La paura di annegare (Matteo 14:22-33)
Restituzione* dell’incontro del gruppo PAROLA… E PAROLE** di Roma del 18 dicembre 2021
Questo brano [Matteo 14:22-33], come altri che raccontano miracoli di natura (la pesca miracolosa, la moltiplicazione dei pani, la trasformazione dell’acqua in vino…) sono “frutto della creatività letteraria della chiesa dei primi decenni” – lo dicono Meier e Barbaglio. Il loro significato è simbolico e va trovato.
C’è nel brano la paura delle prime comunità cristiane ad affrontare le difficoltà che vedono nel loro cammino: Gesù non è più con loro, seguire il suo messaggio è difficile e il rischio di tradirlo, aggrappandosi alle sicurezze che la barca dà, è sempre lì in agguato.
Mi piace ricordare con voi una persona che la barca delle sue sicurezze la lasciò, e farlo con le parole di Dom Jaques Dupont, in una sua lettera a Giovanni Franzoni del 23 agosto 1972: “Carissimo Padre Abate, dieci giorni or sono ho dovuto fare qui [in Belgio] l’omelia su Matteo 14:22-33; mi sono limitato a parlare di Pietro… se non avesse rinunciato alle sicurezze della barca quando il Signore gli ha detto ‘vieni’, non avrebbe avuto alcuna fede. Insistendo su questa necessità cristiana di assumersi dei rischi, io pensavo a voi… Carissimo Padre Abate, vi lascio proseguire il vostro cammino sul mare, perché è attraverso questo cammino che il Signore vi invita ad andargli incontro. Sapete che i miei voti e le mie preghiere vi accompagnano”.
In questo brano io vedo il nostro cammino, quello delle persone LGBT e dei loro genitori. Anche noi abbiamo sperimentato e sperimentiamo la paura, quando ci sentiamo persi, quando sembra che ci manchi il terreno sotto i piedi, quando i genitori, nel momento del coming out dei loro figl*, si sentono investiti da una tempesta imprevista e improvvisa. Anche noi, come Gesù con Pietro, ci siamo presi per mano, per sorreggerci l’un l’altra e vincere la paura, per riuscire a camminare dove mai avremmo pensato di poter camminare. Anche il nostro cammino è cosparso di ombre, sperimenta il dubbio, ma a tratti è illuminato dalla fede. In quel Gesù di Nazareth che un giorno camminò sulle acque, per insegnarci a fare lo stesso, e che fu appeso ad una croce da coloro che vedevano minacciata la loro sicura navigazione sulla barca. È lì, nel mare, che il Signore ci aspetta. E lì che attende la Chiesa tutta.
Il turbamento dei discepoli di Gesù che, almeno all’inizio, si lasciano sopraffare dalla paura al punto di non distinguere più Gesù da un fantasma, evoca le nostre difficoltà ad intraprendere un cammino che ci porta su strade nuove. Vorremmo risalire sulla barca, per accorgerci subito dopo che la barca ricomincia ad ondeggiare, che dobbiamo fronteggiare nuove difficoltà, nuovi pericoli. Eppure rimane motivo di grande conforto la disponibilità e la pazienza di Gesù a porgere una mano cui aggrapparci.
Ci sono sempre momenti di tempesta nelle nostre vite, io li ho vissuti nella mia esperienza di vita, in cui ho incontrato tante difficoltà. Ma la fede mi ha sempre sostenuta. Il dubbio c’è ed è giusto che ci sia: una fede granitica forse non è vera. Gesù è sempre lì a dirti: non temere. Anche l’amore della Chiesa è stato per me un sostegno, e vorrei poter testimoniare questo amore, e l’amore di tanti cristiani, a mio figlio e alle persone LGBT.
L’ascolto di questo brano del Vangelo rimanda allo sguardo di Gesù che si concentra sulla possibilità di Pietro di farcela, non sulle sue incapacità, e lo accoglie anche nel suo momento di dubbio, di mancanza di fede. Uno sguardo non giudicante, mobile, capace di integrare le diverse parti di te, anche se contraddittorie. È il brano della fiducia e dell’affidarsi. Un invito a cambiare l’ottica: non stare più nel mio sguardo, ed assumere quello che rilancia la mia vita.
Forse i miei figli avrebbero desiderato qualcos’altro dalla propria madre: è davvero difficile accettare una madre diversa, atipica, che è uscita fuori dalle regole precostituite. Un pensiero che mi riempie di amarezza. Per me è difficile sentire la mano di Dio cui aggrapparsi per emergere dall’abisso, da quell’angoscia esistenziale che ha anche una dimensione politica, nella misura in cui per il riconoscimento della propria atipicità occorre lottare sempre e comunque. E il Natale, il periodo in cui le famiglie si riuniscono, fa crescere l’amarezza, la solitudine, la sensazione di rifiuto, ti senti scissa: io non trovo posto nella mia famiglia, fatta di tutte coppie e situazioni regolari.
