La lotta contro l’omofobia in Africa deve essere condotta dagli africani per gli africani
Articolo di Rogerellens pubblicato sul sito Development and Human Rights (Gran Bretagna) l’8 ottobre 2015, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Prima dell’arrivo dei colonialisti omofobi, in diverse parti dell’Africa vigeva una tacita accettazione delle relazioni gay, a condizione che avessero luogo prima o durante al matrimonio, che serviva all’educazione dei figli e alla perpetuazione della famiglia.
Infatti, quelli che noi definiremmo come rapporti lesbici spesso non erano nemmeno considerati atti sessuali (in quanto era assente il pene) e avevano luogo di frequente e senza sollevare questioni. È una situazione che si ritrova tutt’ora nel continente africano, anche se l’influenza della mentalità occidentale (in particolare l’omofobia e la visione binaria del sesso, spiccatamente europea) sta cambiando le cose.
I coloni e i missionari furono orripilati da quanto videro appena arrivati sui lidi africani: poligamia, relazioni omosessuali e, sovente, società matriarcali. Immediatamente si misero a “civilizzare” gli indigeni introducendo strutture fortemente patriarcali, nuove idee cristiane su sesso e genere e una visione negativa e pervasiva dei rapporti omosessuali: ecco che un’omofobia formato gigante venne introdotta nel continente.
Veniamo ai nostri giorni: l’Occidente ha conosciuto una travolgente rivoluzione sessuale. Pillola contraccettiva, emancipazione femminile, leggi sull’uguaglianza di genere e fioritura dell’individualismo: tutto questo ha creato un ambiente nel quale le scelte sessuali sono lasciate all’individuo e l’ossessione vittoriana per la morale sessuale conservatrice è (quasi) scomparsa.
L’ultimo bastione legale di questa pruderie era la legislazione anti-omosessualità, le leggi discriminatorie cadute come mosche, tanto che oggi la maggior parte dei Paesi occidentali può vantare la piena uguaglianza di diritti per le persone omosessuali, inclusi il diritto di sposarsi, di avere figli, di servire nelle forze armate e di vivere liberi da discriminazioni. C’è ancora molta strada da fare prima che l’uguaglianza sociale raggiunga le conquiste legislative, ma un enorme ostacolo è stato abbattuto.
Ma il mondo non condivide ancora questa rivoluzione sociale. Noi britannici in particolare dovremmo vergognarci per il nostro lascito coloniale: le ex colonie britanniche sono molto più inclini a criminalizzare l’omosessualità rispetto ai Paesi colonizzati da altre potenze o mai colonizzati. Sarebbe semplicistico e scorretto suggerire che l’omofobia non esisteva in Africa prima dell’arrivo delle potenze coloniali, ma noi certamente l’abbiamo rafforzata e trasformata in un incubo legale e sociale.
Non dovremmo dimenticare che il nostro nuovo punto di vista sull’argomento è cosa recentissima: appena trent’anni fa i governi europei, incluso quello britannico, difendevano le leggi omofobe alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sostenendo che avevano il “legittimo scopo” di “proteggere la morale”, secondo standard morali e religiosi vecchi di secoli.
Molti Paesi africani stanno vivendo un’ondata di omofobia, con nuove leggi che addirittura prevedono l’orrenda pena di morte o repressioni pubbliche del comportamento omosessuale, e vanno dalle violazioni del diritto di opinione ai maltrattamenti.
Politici furbi cercano di pescare nel torbido grazie ai sentimenti omofobi veicolati in maniera incosciente dai media, che non di rado incitano all’omicidio. Ancora peggio, si sa che ricche Chiese evangelicali americane, avendo perduto la loro battaglia contro l’omosessualità in patria, si rivolgono al continente africano per diffondere il loro marchio religioso impastato di odio.
