Da donna a uomo, dal mio coming out ad una vita piena
Testimonianza di Alex Abramovich resa a Caroline Youdan e pubblicata sul sito del mensile Toronto Life (Canada), liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Il mio coming out come trans è avvenuto nel 2010, due settimane dopo il mio trentesimo compleanno. Stavo studiando all’Università di Toronto e da pochi mesi ero ricercatore all’ospedale di St Michael. Avevo appena rotto con la mia fidanzata dopo cinque anni: era la donna che credevo sarebbe stata la mia partner per la vita. Ero stato sincero con lei a proposito della mia confusione, ma non servì a nulla: si era innamorata di me come donna e non voleva una relazione con un uomo.
Quando ero bambina la mia femminilità era un fatto immutabile, come il gruppo sanguigno o il colore degli occhi. I miei genitori mi avevano chiamato Ilona. Mi piaceva andare sullo skateboard e uscire con i miei amici maschi ma avevo anche i capelli lunghi e mi piacevano i vestiti da donna. Non mi era mai capitato di mettere in discussione il mio essere femmina. Dopo i 20 anni qualcosa è cambiato. Sentivo che c’era un ragazzo che viveva dentro di me, ma non avevo idea di cosa significasse. Sapevo solo che questo mi rendeva diversa, ma io volevo essere come gli altri. Per anni ho respinto l’idea di poter essere una persona trans, fino al punto in cui non ho più potuto farlo.
L’anno seguente alla mia presentazione come Alex è stato un inferno. I miei genitori avevano lottato per accettarmi in quanto lesbica e per loro fu ancora più difficile accettarmi come trans. I miei colleghi mi chiamavano ripetutamente “Ilona” e si riferivano a me come “lei”, per quanto continuassi a correggerli.
Mi occupavo dei giovani LGBTQ senzatetto da quasi dieci anni e la mia opera attirò l’attenzione dei media. Fu un grosso colpo professionale ma anche un incubo personale. Cercavo di far sì che i giornalisti usassero i pronomi corretti per descrivermi, ma spesso non lo facevano. Prendere i mezzi pubblici era una tortura. Gli estranei mi fissavano cercando di capire se fossi maschio o femmina. Le risatine mi facevano sprofondare, ma avevo paura di mascolinizzare il mio aspetto con gli ormoni o la chirurgia. Ero in trappola: non potevo tornare alla mia vita da donna ma ero terrorizzato di andare avanti come uomo. La discriminazione giornaliera era un’agonia e spesso mi è balenato in mente il suicidio.
Il rapporto con le donne era complicato. Di fronte ai colleghi e agli amici potevo nascondere la mia sofferenza dietro a un sorriso, ma la vera intimità mi intimidiva. Poi, dopo circa un anno dalla mia transizione, ho incontrato Caroline, una bella mora con un sorriso contagioso. Mi disse di essere già uscita con uomini trans in passato e di essere interessata a me per me stesso. Nel giro di qualche settimana diventammo inseparabili: all’improvviso il resto della mia vita sembrava meno plumbeo. Mi prescrissero una forma topica di testosterone chiamato AndroGel. Gli effetti furono sottili ma i miei pensieri divennero più chiari e cominciai a dormire la notte.
Gradualmente vennero dietro gli effetti fisici: mi si scurì la voce, mi crebbe la barba e diventai più muscoloso. Man mano che cambiava il mio aspetto mi sentivo sempre più a mio agio nel mondo. Due anni dopo, nel 2013, mi sottoposi a una doppia mastectomia.
Oggi, quando io e Caroline siamo in pubblico, la gente non vede un uomo trans e una donna queer ma una coppia cisgender (persone il cui genere corrisponde al sesso biologico). Ma niente è perfetto. Ho sempre il timore che qualcuno possa capire che sono trans e mi aggredisca. Le visite mediche sono stressanti: la maggior parte dei medici e delle infermiere non sa come interagire con me. Spesso si riferiscono a me come donna ed evitano di guardarmi negli occhi. La gente crede di avere il diritto di fare domane indiscrete sul mio corpo. Quando mi imbatto in una vecchia conoscenza, spesso mi sento dire “Allora, ti sei già operato?”. Se non fossi trans, nessuno mi farebbe domande sui miei genitali.
Eppure sono ottimista. I miei genitori mi accettano come loro figlio, e avere il loro sostegno vuol dire tutto. Vogliono bene a Caroline e sono entusiasti di vedere la mia relazione così sana e amorevole. Lo scorso autunno ci siamo sposati e stiamo pensando ad avere un figlio. Vorremmo fertilizzare il mio ovulo grazie a un donatore di sperma e poi impiantarlo in Caroline. Finalmente non vedo l’ora di vivere il resto della mia vita.
Testo originale: My trans life: Alex Abramovich