Di fronte al coming out di mio figlio sono stato sopraffatto dallo sgomento, dalle ansie nel pensare al dolore che avrebbe vissuto, nonostante anch’io sia gay. Quello che mi ha aiutato è stata la serenità di mio figlio, accompagnata dalla consapevolezza che la sua famiglia l’avrebbe comunque accettato e amato. L’atteggiamento profondamente diverso di fronte all’omosessualità di questa generazione ha contribuito a rasserenarmi anche rispetto al futuro di mio figlio: non è detto che lui dovrà vivere il tormento che ho vissuto io. Dopo alcuni anni è avvenuto il miracolo di un altro coming out: il mio di fronte a mio figlio. Non glielo avevo detto subito perché in un centro piccolo, come quello in cui vivevamo, la notizia di un padre ed un figlio omosessuali era troppo! E pensavo che mio figlio, allora quindicenne, avesse bisogno di una figura paterna “normale”.
La Chiesa continua a trasmettere negatività, laddove le persone omosessuali avrebbero bisogno di sentirsi normali.
E un altro papà. Anch’io, come Pietro, mi sono sentito annaspare nell’acqua nel momento del coming out di mio figlio. La prima notte, insonne, mi ha attraversato la mente il pensiero di tanti pericoli, nei giorni successivi mi venivano sotto gli occhi i fatti di cronaca più terribili che riguardavano persone omosessuali. Tenevo riservata la notizia nel condominio e con altri… Poi, piano piano, sono riuscito anch’io a risalire sulla riva del lago di Tiberiade.
Come è successo a Pietro, anch’io mi sento oscillare nella fede. Pietro, nella sua profonda umanità, diventa l’emblema di tutti i credenti che vivono momenti di incredulità. Gli esercizi spirituali mi hanno aiutato… anche ad accettarmi e a sentirmi accettato dalla comunità.
Mi ritrovo a vivere la consapevolezza della necessità, dell’urgenza di lottare in questa società così ingiusta e violenta, che crea i “diversi”. Vorrei portare avanti la nostra diversità, il nostro modo di essere nel mondo. Ma a volte il coraggio manca, prevale la stanchezza di fronte ad una lotta che sembra estenuante e senza fine. Sento il desiderio di pace, di superamento di conflitti… E mi ritrovo spesso, come Pietro, ad aver paura. Eppure Pietro imparerà a camminare sulle acque verso un mondo nuovo, contando non sulla forza di imprevedibili miracoli, ma sulla forza prodigiosa di un amore che non si arrende.
I vostri messaggi di fede mi contagiano in questo momento di difficoltà: la fede è l’appiglio che hai nella solitudine. Mi sono sentita sprofondare nella paura e nell’angoscia mentre mio figlio era in ospedale, da solo, per un intervento. Non potevo sopportare la lontananza imposta dal Covid, mentre lui stava male e mi chiedeva aiuto, in preda ad un insopportabile tormento fisico. La preghiera e il sostegno del nostro gruppo mi hanno aiutato a sopportare questa condizione di dolore solitario. E mi ha commossa sentire mio figlio chiedere una preghiera al padre mentre stava male, lui non praticante e così critico verso la Chiesa.
Per comprendere l’evento del cammino sulle acque probabilmente è necessario un canale di conoscenza diverso rispetto a quello dei sensi e della pura e semplice ragione, occorre incamminarsi sulla via della fede e dell’adesione al mistero divino.
Una domanda emerge imprevista: cosa dire a chi il dono della fede non ce l’ha? O a chi non lo sa leggere?
Mi sembra di sentire un’estraneità di fronte al dono della fede. Forse è perché non chiamo dono momenti della mia vita il cui mi sembra di toccare con mano il mistero. Io la fede l’ho sempre associata alla parola ricerca, che è sempre un po’ estenuante. Nell’adolescenza ho vissuto la dimensione di fede in modo collettivo. La collettività, il pensare insieme non mi hanno mai abbandonata.
La comunità è un dono. Vivere la fede comunitariamente è vivere la fede.
Ho sempre sentito nella mia vita tanti doni, il più grande che ho ricevuto è mio figlio, da cui mi sono sempre sentita aiutata e protetta. Tutti noi abbiamo una grande potenza interiore, a cui però non crediamo. Il divino ci abita. Vorrei essere all’altezza di quel divino che sento dentro di me e tutto intorno a me. Una voce che continua a spingermi, ad osare: “Tu puoi. Coraggio, lascia la barca e cammina sulle acque”.
Matteo 14:22-33: Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.
La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».
* La restituzione è una sorta di resoconto di quanto è stato detto nel corso dell’incontro. Come in un collage, sono messi insieme frammenti significativi degli interventi dei singoli partecipanti, parole e pensieri espressi da ciascuno e ciascuna.
** PAROLA… E PAROLE è un gruppo di incontro esperienziale cristiano per genitori di persone LGBT e genitori LGBT di Roma. Ci incontriamo per percorrere e tracciare insieme il cammino verso una società ed una chiesa inclusive, dove nessuno sia messo ai margini. Lo facciamo seguendo le orme di quel Gesù di Nazareth, che, sulle strade della Palestina, ha condiviso la sua vita con gli esclusi e le escluse del suo tempo. Ci incontriamo una volta al mese, normalmente il primo venerdì, alle ore 20 presso un locale attiguo alla chiesa di Sant’Ignazio, in v. Del Caravita 8 a. Coloro che sono interessati, possono contattarci a questi recapiti: Alessandra Bialetti 346 221 4143 – alessandra.bialetti@gmail.com; Dea Santonico 338 629 8894 – dea.santonico@gmail.com