I tentativi di persuadere le nazioni africane ad abbandonare le leggi omofobe si sono rivelati ardui, e si capisce: la risposta spesso si riduce all’affermazione che l’omosessualità è un’invenzione occidentale senza corrispettivi nel continente africano; i tentativi di combattere la discriminazione, invece, sono un’influenza coloniale che non dovrebbe avere posto nel mondo moderno. È essenziale riconoscere che il punto di vista della maggior parte degli Africani sull’omosessualità non solo era nostro fino a pochissimo tempo fa, ma l’abbiamo esportato e coltivato deliberatamente.
Al tempo stesso, non possiamo semplicemente lavarcene le mani mentre gli abusi e le sofferenze continuano. Noi sappiamo che l’omosessualità è intrinseca alla condizione umana e non è un fenomeno culturalmente specifico. Ma dobbiamo essere sensibili, non fare predicozzi: dobbiamo agire con cautela nell’affrontare questa omofobia endemica, di cui siamo in larga parte responsabili. Qual è quindi l’approccio corretto?
Prima di tutto dobbiamo cercare di comprendere le complesse leggi non scritte degli usi e costumi e apprezzare i diversi approcci africani verso il sesso, che variano moltissimo da zona a zona. Non possiamo combattere l’omofobia con la concezione occidentale del sesso, che confonde ed è aliena a chi vive nel continente, e per svolgere bene il nostro ruolo dobbiamo prima sradicare i nostri preconcetti su un Africa omogenea popolata da selvaggi ingenui: non c’è nulla di più lontano dalla verità. Dobbiamo cominciare con il prendere sul serio l’Africa e trattare gli Africani da pari a pari, ascoltando le loro voci e i loro punti di vista invece di comandarli a bacchetta.
Nel passato i donatori occidentali hanno minacciato di tagliare gli aiuti allo sviluppo (e in alcuni casi l’hanno effettivamente fatto), ma questo atteggiamento è sbagliato. La risposta alle minacce non è mai buona e minacciare tagli agli aiuti è un ricatto emotivo che va a colpire soprattutto i popoli più poveri delle nazioni africane.
Le minacce forse possono cambiare le leggi ma consolidano la sensazione di venire violentati dai Paesi colonialisti e non fanno nulla per cambiare i cuori e le menti, anzi, non fanno che rafforzare l’omofobia, senza contare l’ipocrisia del sostegno generoso che concediamo a nazioni che violano sistematicamente i diritti umani delle persone omosessuali, in particolare l’Arabia Saudita.
Dobbiamo invece riconoscere che ci sono molti Africani che combattono l’omofobia sul campo, nel loro Paese: questi sono gli sforzi che dovremmo sostenere. Gli aiuti dovrebbero essere incanalati verso queste organizzazioni, le nostre associazioni per i diritti umani e i ministeri degli esteri dovrebbero vigilare perché vengano almeno in parte protette dagli abusi legali e fisici.
Stiamo purtroppo ignorando autorevoli voci africane che sfidano il concetto secondo il quale l’omosessualità è un qualcosa di “non africano”: la Commissione per i Diritti Umani del Sud Africa, l’arcivescovo Desmond Tutu e l’ex presidente del Mozambico Joaquim Chissano sono solo alcune delle voci che dovremmo ascoltare. Perché abbia successo la lotta contro l’omofobia sul suolo africano, deve essere condotta dagli Africani e basata sui valori africani, non su quelli occidentali.
L’omofobia in Africa è un problema sempre crescente e dobbiamo riconoscere che la strada verso un livello di uguaglianza e accettazione analogo a quello britannico sarà ancora lunga e difficile, e anche noi abbiamo ancora molti passi da fare.
I goffi approcci basati sulla prepotenza neocoloniale e sulle pressioni mal consigliate non fanno che peggiorare la situazione. Combattere l’omofobia in Africa richiede pazienza e sforzi dal basso perché le voci vitali degli attivisti africani abbiano la precedenza sulle nostre.
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Testo originale: The fight against homophobia in Africa must be an agenda led by Africans, for Africans