Attraverso la morte, la vita piena
Riflessioni di Giovanni Dazzi del gruppo per cristiani LGBT e i loro genitori di Reggio Emilia pubblicate sul mensile parrocchiale “Insieme” dell’Unità pastorale di Santa Maria degli Angeli di Reggio Emilia, novembre 2017, p.21-22
Il mese di novembre, con il ricordo dei morti, le nebbie e l’oscurità, solitamente non ispira sentimenti positivi. Ci richiama ad una realtà, quella della morte, che la nostra società post-moderna tenta in tutti i modi di esorcizzare e rimuovere, salvo poi spettacolarizzarla nei mezzi di informazione. Esistono sconvolgenti statistiche che ci rivelano che anche i cristiani praticanti temono la morte e molti di loro non credono nella vita eterna. Eppure, la speranza/certezza che la vita continui anche dopo la morte del corpo, è uno dei capisaldi della buona notizia portata da Gesù. Forse il nostro problema risiede anche nel fatto che tendiamo a cercare risposte nei luoghi sbagliati, come le donne al sepolcro di Gesù, che si sentono dire “Perchè cercate tra i morti colui che è vivo” ?
Personalmente non amo i cimiteri e le loro ostentazioni floreali. Le persone care che ci hanno preceduto non sono lì, tra i morti, tra il putridume di poveri resti di un corpo che ha esaurito la sua funzione, ma sono vive, nella luce, libere dai limiti legati al corpo, rivestite di eternità e dell’amore di Dio. Lo Spirito vive per sempre, non è condizionato dalla caducità corporea. Ma va accolto e coltivato. Gesù, nella sua predicazione, identifica due possibili destini delle persone: la vita eterna e la morte eterna.
● Chi accoglie e coltiva lo Spirito, donando vita, cercando il bene, la bellezza, accogliendo ed aiutando gli altri, prendendosi cura del creato (vedi l’enciclica Laudato sì di papa Francesco), condividendo i propri beni ed i propri talenti, lasciando il mondo migliore di come l’ha trovato, sarà trovato vivo nel momento della morte biologica, e continuerà a vivere definitivamente, in una forma diversa, sviluppando tutte le enormi potenzialità della vita.
● Chi rifiuta ostinatamente lo Spirito, facendo il male, seminando distruzione umana e ambientale, sfruttando sconsideratamente persone e animali, chiudendosi nell’egoismo nel razzismo e nella discriminazione, accumulando beni solo per sé, lasciando il mondo peggiore di come l’ha trovato, sarà trovato morto spiritualmente dalla morte biologica ed è come se morisse due volte, nel corpo e nello Spirito.
E’ quella che il libro dell’Apocalisse definisce “seconda morte”, che Gesù chiama “perdita dell’anima”, portando l’esempio della spazzatura che veniva gettata nella discarica nel burrone di Gerusalemme, la Geenna. Il significato è “Se ti sei sempre chiuso a tutto e a tutti, se hai sempre considerato le altre creature come merce al tuo servizio, la tua vita sarà stata inutile, per cui, quando morirà il tuo corpo non rimarrà nulla di te, perché lo Spirito l’avevi già fatto morire da prima, per cui sarai buttato nella Geenna, nella spazzatura, morirai definitivamente”.
Naturalmente speriamo che di persone della seconda categoria non ce ne siano. Se ci sono, il Signore confida nella nostra testimonianza evangelica per contagiarle con il bene, collaborando alla sua opera di salvezza.
C’è una piccola parabola extrabiblica, tratta dal testo “Aiutami a dire addio” di Arnaldo Pangrazzi, che credo esprima bene alcuni concetti legati a questi temi: LA PARABOLA DEI GEMELLI.
Due gemelli, mentre crescevano nel grembo della madre, conversavano tra loro; erano pieni di gioia e si dicevano: «Senti, non è incredibile l’esperienza della vita? Non è bello essere qui, insieme?».
Giorno dopo giorno andavano scoprendo il loro mondo. Un giorno si accorsero del cordone ombelicale che li univa alla madre, attraverso cui venivano alimentati, ed esclamarono sorpresi: «Quanto ci vuole bene la nostra mamma! Condivide la sua vita con noi!». Passarono così le settimane e i mesi finché, all’improvviso, si resero conto di quanto erano cresciuti.
«Cosa vorrà dire tutto questo?», domandò il primo.
«Vuol dire che fra poco non ci staremo più qui dentro», rispose l’altro. «Non possiamo restare qui per sempre, dovremo nascere».
«In nessun modo voglio uscire di qui», obiettò il primo, «Io voglio rimanere qui per sempre!»
«Ragiona», gli rispose il fratello, «non abbiamo altre soluzioni; e poi forse, ci sarà un’altra vita, dopo che saremo usciti di qui».
«Ma non è possibile!», sentenziò il primo. «Senza il cordone ombelicale non si può vivere! In più, altri prima di noi hanno lasciato il grembo materno, ma nessuno è tornato a dirci se c’è un’altra vita dopo la nascita. Da’ retta a me, una volta usciti di qui, tutto finirà!»
Così, tra un’argomentazione e l’altra, trascorsero i loro ultimi giorni nell’utero, finché giunse il momento della nascita. Quando vennero alla luce spalancarono gli occhi ed emisero un forte grido. Quello che videro superava di gran lunga ogni loro aspettativa.