La lunga ricerca del Gesù storico
Articolo di Richard Cadoux* publicato sul mensile protestante Évangile et Liberté (Francia) n° 315, gennaio 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il problema del rapporto tra il Gesù della Storia e il Cristo della fede è uno dei più difficili e importanti della ricerca religiosa moderna, che applica alla Bibbia il procedimento storico-critico: come sono arrivati a noi i testi? Chi sono gli autori? Quali sono i loro generi letterari? Ciò che è scritto corrisponde alla realtà storica? Progressivamente, ci siamo resi conto che i racconti evangelici sono il frutto di un processo di tradizione e redazione. Questi testi, che danno accesso a Gesù, sono prima di tutto delle confessioni di fede nella resurrezione di Cristo: la loro vocazione non consiste nel raccontare cosa è accaduto. Le scene evangeliche sono una ricostruzione di molto posteriore agli avvenimenti. Il metodo storico-critico, di conseguenza, ha liberato Gesù dalle incrostazioni dogmatiche e mitologiche che lo imprigionavano e dall’appropriazione da parte delle Chiese, ha contribuito a restituire Gesù alla Storia.
La ricerca storica su Gesù non ha mancato di disilludere qualcuno. La speranza di ricostruire la biografia di Gesù secondo i criteri storiografici positivisti, come si è fatto per altri personaggi, è al centro della prima delle nostre “ricerche”, il cui svolgimento è stato ricostruito da Albert Schweitzer nella sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù del 1906. Inaugurata alla fine del XVIII secolo da Hermann Samuel Reimarus (1694-1768), si è sviluppata poi nel XIX con esegeti come Paulus, Strauss, Baur, Renan, Weiss e Wrede. Qui la ricerca storica soccombe all’”illusione biografica”, la quale non si rendeva conto che il lavoro dello storico è sempre pilotato dai suoi presupposti e dalle sue griglie interpretative. Lo storico non si accontenta di stabilire i fatti, ma si sforza di conferire loro un significato, e in questo lavoro di interpretazione lascerà sempre delle tracce della sua cultura e della sua personalità. La Vita di Gesù di Renan (1863) è a tal proposito esemplare, perché è un notevole autoritratto del suo autore! La Storia e gli storici hanno moltiplicato le interpretazioni di Gesù.
Negli anni ‘50 del secolo scorso, in reazione alle posizioni di Rudolf Bultmann, si è messa in moto una “nuova ricerca” (vedi per esempio Gesù di Nazareth di Günther Bornkamm, Claudiana, 1968) la quale, rinunciando a ogni pretesa biografica, si concentra sulle parole di Gesù e pone di nuovo l’uomo di Nazareth nel contesto del primo secolo, sullo sfondo escatologico del giudaismo coevo. Infine, negli anni ‘80, si delinea una “terza ricerca”, che si apre a nuove fonti e si interessa del giudaismo, della letteratura apocrifa, alle raccolte di logia (le raccolte di parole di Gesù compilate prima dei vangeli, n.d.r.). Un certo numero di ricercatori del XX secolo ha messo l’accento sull’ebraicità di Gesù: Joseph Klausner, Schalom Ben Shorim, David Flusser, Geza Vermes, Ed. P. Sanders, grazie ai quali Gesù è stato restituito ai suoi. L’approccio al personaggio Gesù si è così diversificato e reso più complesso. Un ebreo marginale, questo è il titolo dato da John P. Meier alla sua monumentale opera sul Gesù storico (edito in Italia da Queriniana). Ma che ebreo? Un insegnante, un fariseo, un dissidente del battismo, un esseno fuoriuscito dal monastero, un maestro di saggezza, un filosofo cinico itinerante, un taumaturgo (facitore di miracoli, n.d.r.), un contadino mediterraneo, un rivoluzionario galileo? Gesù è stato certamente restituito alla Storia, ma la ricerca storica non può pretendere di dire una parola definitiva su di lui. Si delinea una molteplicità di ritratti e decisamente Gesù non appartiene a nessuno. Per dirla in maniera positiva, Gesù appartiene a tutti, è presente nella cultura come una domanda, come un oggetto di ricerca, accende l’immaginazione degli scrittori e ispira gli artisti.
