La nostra “benedizione”. Un figlio gay ci ha cambiato la vita
Testimonianza dei genitori Mara e Agostino di Reggio Emilia letta nella veglia per il superamento dell’omofobia di Parma il 17 maggio 2018
Ora, a dieci anni di distanza, possiamo affermare che è stata una “benedizione”, ma all’inizio e per tanto tempo, troppo, è stata molto dura, devastante, soprattutto per la mamma.
Siamo cresciuti in una parrocchia di paese in cui il parroco aveva speso la vita per la cura dei giovani e delle famiglie, proponendo loro le mete alte della vita cristiana , in particolare uno stile di purezza e castità, attraverso la preghiera, la confessione, la direzione spirituale, la frequenza quotidiana all’Eucarestia, oltre a intensi e continui momenti di formazione.
Il suo carisma si è concretizzato particolarmente nel creare delle comunità di coppie di amici che si aiutassero in questo cammino e le varie piccole comunità hanno formato, nel tempo, un movimento di famiglie. Noi abbiamo aderito con entusiasmo a tutto questo e insieme ai nostri amici abbiamo vissuto intensamente il fidanzamento, il matrimonio e la nascita dei nostri quattro figli.
Per sostenere poi i genitori a crescere cristianamente i loro figli, c’era e c’è tutt’ora, a quasi trent’anni dalla morte del fondatore, tutta una comunità educante in cui i gruppi di coetanei, lo sport, le scuole vogliono contribuire ad aiutare i giovani a realizzare il loro progetto di vita: formare a loro volta famiglie “sante” o anche aprirsi a vocazioni di speciale consacrazione. Ci ritenevamo molto fortunati e pensavamo che non esistesse un ambiente migliore.
Ma, in questo contesto, lo scoprire di avere un figlio omosessuale è stato più deflagrante di una bomba. Ci siamo accorti sulla nostra pelle che non c’era posto per chi, per qualsiasi motivo, era ed è diverso.
L’omosessualità poi non era neppure concepibile, era un problema che non ci riguardava, mai era stato argomento di riflessione, come se i gay non esistessero, anzi era logico giudicare in ogni caso il loro comportamento come depravato e contro natura.
E ora ci chiediamo : “E’ giusto? E’ giusto che le realtà parrocchiali o i movimenti ecclesiali che vogliono seguire Cristo in una “via di perfezione” escludano chi non rientra nei canoni considerati “normali”?
Cristo non è morto per tutti?
Nostro figlio si è rivolto a dei sacerdoti aderenti a questo ambiente per trovare un aiuto in una condizione che non poteva più negare a se stesso, ma si è sentito giudicato, investigato, in una parola “sbagliato”. Questo ha certamente contribuito ad allontanarlo dal nostro ambiente, poi dalla Chiesa ed infine, purtroppo, dalla Fede.
Anche noi genitori ci siamo rivolti agli stessi sacerdoti, e se logicamente ci veniva detto che dovevamo continuare a volergli bene, uscivamo da quei colloqui sempre con la sensazione che ci fosse capitata la più grande disgrazia che Dio ci poteva mandare. Tutto avremmo potuto accettare, ma non che nostro figlio fosse gay e la sofferenza era veramente grande.
Solo un nostro amico diacono e sua moglie, fortunatamente, ci hanno fatto riflettere sull’assurdità di tali idee, facendoci capire quello che in fondo sentivamo da sempre, che davanti a tutto dovevamo mettere l’Amore che dovevamo a nostro figlio.
Man mano il nostro cuore si è rasserenato anche se abbiamo dovuto accettare che si trasferisse in città, perché la realtà del paese era effettivamente troppo stretta e poi non riusciva più a sopportare la sofferenza che in ogni caso, anche senza che fosse voluto, leggeva sul volto della mamma.
Nel frattempo aveva intrapreso un cammino psicoterapeutico che lo aveva aiutato ad accettare la sua condizione di omosessuale, non a “guarire” come, in un primo momento, la mamma aveva sperato.
In questo modo abbiamo vissuto per una decina d’anni: in famiglia i rapporti erano diventati più sereni, anzi come sposi ci siamo uniti sempre di più, mentre in parrocchia e con le famiglie delle comunità era scesa, e c’è tutt’ora, una “cortina di silenzio”, tutti sapevano, ma nessuno, tanto meno i sacerdoti, ci chiedevano qualcosa, anche solo per far sentire la loro vicinanza.
