto in Italia, dove alla presenza del Vaticano si aggiunge un episcopato molto coinvolto nella politica, almeno nei suoi vertici, ma piuttosto distratto e poco sensibile agli sviluppi della teologia, in particolare della teologia morale.
È quanto meno a partire dal concilio Vaticano II (1962-65) che la teologia morale richiama l’attenzione del magistero sull’incoerenza logica, prima che teologica, di molti documenti ufficiali in materia di sessualità, matrimonio e famiglia. Si pensi solo alla riformulazione dei due fini del matrimonio, unitivo e procreativo, che l’assise conciliare ha equiparato, messi sullo stesso piano, modificando in modo sostanziale la dottrina tradizionale. Una novità di enorme portata, un cambio di paradigma senza precedenti, almeno negli ultimi secoli, che però non ha avuto alcuna conseguenza nell’elaborazione dei documenti magisteriali che hanno continuato a ribadire la normativa tradizionale. Per la verità una conseguenza purtroppo l’ha avuta ed è la distanza sempre maggiore tra teoria e prassi, dottrina e vita, per quanto concerne la sessualità, il matrimonio e la famiglia. Ragion per cui papa Francesco ha deciso di convocare ben due sinodi per affrontare il problema.
In ogni caso è da qui, da questi due sinodi, che si può e si deve ripartire per un ripensamento anzitutto dottrinale, teologico, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, e riannodare così i fili di una pastorale che non si fermi a una sterile denuncia delle unioni civili, ma colga in esse il fermento e il dinamismo di un vangelo che si fa strada faticosamente, e per certi aspetti anche contraddittoriamente, all’interno di una società secolarizzata, ma ancora disponibile a un nuovo annuncio cristiano.