Come se non bastasse, come se fosse uno specchio portato lungo le strade della Storia, la ricerca riflette l’immagine dell’epoca che tenta di appropriarsi di Gesù. Con il suo Gesù nella storia (Laterza, 1989) Jaroslav Pelikan ha redatto una splendida storia del posto occupato da Gesù nella cultura occidentale, mostrando come ciascuna epoca abbia proiettato su di lui le sue aspirazioni e cercato in lui una risposta alle proprie domande: è stato per esempio considerato il principe della pace, il pedagogo del senso comune, il poeta dello spirito, il liberatore, acquisendo così lo status di “uomo universale”. La varietà dei suoi ritratti sembra suggerire che in lui ci sia molto di più di quanto sognino la filosofia, l’esegesi e la cristologia dei teologi. Incappiamo così in un paradosso: proiettando sulla singolare umanità di un uomo i propri sogni, le proprie idee e i propri progetti, una determinata epoca fa vivere Gesù, e in cambio questa figura d’umanità diviene creatrice di Storia, nel senso che orienta e dà forma ai nostri sogni, ai nostri desideri e ai nostri progetti. Penso a Paul-Louis Couchoud (1879-1959), personaggio abbastanza dimenticato, annoverato nella categoria dei “mitologi”. Convinto della non storicità di Gesù, rigettava il Simbolo Apostolico perché non poteva accettare la formula “crocifisso sotto Ponzio Pilato”. Scriveva: “Gesù appartiene alla Storia per il suo nome e il suo culto, ma non è un personaggio storico: è un essere divino, la cui conoscenza è stata lentamente elaborata dalla coscienza cristiana, partorito nella fede, nella speranza e nell’amore […] La sua realtà è unicamente spirituale. Tutto il resto è miraggio”. Affermava però anche che Gesù è il più grande abitante della Terra, l’essere più grande che sia esistito nella Storia. Grazie a Gesù, molti esseri umani adottano un certo stile di vita, decidono di dare un orientamento alla loro esistenza, fanno delle scelte e si impegnano ad agire. Gesù fa di noi degli attori della Storia.
Da molto tempo Gesù non è più tra le sole mani delle Chiese e dei loro teologi. Gesù sfugge alla scienza storica che vorrebbe mettergli la mordacchia dei suoi metodi di ricerca, non si lascia usare né manipolare. Gesù è presente nella cultura, nella vita degli uomini e delle società, “inventato” da coloro che si interessano a lui: è là che è possibile incontrarlo. Alla luce di questa convinzione, rileggo per l’ennesima volta le ultime righe della Storia della ricerca sulla vita di Gesù di Albert Schweitzer: “Egli viene verso di noi come uno sconosciuto, un anonimo, proprio come, sulla riva del lago, si è avvicinato a uomini che ignoravano chi fosse. E dice sempre la stessa cosa: Ma tu seguimi, ponendoci di fronte ai problemi che deve risolvere per il nostro tempo. Egli dà ordini, e a coloro che gli obbediranno, saggi o meno, si rivelerà in ciò che sarà loro dato di vivere in comunione con lui: pace, azione, lotte e sofferenze. Come un segreto ineffabile, scopriranno allora che egli è…”. Questa conclusione mi rassicura: ignoro chi sia Gesù. Rimane uno sconosciuto, mi intriga: cosa potrà mai significare la sua venuta nell’anonimato? Gesù mi stimola perché, se viene, è per porci di fronte ai problemi del nostro tempo. Mi tocca la promessa di una rivelazione e di una comunione con lui. Né il Gesù della Storia, né il Cristo della fede, bensì, nel tumulto del mondo e dell’esistenza, un vagabondo che passa per invitarmi alla vita.
* Richard Cadoux è stato professore di storia all’Istituto Cattolico di Parigi prima di diventare pastore della Chiesa Protestante Unita di Francia, prima a Vernoux poi all’Oratoire du Louvre di Parigi.
Traduzione originale: Jesus et l’Histoire