Istintivamente ci ribellavamo all’idea di un Dio che non è padre di tutti i suoi figli e rifiutavamo una Chiesa che nega la salvezza a chi vuole essere semplicemente se stesso, negandogli la possibilità di amare concretamente un’altra persona. Cercavamo però di continuare con tenacia la nostra vita di fede anche se questo nuovo modo di sentirci cristiani ci ha portato ad allontanarci man mano dal movimento di famiglie.
Siamo ancora uniti agli amici di sempre, con cui abbiamo condiviso 40 anni di vita e non ci permettiamo di giudicare il loro silenzio, perché eravamo noi per primi che non parlavamo mai di nostro figlio, anzi dobbiamo ammettere a noi stessi che se non fossimo in questa situazione saremmo tra i cristiani più integralisti. ( Questo non l’abbiamo detto nel nostro intervento, ma nessuno dei nostri “amici di sempre” ha risposto in positivo o in negativo, all’invio della locandina della Veglia. E’ stato un silenzio assordante che ci fa star male).
La nostra vita però ha iniziato a cambiare radicalmente dal maggio 2017 quando abbiamo partecipato alla Veglia contro l’omofobia organizzata nella parrocchia di Regina Pacis di Reggio Emilia e lì abbiamo scoperto che in quella parrocchia era presente un gruppo LGBT a cui partecipavano anche dei genitori. Poi fortuitamente, ma noi siamo convinti che la Provvidenza si serva del caso, abbiamo scoperto l’esistenza a Parma del Gruppo Davide.
Attraverso la conoscenza e la condivisione coi genitori, i ragazzi e le ragazze dei gruppi, abbiamo man mano cominciato a capire che l’omosessualità di nostro figlio non era una disgrazia che ci era capitata e che dovevamo accettare, ma che anzi era un dono. Forse vittime dell’omofobia sono anche i genitori quando questa è talmente radicata in loro che non riescono ad amare e ad accogliere il figlio gay nella sua diversità. Tutti i figli sono diversi, ognuno è unico e irripetibile e va rispettato nella sua verità.
Sono vittime dell’omofobia quando si sentono giudicati o commiserati da chi sta loro accanto, quando si sentono in colpa e si vergognano del loro figlio.
E’ in questo che consiste la “benedizione” di cui abbiamo parlato. Avere un figlio gay ci ha costretto a cambiare la nostra mentalità e anche il nostro modo di vivere la fede.
La nostra vita cristiana era perfetta, avevamo rispettato tutte le tappe e tutti i programmi, pensavamo di avere tutte le risposte e la vita ci ha cambiato le domande. Perché la vita non è mai un vicolo chiuso, è piena di sorprese, di rinnovamenti che arrivano all’improvviso, dobbiamo solo aprirci a ciò che ci viene incontro.
E l’unica risposta era e rimane l’amore. L’amore è più grande delle nostre miserie, del nostro passato, dei nostri errori, dei nostri giudizi, delle nostre paure, della sicurezza di aver fallito. Dio è più grande del nostro cuore, e il nostro cuore doveva solo scoprirlo, grato. E non dovevamo cercare colpevoli, né creare sensi di colpa, soprattutto non dovevamo lasciare al dubbio e alla paura di dipingere il volto di Dio.
“Chiunque ama è generato da Dio e lo conosce”. Cioè conosci se ami, non il contrario, se anche conosci tutte le regole, tutti i precetti, ma non ami, non conosci Dio.
Ora con i genitori di questi gruppi, che capiscono bene quella che è stata la nostra sofferenza, condividiamo la volontà di spendere la vita perché nessuno sia escluso dalla società e dalla Chiesa per il suo orientamento sessuale. Ci sentiamo dalla parte giusta, non contro qualcuno, ma con Gesù in cui non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo, né donna, né puro né impuro.
E’ un cammino nuovo, non abbiamo certo le certezze di prima, ma pensiamo che la gioia che stiamo vivendo sia un sintomo che stiamo camminando bene, che siamo sulla via giusta. Se ami porti frutto, forse non subito, ma il frutto, anche se tardi, verrà.
In un inno di Bose c’ è questa preghiera finale, con la quale anche noi volevamo terminare il nostro intervento:
“Signore che tracci il cammino,
e apri le porte del Regno, (un Regno da cui nessuno può essere escluso se vive nella verità)
rinnova la nostra speranza
perché abbia senso ogni vita. Amen”