La lotta delle persone omosessuali africane in famiglia e nelle chiese
Testo tratto da Christianity and homosexuality : contradictory or complementary? A qualitative study of the experiences of Christian homosexual university students (Cristianesimo e omosessualità: contraddizione o complementarietà? Studio sulle esperienze degli studenti universitari cristiani e omosessuali), di S. Nkosi e F. Masson, pubblicato sul South African Journal of Higher Education (Sudafrica), Volume 31, Numero 4, 2017, pp. 87-90, pubblicato sul sito GayChristianAfrica il 13 dicembre 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Coming out è il termine utilizzato per descrivere l’atto di fare sapere che non si è eterosessuali, frequentando persone dello stesso sesso liberamente e apertamente. Il coming out viene spesso considerato un qualcosa di problematico. Tre partecipanti [alla nostra ricerca] hanno pensato, in passato, di non dovere nessuna spiegazione a nessuno circa la loro identità:
“Non penso sia corretto pensare che dobbiamo uscire allo scoperto, non ho mai sentito parlare di nessuno che un bel giorno si siede e spiega a qualcuno di essere etero.” (Nhlanhla, uomo)
“… mi conoscono da una vita, e a parte questo, non devo spiegare niente a nessuno.” (Roto, uomo)
“Non uscirò allo scoperto con nessuno se prima qualcuno non lo farà con me, annunciandomi quanto è uomo o quanto è donna.” (Mzwanele, uomo)
Secondo Hand (2007, 69) l’omosessualità non dovrebbe essere considerata dalla società “un qualcosa di problematico”, bensì un aspetto moralmente legittimo, o comunque non problematico. Solamente tre dei partecipanti sono “usciti allo scoperto” e hanno parlato apertamente in famiglia delle loro preferenze sessuali; la maggior parte non ne aveva alcuna intenzione, e ha addotto numerose ragioni per questa decisione, tra cui l’omofobia dei genitori, il timore di essere diseredati, la possibile negazione o evitamento dell’argomento da parte della famiglia, il timore di deludere i famigliari. Una partecipante ha spiegato che, essendo una studentessa, era ancora dipendente finanziariamente dai genitori:
“Dipendo ancora da loro; se un giorno me la sentirò di dirglielo, vorrò essere sicura che, se taglieranno i ponti con me, sarò comunque indipendente.” (Asanda, donna)
Chi ha fatto coming out con la famiglia ha perlopiù sperimentato le reazioni paventate da chi non lo ha fatto. Le risposte rivelano le lotte di alcuni genitori con le scelte dei figli:
“Mia mamma odia [l’omosessualità], è fin troppo religiosa, la odia e ha persino pregato Dio di uccidermi perché sono gay.” (Thami, uomo)
“Mia mamma non vuole neanche sentirne parlare, per quanto la riguarda non è altro che satanismo.” (Vuyo, uomo)
“Mia mamma ricorda sempre [le persone omosessuali] nelle sue preghiere; anche se non me lo ha mai detto apertamente, è chiaro che pensa che essere omosessuale sia contro natura, e che siamo possedute da chissà quale demone.” (Zandile, donna)
La perdita percepita della famiglia, o di un altro importante gruppo sociale, può essere molto destabilizzante, se non traumatica per alcuni, per cui i partecipanti sono riluttanti ad aprirsi all’interno di un gruppo sociale che potrebbe cacciarli. Il risultato è che molti non hanno fatto “coming out”.
Alcuni ritengono che non sia mai arrivato il momento adatto per uscire allo scoperto in famiglia, ma che quando lo faranno, saranno sostenuti dai famigliari. Solo uno dei partecipanti pensa che l’accettazione incondizionata della sua sessualità da parte della sua famiglia l’abbia aiutato a fare in pace con la sua identità.
La Chiesa e le reazioni dei cristiani al coming out
Se le chiese cittadine appaiono meno ostili all’omosessualità di quelle delle aree rurali, tra i cristiani non c’è un’unica opinione sul tema. Sumerau, Padavic e Schrock (2015, 306) evidenziano le contraddizioni che esistono tra quelle denominazioni cristiane che condannano l’omosessualità, e le altre, come quelle protestanti storiche, che negli ultimi anni hanno attratto membri LGBT. Solamente i partecipanti che frequentano o hanno frequentato la Chiesa Cattolica non si sono sentiti discriminati per via della loro sessualità.
Una strategia molto comune da parte dei partecipanti è tenere segreto il proprio orientamento ai membri di chiesa, per paura del rifiuto, anche visti i giudizi sull’omosessualità espressi dai membri di chiesa stessi. I partecipanti sono molto preoccupati dagli atteggiamenti giudicanti della maggior parte dei cristiani, che secondo loro non sono coerenti con il messaggio cristiano di perdono e amore. Questi sentimenti sono evidenti nelle citazioni seguenti:
“Mi chiedo se i cristiani conoscano quel comandamento che dice di non giudicare. Non c’è nessuno al mondo che giudica tanto quanto i cristiani.” (Asanda, donna)
“I non cristiani mi hanno giudicato assai meno.” (Thami, uomo)
È evidente la delusione causata dagli altri cristiani, in quanto i partecipanti ritengono di non aver ricevuto, dai compagni in fede, il sostegno e l’amicizia che si aspettavano, ma di aver ricevuto piuttosto critiche e giudizi:
“Quando la gente ti guarda disgustata, c’è da chiedersi se sei in chiesa oppure da un’altra parte. Non so, forse i cristiani non capiscono proprio che tutti abbiamo i nostri peccati, solo che non li conosciamo.” (John, uomo)
“Non hanno mai cercato di capirmi, non facevano altro che vedere demoni e bombardarmi con versetti biblici.” (Zandile, donna)
“Fa male quando ti trattano da subumana per qualcosa che non hai neanche scelto, ma i cristiani non dovrebbero essere più compassionevoli?” (Asanda, donna)
La maggior parte delle Chiese cristiane considera l’omosessualità una violazione della legge divina, e una minaccia ai valori famigliari (Kaoma 2014, 229). Secondo i partecipanti, c’è un alto livello di ipocrisia tra i cristiani, e spiegano di essersi sentiti giudicati ogni giorno per via del fatto che il loro peccato è evidente, mente la fede cristiana insegna che ogni persona è peccatrice.
Secondo la teoria dell’identità sociale i membri di un gruppo sociale, per aumentare la fiducia in loro stessi, tenderanno a trovare aspetti negativi in un altro gruppo sociale, il che spesso si tradurrà in pregiudizi e comportamenti discriminatori (McLeod 2008, 4).
Per questo Haslam and Levy (2006, 484) affermano che le credenze fondamentaliste sono una forma di “rafforzamento dei confini” e di reazione di difesa dell’ego, che fa sentire convalidato come persona chi le professa, per esempio assicurando che l’approccio adottato nei confronti della sessualità sia quello corretto.
Testo originale: Christianity and homosexuality in Africa: the experiences of Christians homosexuals
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