La legge Zan e il miserabile trionfo della cattiveria
Riflessioni di Massimo Battaglio
Ormai c’è il rischio di ripetersi. Sull’affossamento del ddl Zan – che pochi si aspettavano almeno in termini così beceri – stiamo dicendo tutti le stesse cose. Buon segno: vuol dire che siamo uniti nel pensiero, prima ancora che nella voglia di proseguire. Cercherò di tenermi su due argomenti, senza la preoccupazione di essere originale: il primo è un argomento politico, il secondo ecclesiale. Entrambi ruotano intorno a un solo concetto: cattiveria.
Politicamente, devo dire che comincia a infastidirmi un po’ che l’indignazione (sacrosanta) vada unicamente nella direzione del senatore Pillon e di quei ciarlatani che hanno festeggiato la loro meschina vittoria con modalità di autentico bullismo. Anch’io sono schifato della loro rozzezza, che rivela, da sola, che le intenzioni sbandierate di “mediare” erano pura retorica. In realtà, i pupilli di Orban e Duda non vedevano l’ora di affossare la legge contro l’omofobia, e il motivo è uno solo: sono inzuppati di cattiveria e, dunque, anche omofobi.
Ma lo sapevamo sin dall’inizio. Dunque, va bene l’indignazione ma non fingiamo stupore. C’è piuttosto qualche altro soggetto politico, un altro maestro di cattiveria, che dovrebbe davvero indignarci: è Matteo Renzi con tutti i suoi renziani, quelli che si è portato dietro e quelli rimasti nel PD (per ora). Costoro si sono comportati in modo davvero inqualificabile. Hanno calpestato i diritti civili di persone oggetti di violenza, trattandole unicamente come occasione per ribadire il proprio presunto ruolo di ago della bilancia.
Presunto, perché vedremo, quando si andrà a elezioni, quanti italiani se ne dimenticheranno. Può darsi che il capo diventi leader di Forza Italia (già che c’è) ma i suoi sono sicuramente destinati all’oblio della storia. E non c’è da dispiacercene, visto che non è la prima volta che il toscano tratta sulla nostra pelle a scopi unicamente di potere. Questa cattiveria deve finire e finirà.
Quanto alla cattiveria dei vescovi, la loro funzione è stata di determinare il clima in cui si è consumata la carneficina dei nostri diritti. Un compito un po’ vile, per chi avrebbe quello di diffondere l’amore del Vangelo. Ma in realtà avevano due sole preoccupazioni: difendere i tanti preti, omofobi perché ignoranti, che hanno allevato nei loro assurdi seminari, e scongiurare un aggiornamento delle scuole confessionali che, secondo loro, avrebbero perso clienti. Dell’omofobia, a loro, non interessava un bel niente. Le hanno solo dato un’aura di santità del tutto strumentale.
Che miopia! Il loro atteggiamento mi ricorda quei teologi rinascimantali che continuavano a cercare argomentazioni bibliche e magisteriali per affermare che la terra non gira intorno al sole. E i risultati si vedono: nessuno se li fila più, e devono fare la faccia dura per mostrarci che, comunque, qua, si fa come dicono loro.
A loro proposito, voglio fare un ragionamento disteso, partendo da lontano. Precisamente, voglio cominciare da quando, qualche anno fa, percorsi la Via Francigena, incontrandomi con trentacinque diverse comunità cristiane, una al giorno da Torino a Roma.
Il primo giorno, poco lontano da Torino, avemmo un’accoglienza splendida. Il secondo, dovemmo cercarci un albergo perché il prete deputato all’accoglienza dei pellegrini si era stufato e se l’era impagliata. Era da un po’ che non si vedeva in paese, ci dissero. Il terzo giorno conoscemmo un sacerdote che, di fronte a una parrocchia ormai compleamente assente, aveva trasformato la grande canonica in un centro per malati psichici. Dormimmo tra amici coloratissimi, quasi come noi.
Più avanti, fummo ricevuti da un frate che viveva da solo in un convento sperduto. Ci squadrò con timore fino a tarda ora, quando venne a vuotare il sacco. Era stato mandato lì per punizione in quanto gay. Il suo peccato: non essere riuscito a fare le cose di nascosto come tanti altri. Furono pianti e poi abbracci e scambi d’indirizzo. Ma il nostro amico è ancora lì, solo come un cane.
Più avanti, in una cittadina fortemente turistica, al convento a cui eravamo stati indirizzati, scoprimmo che i monaci erano due, con a disposizione una struttura che, in altri tempi, ne aveva ospitati a decine. Era agosto e le strade erano brulicanti di gente spensierata. Ma solo noi, manipolo di sodomiti, avemmo la compiacenza di far compagnia ai due monaci unendoci al solitario coro delle loro lodi prima di ripartire.
