La nostra preghiera delle ore online un anno dopo
Riflessione di Gianni Geraci del gruppo del Guado di Milano e volontario della Casa di Cornelio
Quando, un anno fa, con alcuni giovani del Guado abbiamo iniziato a pregare insieme, nessuno di noi pensava che quell’iniziativa sarebbe durata più di un anno.
Da un lato c’è stato l’entusiasmo di alcuni che l’hanno voluta condividere subito con altre realtà che cercano di costruire ponti tra la chiesa cattolica e la comunità delle persone LGBT+: sono loro che hanno fatto conoscere l’iniziativa agli altri giovani cristiani LGBT+, ai loro genitori e agli operatori pastorali che li accompagnano; sono loro che hanno animato le preghiere della scorsa primavera; sono loro che hanno coinvolto con il loro entusiasmo che, poi, avrebbe portato avanti il progetto durante l’estate.
Sì, perché con l’arrivo dell’estate, con il ritorno a una vita quasi normale, con la riapertura dei locali, dei ristoranti e dei bar, il rischio era che l’esperiena della preghiera online si esaurisse per mancanza di partecipanti.
E invece siamo andati avanti con la perseveranza di chi è convinto della bontà delle cose che sta facendo e che, quindi, le porta avanti comunque, indipendentemente dal successo che, nel corso del tempo, possono avere.
Questa perseveranza è qualcosa che ho vissuto in prima persona durante i trent’anni di impegno nel Guado: ci sono stati momenti in cui, di fronte alla sede semivuota, alle cene con pochi commensali, agli incontri di preghiera con tre o quattro partecipanti, mi sono chiesto se davvero valeva la pena andare avanti. E tutte le volte mi è venuta in mente la frase in cui Gesù ci ricorda che basta essere in due, per vivere l’esperienza della sua presenza tra noi (Mt 18,20).
D’altra parte la sua presenza è comunque dai testi che leggiamo con la liturgia delle ore, visto che: «In essa – come scriveva tanti anni fa il cardinal Martini – il Dio, che ripetutamente ci parla, ascolta la nostra risposta e ci suggerisce la parola stessa con cui rispondere».
Ed è stata la perseveranza dell’estate che ha permesso di vivere la grande fioritura di questi ultimi mesi, quando decine di sacerdoti che non conoscevano i nostri gruppi, alcuni vescovi che ne avevano sentito parlare, ma che avranno senz’altro voluti vedere come pregano questi “cristiani LGBT+”, amici dei genitori che già partecipavano alla preghiera, amici nostri e anche perfetti sconosciuti, hanno iniziato a partecipare ai momenti di preghiera che, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, ci hanno accompagnato fino ad oggi.
A questi momenti di preghiera abbiamo affidato il compito di ricordare alcuni momenti che, in altre circostanze, avremmo ricordato in qualche altro modo, come il quarantesimo compleanno del Guado, quando con tantissimi amici abbiamo pregato, abbiamo ringraziato, abbiamo meditato e abbiamo ricordato la nostra storia in un clima di raccoglimento e di ascolto della Parola.
E proprio in quella circostanza è nata l’idea di dare un nome a questa avventura iniziata il 12 Marzo 2020, un anno fa,: chiamarci «La casa di Cornelio» per ricordare il luogo in cui Pietro, vedendo dei gentili che pregano e che lodano Dio, si rende conto che: «Dio non fa preferenze di persone» (At 10,34) e capisce che anche chi è percepito come estraneo alla Chiesa, in realtà, può aiutare la Chiesa stessa a comprendere meglio il cammino che Dio le chiede di fare per annunciare il suo messaggio a tutti gli uomini, fino agli estremi confini della terra (At 1,8).
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