La nostra vita, la fede e i talenti dell’omosessualità
Riflessioni di Emanuele Macca del gruppo Il Guado di Milano
Stavo scrivendo a un amico su cosa significa vivere con piena ricchezza il dono dell’omosessualità. La definizione di dono l’ho appresa per la prima volta da Gianni Geraci che definisce sempre l’omosessualità come una vocazione.
E ogni vocazione porta con sé dei talenti da donare agli altri nel modo che il contesto storico che viviamo ci permette di fare.Allora cosa più della “parabola dei talenti” può darci delle indicazioni a tal proposito?
La riporto qui per intero: “Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto.
Venuto, infine, colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso.
Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglieteli dunque il talento, e datelo a chi ha dieci talenti.
Perché a chiunque ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre: là sarà pianto e stridore di denti”. (Mt 25,14-30; cfr. Lc 19,12-27)
A mio avviso questo bel testo può indirizzarci a capire cosa può “dar frutto” nel nostro vissuto. Il Signore vuole che i doni che fa siano valorizzati, financo investiti perché “portino frutto” e raddoppino il loro valore. Ogni gesto della nostra vita dovrebbe essere finalizzato a investire le nostre capacità a servizio non solo di noi stessi, ma di tutta la collettività.
Nel Vangelo infatti un altro momento di “moltiplicazione” si ha nel “miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci”. In pratica quando usciamo da noi stessi e ci volgiamo ad ogni uomo creato da Dio scopriamo sì di avere un mondo pieno di problemi, ma anche che con la nostra fede si possono moltiplicare le risorse e le forze per compiere opere di sostegno e di aiuto.
Solo investendo e raddoppiando i nostri talenti possiamo andare in questa direzione. E si badi che quello che conta non è quanti talenti abbiamo, ma se li abbiamo investiti o no! I numeri sono cose terrene e passeggere. La decisione di investire o nascondere i talenti ricevuti è invece figlia di una tensione spirituale!
Quando iniziamo a credere per davvero che l’omosessualità non solo non è un peccato, ma è un dono, un talento da investire, allora ci si aprono mille orizzonti!
E mi risulta sin troppo facile leggere nell’atto del servo che nasconde, che sotterra l’unico talento ricevuto il vissuto di coloro che dando all’omosessualità un valore di mero atto fisico di cui nessuno deve sapere, la vivono come atti di sesso occasionale in luoghi oscuri e nascosti alla vista di tutti.
Se invece ci mettiamo nei panni del servo che ha ricevuto due talenti, vediamo come egli pur avendo ricevuto poco ha deciso comunque di investire quel poco! Se quindi per davvero l’omosessualità fosse sì un atto d’amore e di dono, ma limitato perché non avrebbe in sé quella complementarietà che è alla base della capacità procreativa come taluni dicono, avremmo comunque qualcosa da offrire agli altri, un talento da condividere con chi è nel bisogno!
Se infine osiamo metterci nei panni del servo che ha ricevuto cinque talenti, allora già partiamo con una dote cospicua. Questo non ci potrebbe suggerire che non dobbiamo sentirci incompleti e quindi inferiori ai completi (agli eterosessuali) perché per natura siamo incapaci di procreare? Basterebbe volgere lo sguardo ad un’immagine di procreazione non esclusivamente materiale!
Sia una persona che una coppia omosessuale allora hanno davanti a loro vari talenti di diverso valore. Devono decidere quale usare e se raddoppiarlo!
Devono decidere in pratica se fare cose che gli danno gioia vera e condividere questo loro vissuto con gli altri, con tutte le persone assetate di conforto e di giustizia, di modelli positivi a cui rifarsi per non sentirsi soli ed emarginati, con tutti quei padri e quelle madri che soffrono perché ritengono un peccato e una cosa di cui vergognarsi l’omosessualità del figlio, con tutti quelli che non vogliono capire perché si sentono perduti in un mondo che per loro cambia troppo velocemente!
Sarebbe bello che tutti volessimo e potessimo usare e moltiplicare i talenti che Dio ci ha donato. Perché allora temere che gli altri e la comunità cristiana vengano a sapere di noi, della nostra omosessualità se la viviamo in quest’ottica?