Legge contro l’omofobia: i cattolici fanno muro
Articolo del 10 luglio 2013 di Francesco Bilotta pubblicato su Italia Laica
Ieri, la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha approvato un testo in materia di contrasto all’omofobia e alla transfobia, sulla cui base, di qui in avanti, si svilupperanno i lavori della Commissione stessa. È una legge lungamente attesa dalle persone gay, lesbiche e trans di questo Paese che rimane uno degli ultimi in Europa a non avere una normativa di rilevanza penale per combattere le violenze e le discriminazioni di cui sono vittime le persone omosessuali e trans.
In particolare, le norme attualmente vigenti (contenute nella c.d. Legge Mancino – Reale) puniscono le seguenti condotte, tenute sulla base di motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, o dirette contro gli appartenenti a una minoranza linguistica:
a) la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico;
b) l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione;
c) l’istigazione a commettere o la commissione di violenza o atti di provocazione. La richiesta avanzata da tempo è l’estensione di tale tutela penale alle persone omosessuali e trans. Il testo approvato ieri si limita, però, a estendere la tutela penale solo agli atti di discriminazione, lasciando fuori le altre ipotesi.
Perché un esito del genere, quando la proposta di legge che avevano firmato il PD, SEL, Scelta civica e M5S (A. C. 245) estendeva integralmente le tutele penali della Legge Mancino – Reale? Qualche indizio per capire quanto probabilmente è successo in Commissione lo abbiamo.
Prima di tutto, non molti sanno che in omaggio alle larghe intese, in questa Legislatura, tutti i progetti di legge hanno due relatori uno del PD e uno del PDL. Ciò vuol dire che nessun progetto di legge che non sia condiviso dai due partiti della maggioranza può proseguire il suo iter e approdare in Aula. Già questo è un fatto su cui ciascuno può fare riflessioni di carattere politico a livello generale.
In secondo luogo, nei giorni scorsi abbiamo letto interventi sul tema che non lasciavano spazi a dubbi circa il giudizio dei vertici delle istituzioni cattoliche sulla proposta di legge di estensione della Legge Mancino – Reale. Mi riferisco in particolare a tre articoli: Inutile e pericolosa una legge sull’omofobia di Alfredo Mantovano (pubblicato su Avvenire del 25 giugno 2013); Contro l’ “omofobia” o contro la libertà di pensiero? di Francesco D’Agostino (pubblicato su Avvenire del 27 giugno 2013); Perché in Italia non serve una legge contro l’omofobia di Paola Ricci Sindoni (pubblicato su Il Foglio del 2 luglio 2013).
Nell’articolo di Alfredo Mantovano vi sono due tesi. La prima è che nel nostro sistema giuridico tutti i reati che vengono perpetrati contro le persone omosessuali e trans sono già puniti e quindi non c’è bisogno di nessuna aggravante o reato specifico. Per questo la proposta di legge sarebbe inutile. Ovviamente, l’Autore non si fa carico di spiegare perché i motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ma anche l’appartenere ad una minoranza linguistica siano fattori che giustificano l’esistenza di reati specifici, mentre la stessa esigenza di tutela non si avvertirebbe dinanzi all’istigazione alla violenza e alle violenze (oltre che alle discriminazioni) nei confronti delle persone omosessuali e trans.
La seconda tesi, invece, qui mi interessa di più e a mio avviso è il cuore delle preoccupazioni delle istituzioni cattoliche. Punire le discriminazioni ai danni delle persone omosessuali e trans introduce nel nostro sistema un «concetto così esteso [da cui] deriva uno spazio enorme di intervento penale». Così facendo, si limiterebbe «in modo inaccettabile sia la libertà di espressione del pensiero, sia la libertà e l’autonomia delle persone nell’esercizio dei propri diritti e nella regolazione dei propri interessi». Infatti, «la probabilità di avvio di procedimenti penali aumenterebbe di fronte a qualsiasi giudizio critico, sul piano scientifico, etico ed educativo, di determinati orientamenti sessuali; o di fronte a qualsiasi posizione religiosa o espressione educativa, che sostenga la contrarietà al diritto naturale degli orientamenti sessuali diversi da quello eterosessuale: nei seminari, nei corsi di catechismo, nella preparazione al matrimonio, in convegni e conferenze». Dunque, la proposta di legge è pericolosa.
