La mia transizione: “Gender per me significa un’anima fluida”
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Articolo di Stefano Mannucci pubblicato sul quotidiano Il fatto Quotidiano del 18 aprile 2021, pag.22
“Quando in casa nostra entravano i dottori della peste correvo a nascondermi”. Li vedeva così, quei preti e suore che mamma Sabina invitava per far conversazione. Lui, Andrea, era un ragazzino alle prese con quella scomoda domanda sulla propria identità di genere. “Mi chiedevo: cosa ci fanno qui? E mi sentivo in pericolo, provavo vergogna. Crescendo, ho capito che il sentimento religioso non è incompatibile con una natura queer. Nei testi sacri non leggi anatemi contro l’amore”.
Sua madre aveva coltivato l’interesse profondo per la teologia, “ma non mi ha mai fatto mancare il suo supporto. Non è stato semplice per lei approfondire la questione della mia identità, che è cosa diversa dall’inclinazione sessuale. Ora siamo molto vicini”.
Anche se a distanza: perché Andrea Di Giovanni da otto anni ha lasciato Roma per Londra, dove è diventato un punto fermo della scena urban-pop-soul Lgbtq+, come dimostrano l’album Rebel e un documentario, Equalise, realizzato a Abbey Road con il lavoro di artisti, produttori e tecnici tutti della comunità transgender. Non bastasse, Andrea sarà tra le stelle del World Pride di Copenhagen, in agosto, e prima e dopo delle kermesse nella capitale britannica e a Zurigo. “Non vedo l’ora”.
Eppure, a 19 anni, prese una porta in faccia da trauma a vita. “Fui eliminato nella prima puntata del serale di Amici. Ero arrivato lì dopo anni di sogni a occhi aperti, cantando e ballando nella mia stanza con i cd di Whitney Houston. In tv mi sentivo come un pulcino indifeso. Una volta fuori mi dissi che avrei fatto di tutto per dimostrare che chi mi aveva bocciato aveva torto”. Già, perché uno su mille ce la fa, ma non sempre è quello che vince: chi ricorda il rapper Moreno, che in quel 2013 uscì trionfatore dal circo crudele del talent?
“Presi subito la decisione di trasferirmi qui in Gran Bretagna, per esplorare il mio percorso artistico e umano. Che è stato duro, tormentoso. Non tutti hanno chiaro cosa sia una sensibilità trans, anche in una città aperta come Londra.
Un gender come il mio significa non cercare comode soluzioni chirurgiche o cosmetiche. Io voglio sentirmi maschio e femmina, senza lasciarmi confinato nel sesso assegnato dalla nascita.
Ma ci sono stati giorni in cui aprivo l’armadio e mi dicevo: sceglierò di essere invisibile rinunciando al make up e all’abbigliamento misto, pur di non farmi giudicare? O rivendicherò la ricchezza della mia anima fluida?”.
C’è stato un momento rivelatore, racconta, in cui ha intuito che non doveva togliere nulla a se stesso. “Fu dopo un’accesa discussione con il mio manager. Compresi che se avessi avuto coraggio avrei potuto aiutare altri ad accettare le proprie scelte. La mu- sica può essere una luce, per chi è costretto nell’ombra”. Spiega, Andrea, che la discriminazione va combattuta in ogni ambito.
“A volte, a Roma, capitava che a uno degli amici scappasse la parola ‘frocio’. Lì ero costretto a ribattere: ‘non per-metterti mai più!’, perché anche se è solo una stupida battuta, ascoltarla riapre in me la lacerazione che ho provato troppo a lungo, quando mi trattavano come un umano di scarto”.
Quanto alla battaglia contro l’omotransfobia, “sapere che una legge può proteggerci, almeno a livello di sanzioni contro gli intolleranti, può farci sentire più accettati. Diventiamo visibili”.