A Siena dormimmo da Suor Rosetta, una forza della natura! Ci venne ad aprire vestita con una gonna in jeans e una t-shirt di recupero, di quelle che raccoglie per i poveri. Volle parlare un po’ con noi e ci inondò di racconti bellissimi, interrotti continuamente da tante altre persone che continuavano a bussare: uno portava un pacco e andava via, un altro si fermava a chiacchierare, un terzo cercava solo compagnia. Non le chiedemmo cosa pensava di noi ma, da quella frase che ripeteva continuamente, “accogliere tutti e non giudicare nessuno”, capivamo che stava dalla nostra ma non lo poteva dire. Suor Rosetta abitava da sola ma aveva un seguito.
Tornato a casa, dovetti fare da padrino a un amico in un paesino della diocesi di Ivrea. La celebrazione del battesimo fu bellissima: si svolse in una comunità di accoglienza guidata da un altro prete di quelli “rigenerati” nelle opere di carità. Per la cresima, attendemmo il giorno in cui, da lì a poco, il vescovo avrebbe cominciato la sua visita pastorale al paesino. Giorno di pompa magna: c’era la cantoria, una decina di amici e parenti del mio amico, il parroco di cui sopra e il vescovo medesimo. Una trentina di persone in tutto.
Ora, non è che i cristiani di Ivrea abbiano abbandonato il loro vescovo a causa delle sue note posizioni omofobe – anche se tutto fa – ma intanto lo hanno abbandonato. Quei pochi che continuano a frequentare, vanno nei fienili trasformati in cappelle presso le comunità d’accoglienza stravaganti. Gli altri seguono papa Francesco per televisione.
Quest’anno, a Venezia, il giorno di ferragosto, nella basilica di San Giorgio, c’erano a messa diciassette persone.
Questa deboscia è determinata dalla secolarizzazione? Dalla mancanza di vocazioni? Dal pericoloso dilagare dell’ideologia del gender? Ma neanche per sogno. E’ semplicemente la risposta a troppa rigidità, anzi, a troppa ipocrisia (perché sulla rigidità si può anche discutere ma l’ipocrisia genera solo cattiveria e, di fronte alla cattiveria, non resta che il rifiuto). Ed è un serpente che si mangia la coda e continuerà a mangiare finché sarà sparito.
E non ci dicano, per favore, che il compito della Chiesa non è di far consensi, perché far consensi si chiama missionarietà. E non ripetano che non si possono fare sconti, che bisogna chiamare il peccato col suo nome e che i valori sono non negoziabili. Perché non sta scritto da nessuna parte che il compito del buon cristiano è quello di maltrattare i gay.
Se la sono inventata di sana pianta. E nemmeno raccontino che il ddl Zan non era finalizzato a proteggerci dalla violenza e bla bla bla, perché quel bla bla non fa nemmeno pena.
Piuttosto riflettano: come si permette, un’organizzazione come la CEI, che rappresenta in realtà un residuo manipolo di nostalgici, di dettare la linea politica di uno Stato laico in merito a diritti che riguardano un abbondante 5% di cittadini più i loro familiari e amici?
E vabbè. Un giorno metteremo anche questa insieme alle migliaia di casi di pedofilia clericale in Francia, ai ripetuti casi di porcherie in stile Arezzo o Montecassino, e cercheremo di non perdere la fede. Ma nel frattempo?
Bisogna perdonare? Ma per piacere! Si perdonano le persone ma non le istituzioni malefiche, i partitini nati per interesse economico, gli enti religiosi asfittici che si illudono ancora di poter manipolare le coscienze ma vanno a braccetto con tutti i fascismi. Le strutture di peccato vanno combattute.
Se un parlamento democratico diventa una struttura di legittimazione della violenza, è dovere di ogni cittadino votare un altro parlamento. E così, se la CEI diventa una struttura di alimentazine dell’odio, è dovere di ogni cristiano combattere la CEI. I suoi dirigenti devono risarcire i torti, ricominciare da capo oppure sparire.
E stiano pur tranquilli perché, se non ci pensano da soli, ci sarà sicuramente qualcuno che li aiuterà a sparire, per esempio sollevando dieci, cento, mille casi Morisi. Non saremo certo noi a promuovere queste vigliaccate ma non è affatto da escludere che altri lo facciano.
Quanto a noi, non spariremo di certo. Ci stiamo già organizzando. Tra sei mesi, il ddl Zan potrà ricominciare il suo percoso in altre forme, e lo farà. E nel frattempo, avremo portato dalla nostra non i nostri amici ma la stragrande maggioranza della società civile. Non arriveremo in tempo entro la fine legislatura? Meglio.
Il prossimo Parlamento sarà composto da onorevoli certamente più qualificati degli attuali, se non altro perché peggio di questa cattiveria, c’è solo il fascismo, quello vero.