L’articolo di Francesco D’Agostino richiama implicitamente le due tesi appena ricordate e ripropone il dubbio che «se approvata, la nuova normativa contro l’omofobia metterebbe in pericolo la libertà di espressione, di ricerca scientifica e di religione: e questo perché qualsiasi giudizio critico che qualifichi come innaturali tutte le pratiche non eterosessuali potrebbe essere qualificato come omofobo e diventare l’occasione per aggredire penalmente chi lo avesse formulato». Ma l’Autore fa di più: adombra una strategia, con un consiglio amichevole al legislatore. «Se i firmatari del disegno di legge contro l’omofobia sono davvero convinti che le “opinioni” devono restare libere e insindacabili, “quand’anche esse esprimano un pregiudizio”, basta, per intanto che facciano una cosa: introducano nel disegno di legge un articolo di legge, nel quale si riconosca senza la possibilità di alcun equivoco l’insindacabilità giudiziaria di qualsiasi giudizio, antropologico, psicologico, religioso, pur se severamente critico, sugli stili di vita omosessuali».
E infine, tanto per essere chiari sul caveat cattolico, l’articolo di Paola Ricci Sindoni, Ordinario di filosofia morale nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina e tra i soci fondatori dell’associazione Scienza e vita. A parte un passaggio che ha dell’incredibile, in cui l’Autrice afferma che l’orientamento sessuale «– come è noto – raccoglie al suo interno diversi ambiti, come l’incesto, la pedofilia, il sadismo, la poligamia e altro ancora» (come è noto a chi? e in base a quali fonti?), si ribadisce che «la legge italiana già tutela ogni forma di discriminazione».
In questo stesso lasso di tempo, in materia io non ho letto sulla stampa – ma magari mi sono sfuggiti – interventi di intellettuali o politici di area laica. È come se nel dibattito pubblico su temi c.d. sensibili si avesse timore a esprimere un’opinione o anche solo a ricordare ad Alfredo Mantovano che esiste un vuoto normativo in ambito penale solo con riguardo alle vittime di reati che siano omosessuali e trans, a confortare Francesco D’Agostino che – come lui stesso ricorda – la relazione accompagnatoria al progetto di legge precisa che non si intende punire alcuno per le sue opinioni (anche perché il contrario sarebbe incostituzionale) o, infine, a consigliare alla Professoressa Paola Ricci Sindoni qualche buona lettura che le consenta di distinguere tra orientamento sessuale e comportamenti sessuali.
È da tempo che Eugenio Lecaldano ricorda come «nel dibattito pubblico, sia in Italia sia in altri paesi del mondo occidentale (…) ha ripreso a circolare un’idea: che l’etica sia possibile solo per coloro che credono in Dio e, in generale, per coloro che aprono le loro vite alla religione e al trascendente. Solo l’accettazione di un tale orizzonte eviterebbe il declino della civiltà occidentale, in quanto tale orizzonte è l’unico che può conferire ai valori morali l’autorevolezza e la forza di cui necessitano, pena la deriva nichilistica e relativista» (così in Etica senza Dio, Laterza, 2006, VIII-IX).
Ecco perché i laici si dovrebbero sentire quotidianamente impegnati a prendere attivamente parte al dibattito pubblico su temi di rilevanza etica. Liquidare l’azione organizzata dei pensatori e politici cattolici con una scrollata di spalle non serve a rendere più inclusiva e tollerante la nostra società. Questo non vuol dire trasformare il dibattito pubblico in un muro contro muro, piuttosto serve ad aprire finalmente una crepa nel muro impenetrabile del potere cattolico sulle istituzioni repubblicane e sulla stampa.